Tiene in piedi anche una festa di merda - 3
NOTA: la prima parte la trovate qui, la seconda qui.
L'urlo, quell'urlo di donna veniva da quella parte, da quel palazzo grigio in fondo all'isolato.
L'appuntato scelto Domenico Mammone non era pronto, era stracazzo nato pronto. Digrignò i denti nello specchietto retrovisore e controllò che l'arma d'ordinanza fosse al suo posto. Ricordò per un fugace istante le parole del suo grande maestro di full contact karate, il sensei Gennaro Capachiuovo - non quelle sulla panza da portare sblusata sulla cintura, quelle altre. Com'era? Ah, sì, coraggio, determinazione e prontezza di spirito - e corse fuori dall'Alfa Romeo 155 mille e otto nera, come un giaguaro con le bande rosse sui pantaloni. E tornò indietro a prendere il cappello, che aveva dimenticato sul sedile [...]
Anche se dopo venti metri aveva già il cuore in gola e si sentiva esplodere, Mimmo Mammone cercò di dissimulare la sua sofferenza con un'espressione da indefesso tutore dell'ordine. Arrivò sul posto con un'aria talmente severa e inflessibile, si disse, che Robocop al confronto era solo una mezza pugnetta. Poi, vabbè, sono buoni tutti se sei di metallo e...
"Agente? Agente?" Una ragazza richiamò la sua attenzione.
"Sono l'appuntato scelto Domenico Mammone," precisò lui. L'aveva mica preso per un poliziotto, quella, eh? Mimmo si rese conto che accanto a quella ragazza ce n'erano altre due. Una era accovacciata a terra, l'altra sdraiata sul marciapiede. La prima reggeva la testa della seconda, sulla cui fronte colava un rivolo di sangue.
Opporcaputtanaundelitto! pensò Mimmo, portando istintivamente la mano sul calcio della pistola. Che cos'è che doveva fare ora, cosa d...
"MINCHIA CHI BOTTA ARA CAPA!", disse con la voce tonante di una dea del tuono dalla forte inflessione cosentina la presunta vittima.
Tirato un sospiro di sollievo interiore così forte da privarsi dell'ossigeno in circolo nel sangue, l'appuntato scelto Mammone cercò di ricostruire l'accaduto e di raccogliere prontamente le testimonianze dei presenti. La ragazza sanguinante, tale Sbarazzi Jenny, riferì di esser stata attinta alla testa da un qualche oggetto che le aveva provocato una lieve ferita alla fronte.
Domenico e le altre due ragazze, Caucaso Ester e Amilcaretti Piera Patrizia, si guardarono attorno, perlustrando quel brutto marciapiede crepato e rattoppato in più punti.
"Agente?" lo chiamò Ester.
"Sono un appuntato scelto."
"Sì, vabbè, quello che è. Credo che a colpire Jenny sia stato questo" disse la ragazza, indicando un oggetto dalla forma strana davanti ai suoi piedi.
Mimmo Mammone si avvicinò, si chinò sul corpo contundente e sgranò gli occhi. Poi sollevò lo sguardo al cielo quasi viola di Commenda, Rende, Cosenza, Calabria, Italia, scrutando la verticale di quel palazzo grigio degli anni 70.
"E questa dentiera, mo, da dove minchia è uscita?!"
Fu solo in quell'istante che Mammone notò quell'altro dettaglio.
4 (Quattro)
Una manciata di minuti prima, dicevamo, l'attenzione di Jenny Sbarazzi venne sottratta alle risate che si stava facendo con le sue due amiche, quella stronza a cui in fondo voleva bene, Ester, e Piera Patrizia, "la ruota di scorta". Un rumore metallico, come quello di un cucchiaio strofinato su una grattugia.
Jenny sollevò lentamente gli occhi e la risata le morì in gola. C'era un uomo lassù e cosa diavolo stava facendo? Distratta da quella scena totalmente fuori dal mondo, Jenny non si avvide della dentiera che le piombò sulla fronte, in picchiata come un falco giapponese, e per l'impatto andò giù come un sacco di patate della Sila.
Cinque minuti prima del contatto tra la dentiera le fronte della giovane Sbarazzi, l'ottantaseienne Ifigenia Cenzina Iettabbasci, contessa decaduta della nobiltà di Montalto Uffugo (CS), stava guardando le repliche della sua telenovela preferita.
