Giappone, il futuro di ieri
C'è un motivo ben preciso se hai sempre amato il Giappone, e non è solo riconducibile al bombardamento di anime, videogiochi e, a partire dai primissimi anni 90, manga a cui te e molti altri della tua generazione vi siete felicissimamente esposti. A quella generazione lì è stato insegnato che il Giappone era il futuro: una terra meravigliosa in cui il domani era già arrivato. E a insegnartelo non erano mica i giapponesi: ci pensava Hollywood, in un misto di genuina meraviglia e malcelato timore [...]
Potremmo dire che, come sempre, tutto parta da Blade Runner, ma non sarebbe del tutto vero. Nel 1982 il mondo era già ben conscio dell'incredibile progresso tecnologico giapponese (a lasciare tutti con la bocca aperta avevano pensato già quasi vent'anni prima le Olimpiadi di Tokyo e i suoi shinkansen: alta velocità nel 1964), e assisteva all'aggressiva conquista del mercato da parte delle grandi aziende nipponiche. Dopo aver saturato il mercato interno, Sony, Toyota e le altre zaibatsu si erano lanciate alla conquista dell'Occidente. Mentre la borsa di Tokyo galoppava e la bolla speculativa del mercato immobiliare si gonfiava a dismisura, in America non erano in pochi a pensare che i giapponesi sarebbero diventati la più grande potenza economica del pianeta. La fantascienza, come spesso accade, fu solo la prima a dare un volto a questi timori.
Laddove per "fantascienza" intendi soprattutto due nomi. Il primo è chiaramente quello di Ridley Scott: dell'estetica della metropoli di Blade Runner si ricorda soprattutto la geisha che ingoia a nastro la sua pillola (anticoncezionale) sullo schermo gigante, ma la Los Angeles del 2019 è piena di elementi giapponesi. Visibili, nella foto qui sopra, un bozzetto realizzato dallo stesso Scott, o in quelle a seguire in alcune grafiche utilizzate nel film: guardate la quantità di testo giapponese
Scott non aveva fatto altro, del resto, che pucciare in una panatura orientale (il ramen consumato da Deckard al sidewalk diner) la visione di una metropoli incasinatissima e piena di neon di Moebius
(se ne parlava qui), per rafforzare il concetto del melting pot di culture, e poi dare a quel tema orientale un sapore soprattutto giapponese, per i motivi esposti sopra.
Il secondo nome è, altrettanto chiaramente, quello di William Gibson. Nel 1984, Neuromante (Neuromancer) è, al contempo, il manifesto della narrativa cyberpunk, il primo romanzo della trilogia dello Sprawl e un pozzo nel quale centinaia e centinaia di autori andranno ad attingere negli anni successivi per dar vita alle loro storie, anche e soprattutto a fumetti. L'hacker chiamato Case, il protagonista, vive a Chiba, città a 40 chilometri da Tokyo. È solo uno dei primi baci con lingua nella lunga storia d'ammmore tra Gibson e Nippolandia: perché le grandi corporation (zaibatsu) affiancate alla bisogna dalla yakuza fornivano uno scenario perfetto, e perché le metropoli giapponesi dei primi anni 80, con la loro cacofonia di insegne al neon e schermi giganti, erano già il futuro.
Quando il Time gli chiese tempo dopo, in un'intervista, perché il Giappone fosse un setting tanto utilizzato da lui e dagli altri autori cyberpunk negli anni 80, Gibson rispose che "il Giappone moderno era allora già cyberpunk". Il futuro già presente, quel senso di vertigine che chiunque sia stato in Giappone ha provato le prime volte, formichina appiedata nella Times Square sotto steroidi (Shibuya)
o guardando dall'alto di notte la sconfinata distesa di luci, grattacieli e sopraelevate volgarmente nota come Tokyo. Dopo Blade Runner e negli anni del boom del cyberpunk, lo stupore un filo preoccupato per questi giapponesi che si comprano i grattacieli di New York (il Sony Building) e diventano il primo creditore del mondo, sfornano tecnologia di alta qualità e vivono l'edonismo sfrenato del sogno capitalistico americano al cubo, permea buona parte della fantascienza americana anni 80. Le zaibatsu sono ovunque.
Già nel '79 lo stesso Ridley Scott aveva rifilato un nome nippoamericano alla mega-corporation proprietaria della nave Nostromo di Alien. Sette anni dopo, nel seguito diretto da James Cameron (Aliens - Scontro Finale), la Weyland-Yutani è ancora più al centro della vicenda, mentre continua a perseguire i suoi loschi piani di farsi un allevamento di xenomorfi in casa, succeda quel che succeda a dipendenti e marine.
In Ritorno al Futuro - Parte II (1989), il Marty del 2015, sulla cui doppia cravatta campeggia una versione stilizzata del Sol Levante, viene licenziato dal suo capo, il signor Fujitsu: una metafora sottile quanto un pachiderma.
In Ritorno al Futuro - Parte III, il Doc del 1955 dice a Marty: "Ecco perché non ha funzionato: c'è scritto Made in Japan", ma Marty gli risponde che nel suo mondo, nel 1985, le cose sono un tantino diverse: "E che vuol dire, Doc? Tutta la roba migliore è fatta in Giappone".
