Cobra Mai - 1: "Ma che cos'è questo, un episodio crossover?"

Cobra Mai parte 1

"Esiste la paura in questo dojo?", chiese il sensei, passando in rassegna i suoi allievi. 

Ma Mino Del Vuono non fu sufficientemente lesto nel rispondere, e il maestro gli azzeccò un coppino dietro la nuca per sollecitare la risposta.

"No, sensei!" urlarono allora tutti gli altri, all'unisono.

"Ahia, chitebbìv!!!" urlò Mino. [...]

Cobra Mai parte 1

Il sensei, nella sua grandezza, non diede peso alla cosa. Proseguì, misurando il tatami a passo lento e squadrando i suoi ragazzi con occhi da tigre. Indossava un karategi nero smanicato, abbinato al colore della sua cintura. 

Dal locale accanto arrivavano le note di quel pezzo della Nannini e di Bennato. Era ovunque, in qualsiasi radio, quell'estate dei mondiali. Ma nella palestra nessuno lo ascoltava: c'era un'atmosfera talmente tesa, densa, magica, che avresti potuto tagliarla con un colpo di katana. Ai presenti sembrava di essere in un film sulle arti marziali, uno di quelli in cui tutti i presenti imparano qualcosa sul senso della vita. E, in effetti, è esattamente quello che sarebbe successo.

"Il dolore... esiste in questo dojo?", continuò il maestro, snocciolando a memoria tutto il mantra di John Kreese, appreso guardando e riguardando la videocassetta di Karate Kid. Aveva sempre adorato quella scena in cui l'inutile Daniel LaRusso scopre il covo dei suoi nemici e poi va via, perché con quella felpina rossa da babbo ha giustamente paura lo prendano tutti a calci in culo.

"No, sensei!"

"La sconfitta... esiste in questo dojo?"

"No, sensei!"

"La paura... esiste in questo dojo?"

"No, sensei!"

"E un po' di silenzio esiste, ohè, che mocc a mammt qui nel negozio accanto non si riesce a faticà?" disse allora la moglie del sensei, con le mani sui fianchi, incazzata come una biscia. 

"Scusa, tesò. Urliamo più piano," la rassicurò il maestro, sollevando i palmi e scuotendo i suoi lunghi capelli neri alla Andrea Carnevale. Tutti gli allievi chinarono il capo, contriti, seguendo l'esempio del loro mentore, il grande sensei Gigino. 

Il cobra di Casavatore.


Cinque anni dopo, febbraio 1995 

Aveva cercato in tutto e per tutto di seguire le orme del suo, di maestro. Di creare una palestra che ricordasse quella in cui aveva appreso tempo prima tutto quello che sapeva sul karate. Se l'aveva chiamata Full Contact Dojo era solo perché il full contact andava di moda, grazie a quei film di merda che passavano la sera su Italia 1.

Sull'insegna si era fatto dipingere quello che avrebbe dovuto essere l'attore Jean-Claude Van Damme, ma siccome il pittore rimediato era un totale incapace, uno che solo perché aveva fatto l'artistico si credeva stocazzo, accanto al nome Full Contact Dojo, in caratteri rossi dal font asiatico, c'era ora una gigantografia praticamente di suo cugino Gianni. La stessa faccia.

Quella del Full Contact Dojo, per il titolare, era davvero l'ultimissima delle ultime spiagge per l'ex prestigiatore da feste e sagre paesane Gennaro Capachiuovo.

Gennaro si fermò a guardare i poster appesi alle pareti della sua piccola palestra, ora deserta. Locandine di film con il vero Van Damme e non Gianni Van Damme, Bruce Lee, una bandiera del Giappone, dei rotoli cinesi su cui non sapeva che minchia ci fosse scritto, ma li aveva comprati lo stesso, al mercato, perché facevano scena. E soprattutto una foto gigante di Maradona che solleva la coppa Uefa dopo la finale vinta con quei bucchini dello Stoccarda nell'89. L'avevano regalata il giorno dopo col Mattino e Gennaro se l'era fatta incorniciare. 

Scivolando da un quadretto all'altro, lo sguardo vuoto di Capachiuovo si velò di tristezza. Non voleva pensarci, ma finiva per farlo sempre. A ogni respiro. Come avrebbe potuto essere altrimenti?