Si era fatta registrare tutte e 181 le puntate di Topazio da suo nipote. Giacomantonietto le aveva riversato su una dozzina di videocassette l'intera epopea di Grecia Colmenares detta Topazio, il capolavoro indiscusso della produzione televisiva venezuelana.
La contessa si era messa con dedizione a riguardarsele tutte, più volte, rilevando discrepanze nella trama e buchi di sceneggiatura, che andava via via annotando su una lettera che avrebbe alla fine spedito a Radio Caracas Televisión. Dopo 92 puntate, era arrivata a 56 pagine scritte fittissime.
Ifigenia adorava le vicende della famiglia Sandoval, esattamente quanto odiava quel maledetto cane del terzo piano, l'unica cosa in grado di interrompere la sua devota, accorata, pignolissima maratona Topazio.
La contessa non capiva innanzitutto come si potesse chiamare un fastidiosissimo pinscher "Rex", solo perché in televisione c'era quel ridicolo pastore tedesco di Vienna, protagonista di una delle più sopravvalutate serie poliziesche di tutti i tempi.
In secondo luogo, e soprattutto, non sapeva cosa avesse quel cane da abbaiare tutto il santo giorno, tutti i giorni. Era forse la musica che veniva da quel piano? Cos'era, una festa? I soliti giovani che si fumano gli spinelli e ascoltano musica per trogloditi, pensò la Contessa.
"Ai miei tempi c'erano Enrico Caruso e Dino Olivieri, ma cosa ne sanno questi? Cosa?", si disse la contessa Iettabbasci, con un sorriso amaro.
Quel cane maledetto si era acquietato. La contessa risprofondò nella sua poltrona e nella visione di Topazio. Era il momento di fargliela vedere, a quella stronza di Doña Hortensia Vda. de Andrade, andiamo!
***
Due piani più su, Johnny the Head aveva un grosso problema. Il mostro era ancora nel water, Iris era ancora lì, dietro la porta del bagno, e accanto a lei doveva essersi raccolto un gruppetto di curiosi. Le note di Tubthumping dei Chumbawamba coprivano le altre voci, ma non ci voleva esattamente un genio per capire che la situazione stava peggiorando molto, molto rapidamente. Doveva dire qualcosa. Smorzare subito la tensione. Far allontanare quei cagacazzi da lì, sperando che si tirassero dietro la festeggiata.
"Uh, no, niente, mi sono macchiato la camicia, Iris ora..."
"Se serve ti passo il toglimacchia di mia madr..."
"NO!!! Cioè, voglio dire, no, grazie, non preoccuparti, faccio da solo. Ora esco, tranquilla."
Iris bofonchiò un Vabbè, si strinse nelle spalle e tornò al centro della festa. Quella capa gloriosa di Johnny era un ragazzo carino, in fondo, però cacchio se era strano.
I get knocked down, but I get up again, You are never gonna keep me down, cantava intanto il mostro nel cesso, anche dopo la sedicesima tirata di sciacquone. Immobile.
Johnny capì che c'era un solo modo per liberarsene. Rovistò nell'armadietto accanto al lavabo, e in mezzo alle bottigliette di acqua velva e dopobarba mennen del padre di Iris e a dei pacchi di cotone idrofilo trovò quello che sperava di trovare. Dei guanti gialli di gomma.
Ne indossò uno, e lo schiocco da chirurgo con il quale concluse la vestizione del guanto testimoniava quanto fosse pronto ad affrontare di petto la questione.
Laddove per "affrontare di petto la questione" intendiamo gettare lo stronzo monster dalla finestra.
5 (Cinque)
Se aveste guardato da fuori, in quel preciso istante, la stretta finestra del bagno di casa di Iris, al terzo piano di quel palazzo grigio, avreste visto il braccio teso di Gionatan Capisciolto, detto Johnny the Head, proiettato all'esterno e impegnato a reggere in un guanto gocciolante un mostro. Johnny stava per lasciare andare la creatura che voleva rovinargli la reputazione, hasta la vista, bab... quando sentì delle voci provenire da giù.