In Johnny Mnemonic, pedestre trasposizione del 1995 di un racconto breve omonimo di Gibson del 1981 (poi inserito nella raccolta del 1986 La notte che bruciammo Chrome), il mondo del 2021 riflette in pieno le coordinate base delle ambientazioni cyberpunk: megacorporazioni e giapponesitudine in ogni dove. Tra l'altro, come noto, la versione giapponese del film è più lunga, perché include alcune scene extra incentrate sul personaggio di Takahashi (Takeshi Kitano).
Lo stesso discorso vale per il poco conosciuto New Rose Hotel (1998, di Abel Ferrara, con Asia Argento, Christopher Walken e Willem Dafoe): altra trasposizione di un racconto di Gibson di quasi vent'anni prima. Curiositade: il personaggio di Hiroshi è interpretato da Yoshitaka Amano, artista noto soprattutto per le sue illustrazioni di Final Fantasy.
Ma non è solo il cinema fantascienzo a guardare a quel tipo di Giappone. Per raccontare la storia di due poliziotti di New York che finiscono nei casini con la yakuza di Osaka del presente, fu tirato in ballo non a caso Ridley Scott. Ironia della sorte, il regista che aveva dato al futuro un volto nipponico ebbe durante la produzione di Black Rain - Pioggia Sporca (1989) una serie enorme di casini, che lo spinsero a completare il film in California e a giurare che non sarebbe mai più tornato a lavorare in Giappone. Piccoli ingrati.
In Die Hard - Trappola di Cristallo (1988, di John McTiernan), lo scazzatissimo John McClane aggide terroristi all'interno del Nakatomi Plaza,
immaginario grattacielo di Los Angeles di proprietà dell'altrettanto fittizia società giapponese omonima (in realtà il Fox Plaza).
Shock culturale, casini internazionali alla Black Rain e corporation che organizzano feste, festini e trenini brigittibardò negli USA danno vita nel 1993 a Sol Levante (Rising Sun) di Philip Kaufman, tratto dal romanzo omonimo di Michael Crichton dell'anno precedente.
E poi ci sarebbe il discorso del ninja cyborg del terrificante Robocop 3 (1993, di Fred Dekker), con cui si tentava di cogliere acrobaticamente due piccioni robotici con una fava, buttandoci dentro pure un po' dell'infatuazione ancora non scemata del cinema americano di serie Z per ninja e katane (quello è un altro discorso, ne parliamo un'altra volta). E? E una fava, appunto.
Ma mentre Hollywood continua a guardare a Est (nel loro caso, a Ovest), c'è qualcuno che è rimasto indietro. Il Giappone. Nel 1990 lo scoppio della bolla speculativa e il conseguente crollo della Borsa trascina il Paese in una crisi dalla quale fatica a venir fuori ancora oggi. La crescita senza fine partita nel secondo dopoguerra si ferma, per poi iniziare a perdere una parte del terreno conquistato. Il Giappone resta per tutto il decennio la seconda economia del pianeta, ma la recessione colpisce duro in tutti i settori. Hollywood, presa com'è a limonare con il cyberpunk (con dieci anni buoni di ritardo, ma con qualche giustificazione, vedi sotto) e il concetto di grandi aziendone supernippofantozziane malvagie, ancora non se n'è resa conto, ma il futuro non ha più quel volto. Il Giappone ha rallentato, e una parte del mondo, nell'arco di una decina di anni, arriverà ad affiancarlo. Basti guardare le selve di grattacieli luminosi che hanno cambiato profilo alle metropoli cinesi.
Ma torniamo agli anni 90. Se il Giappone reale rallenta, quello dell'immaginario collettivo accelera, grazie al boom delle console, dell'invasione degli anime e, in mercati come il nostro, di quella parallela dei manga. I grattacieli alti chilometri che fanno da sfondo all'inseguimento in moto di Akira, la metropoli di Ghost in the Shell, esempio più luminoso tra i tanti della lezione del cyberpunk assimilata e reinterpretata dai giapponesi.
Hollywood e dintorni ne approfittano, come visto, gettandosi a bomba su interfacce neurali e realtà virtuali (vedi anche Virtuality-Virtuosity e Il Tagliaerbe, entrambi diretti da Brett Leonard), gli altri media si accodano: nel futuro del 2099 dell'universo Marvel, tanto per fare un esempio, non esistono più le Stark Industries, ma la mega-corporazione Stark Fujikawa.
Per i ragazzi di tutto il globo, il Giappone è il regno dell'entertainment audiovisivo, un luogo in cui le nuove console escono con ANNI di anticipo e centinaia di anime e manga ancora sconosciuti in Occidente sono già fenomeni di culto. Se non tiene più per i testicoli l'economia del pianeta come nel decennio precedente, Nippolandia fa di tutto per afferrare alla gola i fruitori dell'industria pop: le nippofobie da zaibatsu aggressive diventano nippofilia da otaku della prima ora. Non è un caso allora che perfino videogame nati in Occidente come quelli della serie WipEout giochino sin dalla copertina con grafiche e loghi giapponesi (curati dallo studio inglese The Designers Republic), o che altri sparino in cover delle eroine clone di Motoko Kusanagi (Oni di Bungie), strizzando entrambi gli occhi a quanto viene da Tokyo e dintorni. Per i ragazzi più giovani, cresciuti a Dragonball ed Evangelion, esattamente come quelli sottoposti al primo bombardamento anime dieci anni prima, cool il Giappone lo resterà probabilmente a vita, per meriti pregressi.
