Il mio Tokyo che cambia (nella forma e nel colore)
Esci da un Trader di Akihabara. Piove e nell'aria c'è elettricità e speranza, sotto il cielo viola. Tra gli ombrelli trasparenti e i neon, le maid dei cafè, i salaryman e i tipi improbabili. I volantini e i banchetti di mochi, i distributori automatici, le ciambelle di Mister Donut. È una scena che hai vissuto mille volte. Solo che è tutto diverso [...]
In quattordici anni le cose cambiano, le città pure. Hai vissuto l'evoluzione di Akihabara negli anni dell'esplosione della cultura anime, il tentativo di renderla un fiore all'occhiello del Giappone pop cool ed esportabile: i manga, gli anime e i viggì come le statue zozze di Murakami da milioni di dollari.
Hai visto la trasformazione, la progressiva scomparsa dei piccoli negozi di retrogaming, l'arrivo dei palazzoni, dei cinesi, dei grandi marchi. Dei turisti che fanno i pirla sotto la pioggia con i kart di Mario. Dei locali e dei negozi di souvenir a tema anime, che prendevano il posto di quelli a gestione familiare, di quelli più loschi, dei negozietti di materiale elettrico lì da una vita e mezzo, nel regno degli otaku, la Electric Town di un quartiere con il nome da anime Mediaset, "il campo delle foglie d'autunno".
Eppure.
Basta così poco, ad Akiba, per far ripartire la scintilla, per farti tornare a sognare. Sbucciarti la confezione da disilluso che questi luoghi li ha calcati per tanto tempo, convinto di aver visto tutto, e farti rivivere quello che è stato. A farti emozionare davanti a un'armatura d'oro da burronista a dimensioni naturali, un nuovo robot, un gioco vecchissimo. Spegni il cervello e ti perdi a scartabellare vecchi manga e laser disc, cartucce per famicom e action figure impilate una sull'altra. Incollato un'altra volta davanti alle vintaggerie delle vetrine del monolito di Mandarake o alle file di console di un Sofmap.
Sei il te stesso di oggi, sei quello che tre lustri fa sgranava gli occhi davanti a tutto. Qualcosa in grado di trasformarti in un rEgazzino, tanto, qui la trovi sempre.
Viviamo già nel futuro, sappiamo tutto, vediamo tutto. E sì, il Giappone di ieri, quello che il futuro lo era davvero, ha per molti aspetti oggi una patina malinconica di modernariato. Ma due miliardi di video sul Tubo non ti diranno mai com'è davvero. Com'è camminare una sera di quasi autunno, sotto la pioggia, sentendo il profumo di carne arrostita che ti ghermisce da un ristorantino fuori dal tempo, dietro le tendine. Com'è lasciarti trascinare nel flusso, entrare a far parte della massa pulsante di persone che fanno di questo posto un luogo diverso da tutto.
Socchiudere gli occhi, avvolto dal silenzio surreale del caos ordinato, e vedere, attraverso l'ombrello, le luci dei neon blurrate dalla pioggia dirti chi sei, in una lingua che comprendi solo in parte. Oggi come ieri, come sempre.
In quattordici anni le cose cambiano, le città pure. Hai vissuto l'evoluzione di Akihabara negli anni dell'esplosione della cultura anime, il tentativo di renderla un fiore all'occhiello del Giappone pop cool ed esportabile: i manga, gli anime e i viggì come le statue zozze di Murakami da milioni di dollari.
Hai visto la trasformazione, la progressiva scomparsa dei piccoli negozi di retrogaming, l'arrivo dei palazzoni, dei cinesi, dei grandi marchi. Dei turisti che fanno i pirla sotto la pioggia con i kart di Mario. Dei locali e dei negozi di souvenir a tema anime, che prendevano il posto di quelli a gestione familiare, di quelli più loschi, dei negozietti di materiale elettrico lì da una vita e mezzo, nel regno degli otaku, la Electric Town di un quartiere con il nome da anime Mediaset, "il campo delle foglie d'autunno".
Eppure.
Basta così poco, ad Akiba, per far ripartire la scintilla, per farti tornare a sognare. Sbucciarti la confezione da disilluso che questi luoghi li ha calcati per tanto tempo, convinto di aver visto tutto, e farti rivivere quello che è stato. A farti emozionare davanti a un'armatura d'oro da burronista a dimensioni naturali, un nuovo robot, un gioco vecchissimo. Spegni il cervello e ti perdi a scartabellare vecchi manga e laser disc, cartucce per famicom e action figure impilate una sull'altra. Incollato un'altra volta davanti alle vintaggerie delle vetrine del monolito di Mandarake o alle file di console di un Sofmap.
