R-Type Final 2 non è un Bydo(ne), e tanto ti basta

Stai giocando di brutto a R-Type Final 2 per PS4, anche se lo stai facendo su PS5, perché la PS4 è finita da mesi in un armadio. Ti sta piacendo. Il che ti rende felice, perché erano mesi che cercavi un gioco a cui dedicarti. E funziona, dopo tutti questi anni, un altro sparaspara classicissimo alla R-Type? Beh, sì. Abbastanza [...] 

R-TYPE FINAL 2
PREZZO: 49 CONSOLE (39 PC)
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Che ci sia un gioco che si intitola R-Type Final 2, ed è il seguito dopo sette anni di un R-Type Final per PlayStation 2 (2003), che insomma si continuino a chiamare delle robe final e poi cicciarne delle altre, potrebbe magari sorprendere qualcuno. Ma di certo non un videogiocatore, che magari sta aspettando il 247° Final Fantasy della sua vita.

Dodici anni dopo l'ultimo capitolo della serie, il bizzarro strategico a turni R-Type Tactics II: Operation Bitter Chocolate uscito solo in Giappone per PSP, si torna a prendere a laserate l'impero Bydo, con un gioco sviluppato con l'Unreal Engine 4, tirato su con una campagna di crowfunding ed effettivamente zeppo di contenuti.

R-Type Final 2 è figlio del game designer Kazuma Kujo (R-Type Delta, R-Type Tactics, R-Type Final), lo ha sviluppato Granzella ed è disponibile da fine aprile per PS4, Nintendo Switch, PC, Xbox One e Xbox Series X/S. Questa "Inaugural Flight Edition" include un CD con la colonna sonora e un piccolo artbook. Ammesso che abbiate ancora dove ascoltarlo, di questi tempi, un CD. Certo.

Il parco navette include nove modelli principali, da Arrow-Head e Shooting Star al carro volante con trivella, quella vecchia sagoma del TW-2 Kiwi Berry. Tutti personalizzabili a piacimento.

Ora, R-Type non è un titolo qualsiasi, un franchise qualsiasi. Qui parliamo della storia del videogioco, e non solo dello shoot'em up. 

È un attimo che a solo sentirne pronunciare il nome uno torna con la mente al 1987, al primo R-Type della Irem da sala, alle prime gite a bordo della R-9 Arrow-Head. Con il suo cannone a onda (wave cannon) da caricare tenendo premuto il tasto di sparo, con il pod orbitante (Force), 

e soprattutto con quel design a metà tra Alien e Gradius, i suoi mostri alla Giger, quel cacchio di meraviglioso, inquietante Dobkeratops. Il primo, iconico boss. 

Quanto ci hai giocato a R-Type, prima in sala, poi su Commodore 64 e Amiga, in tempi molto più recenti su MAME e PC Engine (dove è stato splittato su due uscite), Dobkeratops solo lo sa. Da rEgazzini c'era chi lo chiamava ERRE-type, chi Rrrr-type, chi Ro-Type. Pare che la R stesse per "ray" e che l'idea del globo da tirarsi dietro fosse venuta in mente al team di sviluppo pensando allo scarabeo stercorario. Solo che "Rotolamerda" sarebbe stato in effetti un nome meno affascinante.

Oggi, quasi metà del duemilaeventuno, ancora l'impero Bydo e le sue navi infinite e i suoi mostri. La struttura di gioco in R-Type Final 2 è sempre la stessa, provata e riprovata nei fratelli che lo hanno preceduto: alterni fuoco rapido e normale, scegli i punti in cui sparare in avanti la Force a smitragliare il nemico (o agganciarla sul muso della navetta, o usarla come targa posteriore), sperimenti i vari power-up più adatti al livello. 

E ti esalti ogni volta che il cannone a onda, in una delle sue versioni, si porta via tutto. C'è anche la barra "Dose" da riempire, ripescata da R-Type Delta per PlayStation (1998), che si carica assorbendo con il pod Force i colpi dei nemici, e una volta colma ti molla una smart bomb spazzaquadro. Il gameplay è super-tradizionale, insomma, e con ogni probabilità non poteva essere altrimenti, visto che è un gioco il cui sviluppo è stato finanziato dai fan attraverso il crowfunding.

Lo spirito di base è che torni a rigiocare il tutto un'infinità di volte, perché vuoi sbloccare tutti i modelli di navette da infilare nell'hangar e upgradare, vedere tutti gli stage, personalizzare pilota e parco astronavine, colorandole male e tempestandole di decorazioni brutte. E per i più impallinati, c'è pure un museo in cui spulciare statistiche e schede di tutti i Bydo-cosi passati al fil di laser.

Il livello di difficoltà è modulabile e se provi ad abbassarlo il gioco ti viene molto incontro (ma al contempo, con puro sadismo nipponico, ti umilia, infilandoti nella categoria "Bambini"). È richiesta una certa dedizione per i passaggi più ostici, ma si gioca, non ti fa impazzire. Non troppo. La cosa bella è che, come per quasi tutti gli shmup, più ti ci applichi, più impari, e più impari più progredisci, e questo senso di conquista è gratificante. 

E ti fa resistere alla tentazione di disintegrare il pad contro il muro alla sesta volta di fila che una torretta di fuoco compare a tradimento in quel punto e ti folgora alle spalle. 

Visivamente ci sono cose molte buone e sequenze spettacolari, alternati ad alcune texture comprate alla standa, ad alcune robe da Unreal Engine venute via coi saldi (quell'astronave gigante, santo cielo, fa così tanto 2010), e anche ad alcuni boss fight meno ispirati. I soldi non erano tanti, e si nota. Nel complesso regge, però, e lo stesso discorso vale in estrema sintesi per le musiche.

Nulla di nuovo, in altre parole, ma alla fine della fiera un più che discreto tuffo in una struttura consolidata, fatta apposta per farti divertire in un contesto familiare e ringere di nostalgia, ché sono passati quanti anni dalla prima volta? Troppi. Troppi. Poi ci sarebbe da chiedersi perché un videogiocatore possa ritenere familiare avventurarsi da solo in un mondo ostile nello spazio, contro migliaia di nemici alieni, ma non divaghiamo.

No, a Returnal per PS5 non stai (ancora) giocando, e sì, tra qualche giorno ti arriva Resident Evil Village. Ne riparliamo presto.