Ma trentadue anni dopo Blade Runner, il futuro fantascienzo non ha più quel volto, dicevi. L'economia cinese ha superato quella giapponese e le sue metropoli, dicevi poco fa anche questo, si sono riempite di grattacieli e insegne al neon. Solo che la Cina di oggi non ha minimanente quel fascino futuribile che poteva vantare il Giappone di trent'anni fa. La fantascienza odierna guarda sempre più alla Cina per il suo potere economico, ma quell'intrigante mix di incasinata, industriale tecnologia del domani dietro la porta non c'è più.
Il futuro dai tratti giapponesi di Blade Runner è diventato vintaggio quanto le sue insegne di Panam e Atari; il futuro di ieri, oggi è solo una malinconica, luminosa cartolina un po' sbiadita di sogni e paure del passato.
UN ALTRO POST ALTRETTANTO DEPRIMENTE SUL FUTURO... NEL PASSATO:
Cosa succederà nei prossimi anni (secondo il cinema di fantascienza)
Potremmo dire che, come sempre, tutto parta da Blade Runner, ma non sarebbe del tutto vero. Nel 1982 il mondo era già ben conscio dell'incredibile progresso tecnologico giapponese (a lasciare tutti con la bocca aperta avevano pensato già quasi vent'anni prima le Olimpiadi di Tokyo e i suoi shinkansen: alta velocità nel 1964), e assisteva all'aggressiva conquista del mercato da parte delle grandi aziende nipponiche. Dopo aver saturato il mercato interno, Sony, Toyota e le altre zaibatsu si erano lanciate alla conquista dell'Occidente. Mentre la borsa di Tokyo galoppava e la bolla speculativa del mercato immobiliare si gonfiava a dismisura, in America non erano in pochi a pensare che i giapponesi sarebbero diventati la più grande potenza economica del pianeta. La fantascienza, come spesso accade, fu solo la prima a dare un volto a questi timori.
Laddove per "fantascienza" intendi soprattutto due nomi. Il primo è chiaramente quello di Ridley Scott: dell'estetica della metropoli di Blade Runner si ricorda soprattutto la geisha che ingoia a nastro la sua pillola (anticoncezionale) sullo schermo gigante, ma la Los Angeles del 2019 è piena di elementi giapponesi. Visibili, nella foto qui sopra, un bozzetto realizzato dallo stesso Scott, o in quelle a seguire in alcune grafiche utilizzate nel film: guardate la quantità di testo giapponese
Scott non aveva fatto altro, del resto, che pucciare in una panatura orientale (il ramen consumato da Deckard al sidewalk diner) la visione di una metropoli incasinatissima e piena di neon di Moebius
(se ne parlava qui), per rafforzare il concetto del melting pot di culture, e poi dare a quel tema orientale un sapore soprattutto giapponese, per i motivi esposti sopra.
Il secondo nome è, altrettanto chiaramente, quello di William Gibson. Nel 1984, Neuromante (Neuromancer) è, al contempo, il manifesto della narrativa cyberpunk, il primo romanzo della trilogia dello Sprawl e un pozzo nel quale centinaia e centinaia di autori andranno ad attingere negli anni successivi per dar vita alle loro storie, anche e soprattutto a fumetti. L'hacker chiamato Case, il protagonista, vive a Chiba, città a 40 chilometri da Tokyo. È solo uno dei primi baci con lingua nella lunga storia d'ammmore tra Gibson e Nippolandia: perché le grandi corporation (zaibatsu) affiancate alla bisogna dalla yakuza fornivano uno scenario perfetto, e perché le metropoli giapponesi dei primi anni 80, con la loro cacofonia di insegne al neon e schermi giganti, erano già il futuro.
Quando il Time gli chiese tempo dopo, in un'intervista, perché il Giappone fosse un setting tanto utilizzato da lui e dagli altri autori cyberpunk negli anni 80, Gibson rispose che "il Giappone moderno era allora già cyberpunk". Il futuro già presente, quel senso di vertigine che chiunque sia stato in Giappone ha provato le prime volte, formichina appiedata nella Times Square sotto steroidi (Shibuya)
o guardando dall'alto di notte la sconfinata distesa di luci, grattacieli e sopraelevate volgarmente nota come Tokyo. Dopo Blade Runner e negli anni del boom del cyberpunk, lo stupore un filo preoccupato per questi giapponesi che si comprano i grattacieli di New York (il Sony Building) e diventano il primo creditore del mondo, sfornano tecnologia di alta qualità e vivono l'edonismo sfrenato del sogno capitalistico americano al cubo, permea buona parte della fantascienza americana anni 80. Le zaibatsu sono ovunque.
Già nel '79 lo stesso Ridley Scott aveva rifilato un nome nippoamericano alla mega-corporation proprietaria della nave Nostromo di Alien. Sette anni dopo, nel seguito diretto da James Cameron (Aliens - Scontro Finale), la Weyland-Yutani è ancora più al centro della vicenda, mentre continua a perseguire i suoi loschi piani di farsi un allevamento di xenomorfi in casa, succeda quel che succeda a dipendenti e marine.
In Ritorno al Futuro - Parte II (1989), il Marty del 2015, sulla cui doppia cravatta campeggia una versione stilizzata del Sol Levante, viene licenziato dal suo capo, il signor Fujitsu: una metafora sottile quanto un pachiderma.