"Sensei?"

Qualcuno lo toccò sulla spalla. Gennaro Capachiuovo si voltò e si trovò di fronte uno dei suoi allievi. Uno dei poveri cristi che avevano abboccato a quella baracconata, scambiandolo per un vero esperto di arti marziali. 

Era un volenteroso ragazzotto di bassa statura. Calabrese? Lucano? Boh. Ma faceva il carabiniere o il finanziere in una caserma da quelle parti. O qualcosa del genere.

"Tutto bene, sensei?" proseguì quello. Il maestro fissò un punto imprecisato del soffitto, con una grossa crepa regalata dal terremoto. Deglutì con forza, e iniziò a piangere.


2 luglio 1990

Anche il Cobra Kai di Casavatore aveva un problema con l'insegna. Un pezzo del neon si era spento, e quella K tutta storta sembrava ora una M. "Cobra Mai", lo chiamavano i grandi nemici della palestra rivale, quei fighetti bastardi del Migliacchi Karate e Fitness.

Tutti, in giro, sembravano pensare solo alla partita. Alla semifinale della sera dopo, la grande sfida con l'Argentina di Diego che si sarebbe giocata a soli diciotto chilometri da lì. Ma al Cobra Kai le cose procedevano come sempre. E cioè con il più fortunato, non privo di problemi pratici ma comunque ammirevole, esempio di convivenza tra una palestra di arti marziali e una merceria.

Un anno prima, il sensei Gigino aveva affittato anche il locale adiacente alla merceria che gestiva da tempo con la moglie Sabrina, trasformandolo nel dojo che aveva sempre sognato. Solo che le due attività erano comunicanti, e le urla degli aspiranti karateka finivano col terrorizzare di tanto in tanto le signore che stavano scegliendo i bottoni di madreperla. A volte, viceversa. Nel primo caso, Sabrina si affacciava nella palestra, urlava più forte di tutti, e quelli facevano meno casino.

C'era anche stato l'incidente della signora Vottaro, un brutto incidente, ma l'anziana si era trovata semplicemente nel posto sbagliato al momento sbagliato. E purtroppo non puoi fermare un calcio volante a mezz'aria, come se niente fosse. Ma si era ripresa, eh. Aveva smesso di andare lì a comprare le cerniere di ricambio, perché era pericoloso, ma si era ripresa.

Il sensei Gigino si era fatto tatuare un cobra reale sull'interno del gomito destro, e il rettile apriva e chiudeva gli occhi quando il maestro fletteva i muscoli, le braccia d'acciaio del suo fisico asciutto e nervoso. 

Il passato del grande maestro Gigino era avvolto nel mistero, ma tutti in paese conoscevano alcune leggende sul suo conto, tramandate per tradizione orale, soprattutto nella sala giochi Video Dreamz, con la Z. Storie eroiche di ninja sconfitti, allenamenti feroci, ore di meditazione sotto una cascata alta venti, forse trenta metri. Il maestro Gigino era una figura troppo incredibile e potente per essere vera, un filosofo incarnato nel proprietario al 50% di una merceria, un guerriero inflessibile, incrollabile. 

Solo due cose erano in grado di fermarlo: il figlioletto di due anni, Luca, detto Gigino Jr. per l'incredibile somiglianza che già mostrava con il padre - capelli alla Carnevale inclusi - e le urla di sua moglie, la signora Sabrina. 

A volte non era necessario neanche che urlasse. Bastava che lanciasse uno zoccolo, direttamente dalla cassa della merceria.

C'era elettricità nell'aria, quella mattina, e il sensei Gigino lo avvertiva in modo netto. Magari era per quella cacchio di partita, che metteva un po' tutti, lì attorno al Vesuvio, in una situazione difficile. Magari era stata quella crostatina montebovi di troppo a colazione. 

"Oggi non sono qui per insegnarvi il karate..." disse infine, e le sue parole generarono in pari misura silenzio, aspettativa, ammirazione.

"Oggi..." e dovette fermarsi di nuovo, ma stavolta non per una pausa ad effetto, ma perché quell'idiota di Mino Del Vuono aveva detto "Vabbuò" e aveva fatto per andarsene. 

