Ashita no Joe: il ponte delle lacrime di Rocky Joe, oggi
È il 20 marzo. Il sole è sorto da poco, nel Paese del Sol Levante. Stai camminando da un pezzo, nel silenzio irreale di una Tokyo diversa, vuota e cascante, in cui l'onnipresente profilo della torre Sky Tree è l'unica prova concreta che non sei finito in un altro mondo. Sei sulle tracce dei luoghi di Ashita no Joe, uno degli spokon manga più importanti di sempre e uno dei fumetti della tua vita. Il quartiere in cui il vecchio Danpei ha costruito il suo Tange Boxing Club, la palestra per Joe Yabuki e Mammuth Nishi, sotto un ponte. Cercavi proprio quello, il Ponte delle Lacrime, e hai trovato solo tristezza [...]
Un corvo scruta distrattamente la strada, mentre rovista nella spazzatura, ai bordi dell'asfalto. È la prima, ma non l'ultima pila di immondizia che incontrerai in pochi passi. Avevi in programma di venirci ieri, in questo quartiere di Tokyo a nord di Asakusa e ai confini dell'area di Arakawa. Ma ieri mattina il clima primaverile di questi giorni è stato azzerato da una forte nevicata, i cui gelidi fiocchi ti si stampavano addosso come tante stelle di Hokuto.
Nel manga di Asao Takamori (ovvero Ikki Kajiwara, con la sua vita piena di drammi) e Tetsuya Chiba, il quartiere in cui vive Joe è chiamato San'ya, ma la zona non ha più questo nome dagli anni 60. Eppure, anche oggi, a quasi sessant'anni dalla nascita di Ashita no Joe e a cinquantadue dalla sua conclusione, si capisce il perché di questa scelta.
A Tokyo non è affatto difficile imbattersi in una vecchia casa a due piani che sta in piedi per chissà quale miracolo, sghangherata e traballante cartolina del passato, magari in mezzo a due palazzi da venti piani molto più recenti. Ma qui, quelle case che sembrano baracche e quelle baracche che non sembrano neanche un'abitazione, sono la norma.
Per centinaia di metri, lungo il percorso che ti porta lì, non ci sono ristoranti o negozi, e quei pochi che incontri hanno le insegne scrostate, o il tendone con il nome dell'attività ridotto a brandelli dal vento. La ruggine divora i pannelli di ondulato che fungono da pareti, il nero cola a macchiare qualsiasi cosa, in alcune sembra impossibile possa abitarci qualcuno. Finché non noti i fiori annaffiati da poco, davanti alla porta.
Fatto salvo qualche palazzo di fine epoca Showa, coperto di piastrelle, tutto il quartiere è così. Un'area dormitorio abitata, hai letto, da persone alla ricerca di un alloggio economico in città e da jōhatsu, quelli che a un certo punto hanno deciso di abbandonare la loro vita precedente e sparire dalla società.
Altri invisibili li incontri alla tua prima tappa di questo viaggio nel tempo: il parco Tamahime, dove Joe si rifugia spesso, all'inizio della storia, e dove parla con Noriko, nel loro unico appuntamento. Una targa racconta la storia del parco, ma l'ingresso è sbarrato dalle catene, e dentro si vede solo un vecchio orologio.
Fai il giro del rettangolo verde, e dall'altro lato trovi l'altalena e uno scivolo, ma anche la baraccopoli di alcuni senzatetto, con le loro "tende azzurre" ricavate dai teli che si usano in questo periodo per l'hanami, nei parchi belli della città. Di giorno i senzatetto reimpacchettano tutto, e se ne stanno lì, spenti.
Più su, iniziano a rispuntare dei conbini e c'è un negozio di bici, lungo lo stradone che si lancia verso il fiume Sumida. Sullo sfondo, le enormi cisterne di gas che sorvegliavano il quartiere nel manga, e davanti alle quali Joe passeggiava con il suo berretto e le mani affondate nelle tasche. Sono ancora lì, anche se ora hanno forma sferica.