In Ritorno al Futuro - Parte III, il Doc del 1955 dice a Marty: "Ecco perché non ha funzionato: c'è scritto Made in Japan", ma Marty gli risponde che nel suo mondo, nel 1985, le cose sono un tantino diverse: "E che vuol dire, Doc? Tutta la roba migliore è fatta in Giappone".
In Johnny Mnemonic, pedestre trasposizione del 1995 di un racconto breve omonimo di Gibson del 1981 (poi inserito nella raccolta del 1986 La notte che bruciammo Chrome), il mondo del 2021 riflette in pieno le coordinate base delle ambientazioni cyberpunk: megacorporazioni e giapponesitudine in ogni dove. Tra l'altro, come noto, la versione giapponese del film è più lunga, perché include alcune scene extra incentrate sul personaggio di Takahashi (Takeshi Kitano).
Lo stesso discorso vale per il poco conosciuto New Rose Hotel (1998, di Abel Ferrara, con Asia Argento, Christopher Walken e Willem Dafoe): altra trasposizione di un racconto di Gibson di quasi vent'anni prima. Curiositade: il personaggio di Hiroshi è interpretato da Yoshitaka Amano, artista noto soprattutto per le sue illustrazioni di Final Fantasy.
Ma non è solo il cinema fantascienzo a guardare a quel tipo di Giappone. Per raccontare la storia di due poliziotti di New York che finiscono nei casini con la yakuza di Osaka del presente, fu tirato in ballo non a caso Ridley Scott. Ironia della sorte, il regista che aveva dato al futuro un volto nipponico ebbe durante la produzione di Black Rain - Pioggia Sporca (1989) una serie enorme di casini, che lo spinsero a completare il film in California e a giurare che non sarebbe mai più tornato a lavorare in Giappone. Piccoli ingrati.
In Die Hard - Trappola di Cristallo (1988, di John McTiernan), lo scazzatissimo John McClane aggide terroristi all'interno del Nakatomi Plaza,
immaginario grattacielo di Los Angeles di proprietà dell'altrettanto fittizia società giapponese omonima (in realtà il Fox Plaza).
Shock culturale, casini internazionali alla Black Rain e corporation che organizzano feste, festini e trenini brigittibardò negli USA danno vita nel 1993 a Sol Levante (Rising Sun) di Philip Kaufman, tratto dal romanzo omonimo di Michael Crichton dell'anno precedente.
E poi ci sarebbe il discorso del ninja cyborg del terrificante Robocop 3 (1993, di Fred Dekker), con cui si tentava di cogliere acrobaticamente due piccioni robotici con una fava, buttandoci dentro pure un po' dell'infatuazione ancora non scemata del cinema americano di serie Z per ninja e katane (quello è un altro discorso, ne parliamo un'altra volta). E? E una fava, appunto.
Ma mentre Hollywood continua a guardare a Est (nel loro caso, a Ovest), c'è qualcuno che è rimasto indietro. Il Giappone. Nel 1990 lo scoppio della bolla speculativa e il conseguente crollo della Borsa trascina il Paese in una crisi dalla quale fatica a venir fuori ancora oggi. La crescita senza fine partita nel secondo dopoguerra si ferma, per poi iniziare a perdere una parte del terreno conquistato. Il Giappone resta per tutto il decennio la seconda economia del pianeta, ma la recessione colpisce duro in tutti i settori. Hollywood, presa com'è a limonare con il cyberpunk (con dieci anni buoni di ritardo, ma con qualche giustificazione, vedi sotto) e il concetto di grandi aziendone supernippofantozziane malvagie, ancora non se n'è resa conto, ma il futuro non ha più quel volto. Il Giappone ha rallentato, e una parte del mondo, nell'arco di una decina di anni, arriverà ad affiancarlo. Basti guardare le selve di grattacieli luminosi che hanno cambiato profilo alle metropoli cinesi.
Ma torniamo agli anni 90. Se il Giappone reale rallenta, quello dell'immaginario collettivo accelera, grazie al boom delle console, dell'invasione degli anime e, in mercati come il nostro, di quella parallela dei manga. I grattacieli alti chilometri che fanno da sfondo all'inseguimento in moto di Akira, la metropoli di Ghost in the Shell, esempio più luminoso tra i tanti della lezione del cyberpunk assimilata e reinterpretata dai giapponesi.
Hollywood e dintorni ne approfittano, come visto, gettandosi a bomba su interfacce neurali e realtà virtuali (vedi anche Virtuality-Virtuosity e Il Tagliaerbe, entrambi diretti da Brett Leonard), gli altri media si accodano: nel futuro del 2099 dell'universo Marvel, tanto per fare un esempio, non esistono più le Stark Industries, ma la mega-corporazione Stark Fujikawa.
Per i ragazzi di tutto il globo, il Giappone è il regno dell'entertainment audiovisivo, un luogo in cui le nuove console escono con ANNI di anticipo e centinaia di anime e manga ancora sconosciuti in Occidente sono già fenomeni di culto. Se non tiene più per i testicoli l'economia del pianeta come nel decennio precedente, Nippolandia fa di tutto per afferrare alla gola i fruitori dell'industria pop: le nippofobie da zaibatsu aggressive diventano nippofilia da otaku della prima ora. Non è un caso allora che perfino videogame nati in Occidente come quelli della serie WipEout giochino sin dalla copertina con grafiche e loghi giapponesi (curati dallo studio inglese The Designers Republic), o che altri sparino in cover delle eroine clone di Motoko Kusanagi (Oni di Bungie), strizzando entrambi gli occhi a quanto viene da Tokyo e dintorni. Per i ragazzi più giovani, cresciuti a Dragonball ed Evangelion, esattamente come quelli sottoposti al primo bombardamento anime dieci anni prima, cool il Giappone lo resterà probabilmente a vita, per meriti pregressi.