Johnny cacciò fuori anche la testa e vide che lì sotto, ai piedi del palazzo grigio, c'erano tre ragazze. Ridacchiavano, 'ste tre rompicoglioni, proprio lì, proprio ora.
"AHAHAH, era un biondo di Luzzi, cosa potevi mai aspettarti?", diceva una delle tre, e le altre giù risate.
Occorreva un piano B, pensò Johnny. Vide quello che c'era alla sua destra e si disse che sì, poteva farcela.
Due minuti dopo era in procinto di precipitare dal terzo piano di un palazzo. Con uno stronzo di provenienza sconosciuta ancora in mano.
La finestra del bagno era quasi attaccata al balconcino di un altro appartamento. Sul suddetto balconcino, in mezzo a una selva di graste di vario genere, ma perlopiù vasi di gerani, c'erano dei secchi della spazzatura.
L'idea geniale di Johnny era quella di sporgersi all'esterno della finestra, allungare un piede fino alla ringhiera del balconcino e lanciare con un movimento di polso da cestista dell'NBA il mostro in uno dei secchi, o in subordine in un vaso di gerani.
Sporgendosi a cavalcioni sulla finestra del bagno, Johnny riuscì ad afferrare con la mano libera la ringhiera, ma appena provò a portarci sopra anche un piede, la sgomma della scarpa, delle finte air max 97 comprate al mercato, lo tradì. La suola scivolò e Johnny si ritrovò appeso per un'ascella a quell'orrenda inferriata verde che teneva a bada la selva di gerani. Con le gambe penzolanti nel vuoto.
Il cespuglio di sudatissimi ricci rossi e la camicia zuppa ormai di un colore molto lontano dall'azzurro originale garrivano al vento, bandiera di resa delle avventure di un giovane in procinto di crepare come uno, e con uno, stronzo.
Johnny in quel momento pensò all'unica cosa che potesse fargli forza, le grandi lezioni di vita del maestro Jovanotti, e canticchiando un celebre successo del '94 del poeta provò a tirarsi su. Fu più o meno sul "Quest'onda che va, quest'onda che viene e che va, oh oh, oh oh", che il mostro gli cadde di mano.
***
Rex, pinscher di quattro anni col pedigree, nella vita odiava tutto e tutti. Ma in particolare quella famiglia di ebeti a cui il destino, nelle vesti del proprietario dell'allevamento di Acri in cui era nato, l'aveva affidato. Odiava i due adulti, odiava i due bambini, soprattutto quella più piccola, che urlava come uno pterodattilo e gli tirava le orecchie in continuazione.
Nei rari momenti in cui era da solo in casa, come quello, si stendeva sul pavimento della cucina, a sognare una vita diversa.
Più di tutti odiava una vecchia umana che abitava nel palazzo e lo guardava sempre storto quando si incrociavano nel portone. Un giorno gliel'avrebbe fatta pagar... Rex sentì un rumore. Qualcosa di metallico, come un cucchiaio strofinato su una grattugia. Veniva dal balconcino dall'altro lato dell'appartamento.
Corse ventre a terra come un levriero, tagliando per il salotto e incespicando come al solito sulle frange di quel tappeto alto orribile. Aprì la zanzariera della porta finestra con una testata e si lanciò fuori. C'era un umano appeso lì.
Rex ringhiò con tutta la forza che aveva in gola.
6 (Sei)
La contessa Ifigenia Cenzina Iettabbasci era arrivata al momento clou della VHS 14, una delle sue sottotrame preferite di Topazio. L'indimenticabile scena in cui Jolanda, promessa sposa di Gianluigi, scopre di essere innamorata di Ennio, figlio del fattore della tenuta di suo zio, e questo la porterà a consumarsi d'amore e nervosismo.
La contessa strinse forte in pugno il telecomando del suo televisore Seleco del '79 con il pannello rivestito in finto legno, si sistemò gli occhiali da vista sul naso e la copertina di lana sulle ginocchia, e...
Ancora quel maledetto cane.
La signora si alzò, gettò con stizza il telecomando sulla poltrona e si avviò a passo lento ma inesorabile verso il balcone. Cacciò fuori la testa, ruotò il capo di 180 gradi come Regan ne l'Esorcista, e puntò il viso severo, con occhi azzurri che avevano visto fin troppo e una cuffia di capelli bianchi tendenti al porpora, verso il balcone del terzo piano, da cui quel cane infernale ora si era messo pure a ringhiare. Pure.