Torni indietro, verso l'incrocio di Namidabashi. È quello il ponte delle lacrime, anche se non c'è più da tempo nessun ponte.
Namidabashi vuol dire proprio questo, "ponte delle lacrime", perché una volta qui passava un canale, e il ponticello che lo superava conduceva verso un luogo in cui si svolgevano le esecuzioni. Le lacrime, insomma, non erano degli sconfitti che venivano a vivere qui - come racconta Danpei a Joe - ma dei condannati a morte arrivati a fine corsa.
Poi il canale lo hanno interrato e ci hanno costruito su un incrocio. Un incrocio in cui, a parte un Lawson e il profilo della nuova torre, le lacrime non sembrano comunque esser mai finite. C'è un cartello che racconta la storia del nome, e ci sono un palazzo rosa scolorito e dall'ingresso sbarrato, e degli alberghi a mezza stella. Attorno all'incrocio, altri senzatetto che qui passano il tempo.
Uno fuma seduto sul marciapiede. Un altro vaga alla ricerca di chissà cosa. Hanno almeno settant'anni l'uno. Quando su Weekly Shōnen Magazine venivano pubblicate le avventure del giovane Joe Yabuki, erano dei bambini. Sognavano anche loro, come tutti, un domani migliore. E invece, dopo tutto questo tempo, quei ragazzini di allora sono ancora dalla parte dei dimenticati.
Torni ad Asakusa. Per strada ti rispunta attorno la consueta teoria di attività, veicoli, salaryman, distributori automatici, americani con lo zaino, anziani in bicicletta. Hai un magone che riesci a fatica a mandare giù. Joe sorride seduto sul suo sgabello, in quell'angolo, e quello è il suo saluto al mondo.
Solo cenere bianca.
Ecco che il magone ora è venuto anche a me.
RispondiEliminaNo, ma grazie eh.
stamattina, qui a Palermo, c'è un tempo da lupi... e leggo di una parte di Giappone diversa da come me la immagino....grazie Doc...
RispondiEliminaMolto toccante, Doc.
RispondiEliminaDavvero.
E dire che all'inizio, sentendo parlare di neve, mi sono detto "Eh, almeno li' l'hanno vista!".
Poi, proseguendo nella lettura, mi sono morso la lingua.
Spesso ci si dimentica che per certi poveretti la neve e il gelo possono essere la MORTE.
Ma sul serio.
Leggevo tempo fa che di quel quartiere ne era rimasta minima traccia, oggigiorno.
Ma a quanto sembra potra' essere cambiato nella forma, ma non nella sostanza.
In parte accoglie ancora gli ultimi, i diseredati, i dimenticati.
Ammassati li' come la spazzatura che si raccoglie nei vicoli tra i palazzi.
Ma qui si parla di esseri umani, non di rifiuti.
E uno si chiede com'è' possibile. Anche se la ragione, in futuro ndo, la conosciamo bene.
Quelli che non ce l'hanno fatta. O che non ce l'hanno mai fatta. O che addirittura per qualche tempo ce la facevano pure.
Basta davvero poco, per finire cosi'.
Adesso come allora.
Basta solo che te ne capitano due o tre tutte insieme.
Giusto sabato parlavamo con amici del prossima, eventuale, Lucca Comics. Uno di loro anni fa ha interpretato proprio Rocky e ci siamo detti 'dai vediamoci il combattimento finale'; morale, quattro quarantenni coi lacrimoni.
RispondiEliminaChe lacrimoni doc, la realtà è dura, Joe ce lo ricordava pagina dopo pagina, tra i pugni, le scazzottate, le risate e gli allenamenti strenuanti. Tutto girava attorno ad un angolo di mondo che palesava, a chi ha gli occhi per vedere , le difficoltà degli ultimi, degli emarginati. Joe mi ha molto emozionato, ma anche questo post non è da meno. Non dimentichiamoci degli ultimi, basta davvero poco, una mano in una mensa popolare, delle donazioni, il supporto morale ed etico alle associazioni che lavorano per un mondo meno duro
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