Ma trentadue anni dopo Blade Runner, il futuro fantascienzo non ha più quel volto, dicevi. L'economia cinese ha superato quella giapponese e le sue metropoli, dicevi poco fa anche questo, si sono riempite di grattacieli e insegne al neon. Solo che la Cina di oggi non ha minimanente quel fascino futuribile che poteva vantare il Giappone di trent'anni fa. La fantascienza odierna guarda sempre più alla Cina per il suo potere economico, ma quell'intrigante mix di incasinata, industriale tecnologia del domani dietro la porta non c'è più.
Il futuro dai tratti giapponesi di Blade Runner è diventato vintaggio quanto le sue insegne di Panam e Atari; il futuro di ieri, oggi è solo una malinconica, luminosa cartolina un po' sbiadita di sogni e paure del passato.
UN ALTRO POST ALTRETTANTO DEPRIMENTE SUL FUTURO... NEL PASSATO:
Cosa succederà nei prossimi anni (secondo il cinema di fantascienza)
Bellissima analisi, Doc. Bella bella davvero.
RispondiEliminacavoli era da tempo che riflettevo sul fatto che negli anni '80 il futuro sembrava più "futuristico" di quello che si vede nel cinema attuale ma non riuscivo a capire il perché
RispondiEliminanon avevo mai fatto questo collegamento futuro-giappone eppure adesso sembra così ovvio, grande doc
se non ricordo male anche al di fuori dell'ambito fantascienza,negli anni 80 hanno fatto diversi film sul tema "arrivano i giapponesi e ci si comprano" tipo Gung Ho con Michael Keaton,qualcuno se lo ricorda?
RispondiEliminaInfatti anche in Robocop 3 la tremenda OCP viene acquistata dalla Kanemitsu Superprodotti (ho pescato il nome da Wikipedia)
EliminaUn post che levati! Mamma mia doc se è bello.
RispondiEliminache bel post, complimenti davvero. anch'io sono cresciuto a pane, robot giapponesi e manga, ma negli ultimi anni sento quel mondo veramente distante da me. Forse sono le notizie che arrivano riguardo un paese in cui si muore di troppo lavoro che me lo rendono meno affascinante, forse perche' alla soglia dei 40 quel paradiso fatto di manga, anime, videogames non ha piu' lo stesso fascino. Una visitina al Giappone pero' prima o poi mi riservo di farla.
RispondiEliminaGrazie Doc, ora mi vedo "costretto" a leggermi tutto quello che trovo di Gibson..
RispondiEliminaNew Rose Hotel è, a parer mio, un gran bel film e non sapevo che si basasse su un romanzo (racconto?) di Gibson. Si ringrazia Gezzi per averlo proiettato su Raitre quella sera del 200equalcosa a fuori orario. Lo registrai per sbaglio e non me ne pento
RispondiEliminaGran pezzo davvero doc, grazie!
RispondiEliminaCina vicina e voli diretti Kiev -Rimini ripieni di miliardari ucraini ansiosi di spendere i dindi di fronte ad un Adriatico poco meno che radioattivo. Blade Runner potrebbe aver fatto il suo tempo ed essere stato superato nel crepuscolo dalle previsioni di Vamos alla playa dei Righeira, ma siamo tanto ma tanto fortunati da vivere in tempi interessanti, come prescrive una famigerata maledizione cinese ( appunto ) in cui il nuovo cinema cyberpunk - la declinaz della sci-fi che meglio cattura lo zeitgeist - racconterà le Madripoor che spuntano rapide come intramuscolari qui e là -la location + ripresa in video e film qui a Milano è il neo quartiere di grattacieli di piazza Gae Aulenti - in cui si possono aggiornari i miti di guerrieri della notte, Biscia Russell alla ricerca del prez perduto al'ombra delle macerie della Expo e cyborgs di nuova generaz persi dietro le loro app. Il futuro è trenta minuti di storia sincopata scaricata nel Tubo e recitata da tizi che si incontrano ogni giorno nel tube ( nel sendo di metropolitana ndr ).
RispondiEliminaEh Neuromante è in lista da un po'. Ma ho altro da leggere al momento. La svastica sul sole di dick per esempio. Anche lì il giappone (dalle prime pagine) sembra messo bene XD
RispondiEliminaSì, anche se lì è naturalmente solo il frutto della visione ucronica dell'Asse che ha vinto il secondo conflitto mondiale, e quell'America è piena di giapponesi quanto di nazisti.
EliminaVeramente un bel post
EliminaMODE PDF ON
Fra l'altro lo stesso Dick diceva che il Giappone della Svastica Sul Sole è più una costruzione immaginaria da contrapporre ai nazisti che uno sviluppo paradossistico del Giappone reale.
S
P
O
I
L
E
R
In pratica a Dick serviva un'occupante che usava il "soft power" da contrapporre all'occupante nazista che invece faceva... il nazista. Per questo ha usato un Giappone che governa la East Coast in maniera civile e diffonde la sua civiltà genericamente "orientale", rappresentata dal Libro delle Divinazioni, tra tutti i gruppi etnici.