Forte del suo contegno nobiliare, padrona del garbo derivatole dal suo lignaggio, la contessa urlò "STATTI CITTU NU POCU, NCULA A CHI TE STRAVIECCHIU, STU CANI IMMERDA!!!" nel cielo viola della notte rendese.
La contessa si sistemò meglio gli occhiali. Ma che era quella cosa là sopra attaccata al terrazzo? Un ragazzo? Ma che?
Le domande furono troncate di colpo dall'impatto con il mostro, la cui caduta aveva preso velocità tra il terzo e quel primo piano, e che investì la contessa con una tale forza da farle sputare la dentiera.
Due piani più sopra, Johnny vide l'intera scena come in un film. Un film horror.
Cercò un'altra volta di tirarsi su, ma non c'era verso. Il ferro gelido gli mordeva l'ascella, le braccia stavano cominciando a intorpidirsi, il cane ringhiava sempre più forte. Ed, ecco, iniziava ad avere una leggera paura di morire.
Spalmato sul marciapiede là sotto, sbranato da quel cane rabbioso o picchiato a morte dalla vecchia che aveva smerdato.
"AIUTO! AIUTATEMI!", gridò infine, piangendo.
[CONTINUA]
La suspence mi sta divorando Doc, pubblica la parte 4 tipo ORA! Che cliffhanger!
RispondiEliminaEcco, non devo mai leggere finché mangio.
RispondiEliminagenio!
RispondiEliminaMa che meraviglia!!!!!!! Mi sto appassionando furiosamente non vedo l’ora di leggere il seguito. Grande Doc.
RispondiEliminaANCORA !!! ANCORA !!! ANCORA !!! ANCORA !!!
RispondiEliminaPer piacere.
Ciao a tutti i deboscia, è la prima volta che scrivo qui.
RispondiEliminaIl mio rammarico è aver scoperto l'Antro solo pochi mesi fa, col riassunto della prima puntata di Dawson's Creek (mi sono scompisciato). Da lì è stato ammmmore a prima vista e ho letto tutto il leggibile qui.
Complimenti Doc per questo racconto, anch'io aspetto con trepidazione ogni nuova puntata.
Su "...un giovane in procinto di crepare come uno, e con uno, stronzo." sono morto. E poi risorto solo per finire di leggere.
Alta tensione qui.
RispondiEliminacliffhangerone!
RispondiEliminail mio suicidio è rimandato fino alla fine di questo racconto.
RispondiEliminaMOAR!!!1! XD dio mio la tensione mi uccide.
RispondiEliminaE il condominio de 'L'ultimo capodanno' muto😊Gran bell'intreccio doc, eccellente! Ps ho avuto pure io due televisori semirivestiti in simil-radica-simil-legno-simil-qualcosa, un Phonola del 1983 e un Philips del 1984, entrambi funzionanti fino a fine millennio...
RispondiEliminaAvvincente! Quando, nell'aprire il post, ho visto l'immagine di Grecia Colmenares ho capito subito che c'era di mezzo anche una catanna, una classica di quel decennio...
RispondiEliminaLe solite note 90's style:
- Grecia Colmenares era veramente un'incubo per chi, come me, aveva una cugina in età pre-adolescenziale, cresciuta con la nonna e che aveva superato da poco la fase cartoon (che io non superai, per fortuna, mai) e sognava storie di ragazzi e d'amore degne di un romanzo "Harmony" con sottofondo di Masini e Tozzi. Quando passavo le estati in campagna dalla nonna il nuovo trend erano loro: Topazio; Azocena; Marilena e tutta la scuderia per catanne di "rete four"...
- La TV Seleco in finto legno ce l'aveva sempre mia nonna in campagna. Era praticamente indistruttibile, era lì quando ero piccolo e ci rimase per buona parte degli anni 2000.
"Forte del suo contegno nobiliare, padrona del garbo derivatole dal suo lignaggio,[...]" Già sapevo dove si andava a parare, ma nel leggere il virgolettato della contessa (rigorosamente con l'accento cosentino di nonna paterna) ho riso rumorosamente e dolorosamente di bocca e di naso (e grazie al cielo da nessun altro orifizio).
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