Sei il te stesso di oggi, sei quello che tre lustri fa sgranava gli occhi davanti a tutto. Qualcosa in grado di trasformarti in un rEgazzino, tanto, qui la trovi sempre.
Viviamo già nel futuro, sappiamo tutto, vediamo tutto. E sì, il Giappone di ieri, quello che il futuro lo era davvero, ha per molti aspetti oggi una patina malinconica di modernariato. Ma due miliardi di video sul Tubo non ti diranno mai com'è davvero. Com'è camminare una sera di quasi autunno, sotto la pioggia, sentendo il profumo di carne arrostita che ti ghermisce da un ristorantino fuori dal tempo, dietro le tendine. Com'è lasciarti trascinare nel flusso, entrare a far parte della massa pulsante di persone che fanno di questo posto un luogo diverso da tutto.
Socchiudere gli occhi, avvolto dal silenzio surreale del caos ordinato, e vedere, attraverso l'ombrello, le luci dei neon blurrate dalla pioggia dirti chi sei, in una lingua che comprendi solo in parte. Oggi come ieri, come sempre.
È tornare che è importante, come respirare quell'aria e pensare : もう帰る。E grazie per dividere con noi l`agrodolce del tuo Giappone
RispondiEliminaNel magico paese del sol Levante cit.
RispondiEliminaChe posto fantastico, purtroppo ci sono stato solo una volta ma mi è rimasto nel cuore. Ricordo che eravamo con due amici che volevano conoscere delle ragazze del luogo e non sapendo né il giapponese né l'inglese avevano agganciato una promoter che li aveva portati ad una conferenza di una idol. Inutile dire che erano passati dalle stelle alle stalle, pensando di aver fatto chissà quale conquista e poi si erano trovati in mezzo a degli esagitati che si strappavano i capelli per una regazzina...
RispondiEliminaVOGLIO. RIUSCIRE. ANCHE. IO. A. SENTIRE. TUTTO. QUESTO.
RispondiEliminaUN. GIORNO.
Un giorno ci andrò anch'io. Così, per vedere come è fatto un Paese civile ma diverso dal nostro concetto di civilità, serio e allo stesso tempo folle. Buon soggiorno.
RispondiEliminaDopo un viaggio e mezzo (il primo viaggio conta mezzo, è una storia lunga e alcuni vecchi antristi sanno) la voglia di tornare è tanta. Adesso devo tornare con mia figlia perché voglio mostrarle la terra dei miei sogni, forse ancora molto idealizzata ma bellissima lo stesso. Ho già pronto un elenco di posti da vedere e cose da fare; sicuramente andare d'inverno a Shirakawago e a Nagano, magari con sciatina.
RispondiEliminaAdesso ho due collaborazioni lavorative estemporanee con due clienti giapponesi e per la prima volta il chiodo fisso per il Giappone ha portato un guadagno e non una emorragia insensata di denaro. Sto cercando in tutti i modi di trasformare queste collaborazioni in qualcosa di duraturo e magari un domani in Giappone ci torno anche per lavoro.
Ale buona continuazione, al prossimo splendido post.
Durante l'antro tour di marzo ho solo potuto scalfire la superficie di quello che stai descrivendo tu, per colpa dello stupore della prima volta, del poco tempo, della frenesia di vedere.
RispondiEliminaLa lista dei posti da visitare e da vivere con calma è lunga...chissà se alla prossima riuscirò ad approfondire e a passare ad un livello superiore.
Buona permanenza, ciao Ale
... prendere un paio di vie a caso ed intravedere un tempio rialzato. Raggiungerlo ed entrare tra le bancarelle dei festeggiamenti di Capodanno (è il 2 gennaio 2016) e notare che tutti ti guardano straniati. "Che ci fa il turista qui? Si sarà perso?". Ovviamente mi sono perso. Tutte le volte mi perdo, apposta.
RispondiElimina«Socchiudere gli occhi, avvolto dal silenzio surreale del caos ordinato, e vedere, attraverso l'ombrello, le luci dei neon blurrate dalla pioggia dirti chi sei, in una lingua che comprendi solo in parte. Oggi come ieri, come sempre». È proprio così, non importa quante volte io sia già stata in Giappone, mi farà sempre lo stesso strano effetto. Ogni volta che vado via, penso sempre che ne ho abbastanza e che non sentirò più quel "richiamo", e invece. È come se ci lasciassi una parte di me e, dopo un po', sentire il bisogno di ricongiungermi ad essa. Credo sia davvero una questione d'identità, la mia casa è anche Tokyo, nonostante i suoi mille difetti. Mi ha data tanto e continuerà a farlo.