Ovviamente chi conosce la storia del colonialismo giapponese, sa che i metodi sono stati tutt'altro che soft.
MODE PDF OFF
Comunque c'è anche un altro dato: il Giappone era (e rimane) un mercato della madonna e questo ovviamente rientrava nei calcoli che si facevano sui prodotti.
In Cina solo negli ultimi anni alcuni film (Looper, Pacific Rim) hanno cominciato a fare seriamente la differenza in termini di mercato.
Applausi.
RispondiEliminaEh si, quanta amara verità nelle tue parole... Il Giappone per noi nati nei '70 e negli '80 sarà sempre la terra promessa.
RispondiEliminaLessi simili considerazioni in un trafiletto uscito su di uno speciale di Ratman dedicato alla saga di Alien - "Allen". Complimenti per aver approfondito in maniera ineccepibile il concetto, fornendo altri interessanti spunti di riflessione.
RispondiEliminaSempre per rimanere su Gibson, ma soprattutto sul futuro "che non c'è più", suggerisco la lettura del suo racconto "Il continuum di Gernsback" (inserito sia in "Mirrorshades", a cura di Sterling, sia ne "La notte che bruciammo Chrome"), e poi l'ascolto dell'analisi che ne fece Wu Ming 1 (più che interessante, anche se un po' tecnico-linguistica).
RispondiEliminaL'analisi si trova nella prima parte di questo podcast: http://www.wumingfoundation.com/giap/?p=4353
Bel post. Stavo pensando, e lo chiedo anche a te, se oggi c'è qualche nazione (o realtà culturale) che ha lo stesso livello di penetrazione del Giappone di 30anni fa come lo è stato per noi all'epoca. Se dovessi rispondere senza troppo riflettere, oggi non c'è un futuro percepibile dalla cultura pop e manca un modello così vasto e strutturato. Che ne dici?
RispondiEliminaMagari dico una cacchiata o intendiamo cose diverse, ma mi sembra che la nostra società sia - da decenni - pesantemente imbevuta di "cultura" statunitense, molto più di quanto non lo sia da quella giapponese... Pensiamo anche solo alla rilevanza data nelle news e al numero di serie televisive e film (nonchè cartoni e fumetti), di grande successo...
EliminaCertamente, il Giappone più che altro ha influenzato la cultura "nerd", possiamo dire, ma il paese che ha imposto maggiormente la sua cultura sono gli Stati Uniti senza ombra di dubbio, ciò si può vedere in Italia ma anche nel Giappone stesso, a dirla tutta.
EliminaBellisima dissertazione, coglie molto di un immaginario che in parte si è evoluto nel tempo. Joss Whedon aveva provato a rivedere il modello in Fire Fly immaginando un futuro dove il far west spaziale veniva cinesizzato.
RispondiEliminaAltro discorso è quello che vede le keiretsu regredire nel futuro in zaibatsu sotto l'egida non più di un potere feudale ma criminale come quello della yakuza.
Ora il futuro che immaginerei io per una visione fantascientifica è forse quello di una grossa crisi economica che possa portare a guerre e rivoluzioni date dalla grossa disparità tra poveri + ex ricchi e una élite di ricchi. Scusate, ho idea che già stia succedendo.
C'è una scena però, proprio in uno dei film di Ghost in the shell, dove il paesaggio non è più infatti del tutto nipponico, ma una sorta di mega città asiatica alla Blade Runner, sì, dove trovano posto anche gli elefanti. Come se, insomma, il Giappone stesso si sia reso conto di come l'asse si stesse spostando di là.
RispondiEliminahttps://www.youtube.com/watch?v=bhXFsWui6x4
Doc, bel post.
RispondiEliminaPersonalmente ritengo che il Giappone non abbia perso un briciolo di quel fascino anzi... Tutte le volte che ci sono stato , ho sempre avuto quel brividino, quella pelle di daino che si ha nelle occasioni speciali.
Ancor di più avendo vissuto fuori dalle megalopoli, quando ci son tornato, il sense of wonder mi arrivava in faccia tipo gancio destro di Tyson.
Detto questo, vorrei fare un po il precisino ino ino della fungina ina ina. E' vero che da noi Akira e Ghost in the shell (manga) sono arrivati più tardi ma in patria il primo è stato pubblicato nell'arco di quasi un decennio (82-90) e il secondo sul finire di esso. Personalmente li ritengo prodotti che combaciano perfettamente con la cultura Cyberpunk degli 80 più che dei 90.
Parlavo ovviamente dell'influenza sull'occidente degli anime di Akira (arrivato in Europa e USA solo nel 90) e GitS, non dell'uscita dei rispettivi manga in patria.
EliminaDoc complimenti! Post da brividi ;)
RispondiEliminaGran bel pezzo Doc, complimenti!
RispondiEliminaCiao Doc,uno dei tuoi migliori pezzi,complimenti.
RispondiEliminaSono completamente d'accordo sul tuo sguardo al Giappone della nostra infanzia e adolescenza.
Oggi purtroppo il Giappone si è chiuso in se stesso,le aziende giapponesi hanno perso terreno ovunque e per quel che riguarda i giochi i giapponesi sono rimasti ancorati alle console,senza degnaredi uno sguardo i pc(eccetto giochi hentai e dating) e soprattutto il crescente mercato mobile.