"...sono qui per insegnarvi una cosa fondamentale sulla vita. Sullo stare al mondo". Per poco, tutti i presenti tranne uno non furono travolti dall'entusiasmo. Era arrivato uno di quei momenti. 

I passi silenziosi dei piedi nudi del maestro lo portarono un'altra volta davanti alla riga perfetta dei suoi allievi.

"Vediamo... Vieni qui, Gennaro. Sì, tu. Vieni qui e dimmi, qual è stato il più grande sbaglio che ha mai commesso?"

Sotto una zazzera bionda, da Nino D'Angelo nel poster del grande classico La discoteca, Gennaro Capachiuovo si fece avanti.

Chinò il capo, si fissò i piedi e disse con un filo di voce: "Tutto, sensei. Nella vita ho sbagliato tutto".

La palestra venne abitata all'istante da un altro tipo di silenzio, molto meno elettrico e molto più triste. 

Per qualche lunghissimo secondo nessuno disse niente. Poi si sentì un urlo strozzato. "Ma come solo quadrati?! E mo' che ci metto al vestitino della comunione di mia nipote Colomba, scusa?!"

[CONTINUA]

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Commenti

  1. 92 minuti di applausi sono pure troppo pochi..le tue descrizioni sono perfette Doc, mi sembra di averla davanti agli occhi la scena, e pure di averla un po' vissuta.

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  2. No vabbè io pensavo inizialmente che fosse un post vero su Cobra Kai...

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  3. Il Ca del Ma-Gi-Ca.
    Ha lasciato bei ricordi anche a Udine.

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    1. (PdF mode on)
      Ma la Ca non era Careca?
      (PdF mode off)

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    2. Non sono cultore del calcio Napoli, ma mi pare che Careca nel 1° scudetto non ci fosse.

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    3. Mi sa che c'hai ragione anche te, ammetto la mia ignoranza e cospargo il capo di cenere ;o)

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  4. Il ritorno del Maestro Gigino è da Lacrime Napulitante <3
    Specie quando ho realizzato che con Sabrina le cose hanno continuato bene (almeno, fino al 1995). Fletto i muscoli e vedo gli occhi del cobra!

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  5. Non ho colto molto le sfumature probabilemente perchè non ho letto qualche vecchio post. Mi fa sorridere invece come la palestra sia di Casavatore (io sono cresciuto lì e c'era una palestra molto famosa anche perchè c'era il campione nazionale all'epoca) e i montebovi (marca di biscotti e merendine per chi non poteva permettersi le "mulinoBianco").
    Mi è salita la curiosità : potete indicarmi i vecchi post per apprezzare meglio questo ?

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    1. Sì, avrei voluto farlo con la seconda parte di questa storia, ma credo sia necessario un minimo di spiegazione per chi si è perso quanto venuto prima.

      Il sensei Gigino da Casavatore è stato grande co-protagonista di tutta una seri di raccontini di "Inseguendo 2". L'ultimo, che spiega la faccenda della merceria, era questo:

      https://docmanhattan.blogspot.com/2018/12/napoletan-ninja.html

      Chi vuole, seguendo i link, può ricostruire tutto quello che è venuto prima.

      Gennaro Capachiuovo, invece, è una conoscenza molto più recente:

      https://docmanhattan.blogspot.com/2021/05/tiene-in-piedi-anche-una-festa-di-merda.html

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  6. Giro di Fantacinema? Inizio io:

    Shang-Chi e la leggenda dei Dieci Anelli (ITA 1994)
    Regia G. Salvatores
    Soggetto S. Cicalone
    Sceneggiatura A. Apreda
    Con C. Verdone, N. Rinaldi, S. Rubini, A. Caprioli, M. Brega

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  7. La trama corale pian piano si dispiega, flashback e crossover dispensati generosamente.

    Bravo Ale.

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  8. Non vedevo l'ora di leggere un altro dei tuoi racconti!

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  9. E' ufficialmente nato l'AEU - Antro Extended Universe!

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  10. Nella stessa settimana in cui becco mio padre che guarda Il ragazzo dal kimono d'oro 4 il Doc scrive questa perla, coincidenza?

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