RispondiEliminaDopo aver letto per anni i tuoi reportaggi giapponesi sognando il giorno in cui sarei stato anche io lì, in quel futuro passato così alieno e così familiare, finalmente quest'anno posso leggerti con nella mente i miei ricordi dei luoghi che vedi, delle situazioni che vivi. Altra stagione, stessa incredibile città. E nonostante i pochi mesi trascorsi, già sale la voglia di tornare.
RispondiElimina...e mi sento catapultato in quella puntata di Lamù in cui lei e Ataru uscivano insieme per la prima volta...
RispondiElimina"Giappone, il futuro di ieri" è sicuramente uno dei post top 3 nella mia classifica personale qui sull'antro. Sono felice di averlo riletto.
RispondiEliminaPerò sono triste, perché in Giappone ci voglio andare.
Noi in questi casi ci cibiamo delle tue sensazioni, un po come dei maledetti vampiri, ma d'altronde per chi come me non è ancora stato li e il minimo che possa fare ;) Buona continuazione Doc.
RispondiEliminaHo avuto la stessa sensazione, siamo coetanei e quindi tutti i riferimenti al near future che rappresentava il Giappone per la fantascienza anni 80 mi ha fatto innamorare e mi ha portato a studiare lingua cultura e a viverci. Dicevo, nel 99 il Giappone, almeno ai miei occhi, era ancora anni avanti, anche se la sensazione di retronuevo stava già insinuandosi (ho ancora il walkman del ventennale in alluminio che sembra tuttora fantascienza). Tornato a viverci nel 2003 la sensazione di essere su un altro pianeta era già scomparsa, il gap temporale fra l'uscita di un nuovo supporto hi tech fra Giappone e occidente si era accorciata, in massimo 6 mesi avevi tutto anche in usa o Europa. E soprattutto da culto per pochi mi sono ritrovato a sorbirmi le filippiche di tutti quelli che, andati una volta in Giappone, volevano spiegarmi come erano i giapponesi, come era figa Tokyo, i migliori ramen-ya e via discorrendo. Tanto che oramai evito di parlare del Giappone, come se non ci fossi mai stato e non sapessi la lingua.
RispondiEliminaEcco, l’ultimo paragrafo lascia interdetti, in equilibrio tra suggestione e malinconia. Meraviglioso distillato di ciò che amo di questo blog.
RispondiEliminaDoc, magari suona un po’ inquietante, ma sono stanco ogni 2 per 3 di aprire il telefono e pescare dai preferiti il post “Giappone, il futuro di ieri”. Così ne sto facendo un quadro 80x140 cm, da appendere in casa. Testo e immagini tali e quali, mi permetto solo di aggiungere il tuo nome in calce.
Quel post rappresenta i sogni infranti della mia generazione, dei nerd prima dei nerd in equilibrio tra la Los Angeles di Balde Runner e la Neo Tokyo di Akira. Sogni infranti dal fatto di essere diventato adulto, credo. Ma va bene così.
Grazie di tutto. Davvero.
Sono andato l'anno scorso a Tokyo per la prima volta. Mi porto dentro il Giappone da quel momento, una nostalgia assurda e incredibile.
RispondiEliminaTokyo tutta (e Akiba in particolare) mi fa sempre quell'effetto madeleine proustiano non appena la retina registra i primi raggi sparati dai led delle insegne, il naso percepisce l'odore del misoshiro che fuoriesce dalle scorrevoli di qualche ristorante di ramen, l'orecchio è bombardato dai jingle dei mille negozietti che si fondono sul marciapiede.
RispondiEliminaNon posso farci niente, ci passerei le giornate. Anche solo a star seduto da qualche parte a inebriarmi in silenzio di tutto questo, pucciarci l'essenza per ricaricarla.
Felice di vedere che qui dentro sono in buona compagnia.
Per il momento sono stato solo tre volte in Giappone, aspetto che mia figlia abbia un'età che le possa permettere un viaggio così lungo e allora sarò di nuovo li a godere della magia di quei posti
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RispondiEliminaBellissima storia fatta di ricordi passati presenti e futuri poesia pura direi ,come il Giappone d'altronde.
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