Personalmente ritengo che più che dalla Cina,mero braccio delle aziende estere,la sfida al futuro per l'oriente sia stata raccolta dalla Corea del Sud con la sua Samsung,la sua LG e le sue softco.
La Corea si sta aprendo all'occidente mentre il giappone si chiude sempre di più,diventando un'isola(ogni doppio senso è puramente voluto) con le sue mode uniche che difficilmente escono da lì.
E niente: come al solito hai preso quello che avrebbe potuto dire uno qualsiasi di noi, l'hai riempito con le citazioni della tua IMMENSA cultura cinefila, e ne hai tratto un post che è un capolavoro. Ammirazione a palate. Ed altrettanta invidia.
RispondiEliminaP.S.: per abbassare un poco il tasso di mariomerolitudine... secondo me il Giappone è stata solo la prima delle "bolle dell'immaginario" sulla fascinazione per quello che sarà "il futuro": sono seguite "il computer", il "Web 2.0", ed il prossimo passo, secondo me, saranno "i robot". Ne abbiamo l'anticipazione coi robot che spuntano un po' ovunque.
UFFF, nuovamente sbagliato a premere il bottone e post cancellato! E riscriviamolo! :-)
RispondiEliminaComplimenti Doc, bellissimo post. La chiusura finale poetica e' stupenda, mi ha lasciato veramente un bel po' di Nostalgia Canalis. Mi rendo veramnete conto che la mia visione di futuro e' definitivamente legata al passato! :-) A tal proposito, posso chiedere qualche consiglio antristico su scrittori fantascienzi emergenti, giusto per cambiare un po' i miei paradigmi? :-) PS ho appena finito di leggere il tuo ultimo libro, bello! Mi ha fatto venire un bell'attacco di nostalgia alla gola, grazie!
Articolo molto interessante. In realtà l'idea dell'indiscussa superiorità giapponese nel campo della ricerca e della tecnologia ormai è più il frutto di un pregiudizio cristallizzato nell'immaginario collettivo, che non un dato empirico. Basti pensare al campo della robotica: all'indomani dell'incidente alla centrale di Fukushima, il governo giapponese chiese al Pentagono il permesso di poter usufruire dei suoi robot, oppure si tenga conto degli ultimi progressi americani nella robotica antropomorfe, frutto degli investimenti del Darpa. Il vento è cambiato ormai da tempo...
RispondiEliminaGiuseppe
Bel post Doc, sic est, sicuramente sarebbe stato un futuro più stiloso quello nippo.
RispondiEliminaPurtroppo viviamo in un pastone informe che ci sta portando avanti senza una direzione ben precisa. Ad ogni modo The Ghost in the shell rimarrà il "mio" futuro che aspetto.
Seppure criticati nel 90, ricordo un'improbabile Milo Manara che diceva che i manga erano fatti al computer e che quindi erano inferiori, rimane la consolazione che l'immaginario dei fumetti e anime Jappo hanno silenziosamente contaminato l'impatto grafico delle nuove generazioni di artisti.
Ricordo bene come anche i fumetti ammmericani pian piano si siano allineati, basta guardare dove siamo arrivati con l'Iron Man dei film.
Bellissimo post. Io sarò di parte ma, per quanto riguarda il futuro, il Giappone più o meno è sempre lì. La passione per la robotica e gli androidi, il Gundam di Odaiba, il fenomeno vocaloid fondato su tecnologia Yamaha, la ricerca, certa tecnologia, Sony e Nintendo che continuano a colonizzare l'immaginario interattivo di perle, la flessibilità del linguaggio nell'interpretare cultura e società. Certo, ora ci sono anche la Cina, La Korea, l'India ecc. Il faro di Hollywood s'è spostato e il Giappone sembra un po' meno rilevante, ma in fondo forse è solo il frutto di una impressione un po' manichea che abbiamo avuto tutti in tempi più semplici di quelli di oggi.
RispondiEliminaGran bel post davvero, è una materia su cui rifletto spesso e che mi porta a due ragionamenti differenti:
RispondiElimina1- È più difficile immaginare il futuro oggi perché il progresso tecnologico è molto più veloce di pochi decenni fa, inoltre la globalizzazione e la diffusione della tecnologia ha fatto si che le "diavolerie elettroniche" dei giapponesi ormai siano un ricordo del passato, la tecnologia di consumo è in mano all'America, alla Corea e alla Cina. In questa situazione il fascino del Giappone è un po' scemato e la fantascienza, come tutto il resto ha risentito moltissimo della globalizzazione.
2-Se prima si guardava al Giappone era anche perché erano decenni avanti a chiunque nell'immaginare il futuro e poi trasporlo in realtà, oggi non è più così, l'immaginazione del Giappone si è drasticamente appiattita: basti vedere come i design di anime e manga, ma soprattutto videogiochi si siano impoveriti arrivando ad uno scimmiottamento dei, a mio parere, poverissimi livelli di design della produzione videoludica occidentale, ormai è tutto un fiorire di concept art fatta su CintiQ, non c'è più la capacità di creare personaggi memorabili e nei casi in cui non si ricorra ad un design occidentalizzato i personaggi sono sempre roba moe o finto gothic.
L'abbassamento di livello nella qualità del design, nell'innovatività della proposta e nel puro potere creativo secondo me è un'altra ragione per cui ci si è gradualmente distanziati dal Giappone come fonte primaria di ispirazione per immaginare il futuro, sia prossimo che remoto.
Ovviamente io faccio questi discorsi da nostalgico, ma nemmeno troppo dell'epoca d'oro dei cartoni giapponesi in Italia, che ho vissuto di riflesso raccontata da mio fratello, mi basta pensare a cosa succedeva in Giappone negli anni 90 e cosa invece imperversa oggi.
Ragiono già come un vecchio a 29 anni, andiamo bene. =)
Di tutti i titoli citati nell'articolo, mi sono perso soltanto New Rose Hotel, e non perché non lo conosca (ovviamente ho letto il racconto dal quale è stato tratto), ma perché non sono mai riuscito a beccarlo in TV, e perché sono abbastanza tirchio e pigro da andare in videoteca ad affittarlo.
RispondiEliminaDetto questo, ho subito anch'io (nato negli anni 70, prima metà) il fascino del Giappone, paese nel quale sognavo di recarmi, prima o poi (sono ancora fermo al poi).
Oltre che cartoni animati e cultura pop, per me il Giappone voleva dire soprattutto prodotti tecnologici. Per come la vedevo io, tutti i giapponesini miei coetanei avevano al polso gli orologi Casio, quelli spaziali che vedevo nel Postal Market (non fate battute sulle altre cose che a quell'età, TUTTI NOI, guardavamo su PM e Vestro). Oppure ascoltavano la musica nei loro walkman Sony scintillanti, e avevano a casa home computer che noi umani non potevamo neanche immaginare, oltre ad avere una sala giochi sotto ogni palazzo.
Plicomenti vivissimi per il post. E' una disamina molto azzeccata.
RispondiEliminaE comunque non è un caso se agli albori dell'internet decisi di affibbiarmi "il Maggiore" come nick...
(nick totalmente gay, a detta di alcuni :D)
Un altro grande esempio di come sia triste far parte della mia generazione, i ventenni di oggi. Per la maggior parte di noi il Giappone è solo quel posto dove la gente fa cose sceme e si inchina per scusarsi, e ci siamo persi il Giappone del futuro per la Cina del futuro. Essere ventenni oggi è un handicap mica da ridere, soprattutto essere un nerd (un termine che non mi piace ma ahimè mi risulta pratico in questa circostanza) ventenne, vivere con la costanza sensazione di essersi persi qualcosa di bellissimo. L'unica cosa che ci rimane e recuperare quanto si può, sperando che qualcosa che ha spaccato tutto lo spaccabile quando è uscita sia in grado di farlo anche oggi, a decenni di distanza.
RispondiEliminaBravo Doc.
RispondiEliminaUn ex presidente del consiglio italiano ora occupato a tempo pieno fra Africa e Cina, con il beneplauso di tutto il mondo tranne l'italia (in particolare 102 franchi tiratori di un partito), di cui non farò il nome (che inizia per R.) nè il cognome (che inizia per P.)
diceva
in un incontro presso la mia città la stessa cosa che dici tu:
la Cina sarà anche una potenza economica, ma non sarà mai in grado di offrire un sogno (come quello americano, o come quello nipponirico).
Senza un sogno (western o cyberpunk, poco importa) potrà anche conquistare il mondo (e la marca del mio nuovo cellulare) ma non conquisterà i cuori.
Questo pensiero è ormai la mia unica speranza (contro una filosofia di vita che unisce il peggio del comunismo e il peggio del capitalismo).
Aggiungi che (bene o male) USA e Giappone sono due democrazie, mentre la Cina è una dittatura. Difficile sognare una dittatura per il proprio futuro.
EliminaCome ho scritto nel mio commento secondo me non è la Cina ad aver preso il posto del Giappone,ma la Corea del Sud.
EliminaLa Cina è solo la manodopera ma le idee e il futuro si plasmano in Corea
Esco dal lurking selvaggio per dedicare al Doc una standing ovation da 120 minuti!
RispondiEliminaRicondivido subito ovunque, il mondo deve conoscere questo post capolavoro.
Bell'articolo Doc, non è un caso se sono anni ormai che quasi ogni giorno faccio una capatina da queste parti per leggerti.
RispondiEliminaPer me il Giappone sta alla nostra generazione (30/40enni) come gli USA stavano alla generazione degli anni 50/60: entrambe hanno saputo raccontare un sogno al mondo. Gli USA parlavano (vero o falso che fosse) di libertà, di self-made men, di realizzazione personale in un'epoca in cui mezzo mondo usciva dalle macerie. Il Giappone parlava di tecnologie fantascientifiche, futuro ed eroi in un'epoca in cui mezzo mondo aveva ormai interiorizzato pace e benessere come stato normale della propria esistenza, e cercava qualcosa in più. In questo momento, come già hanno detto in molti nei commenti, non mi pare ci sia nessun popolo in grado di far sognare il mondo, ma per me quella terra avrà sempre un ruolo speciale.
Mi unisco al plauso generale; d'altronde l'autore ha dimostrato ripetutamente con l'antro di essere un maestro nel narrare la nostalgia ucronica.
RispondiEliminaNel 1997 Turisti per caso è sbarcato in Giappone e gli ha dedicato ben tre puntate. Ricordo ancora lo stupore quando si sono trovati di fronte il navigatore satellitare.
RispondiEliminaPer me un sintomo del fatto che il Giappone non è più quello di una volta tecnologicamente è che non hanno introdotto l'uso dei droni 10 anni prima del resto del mondo.
Pur convenendo, Il giappone ha un rapporto particolarmente conflittuale con l'ambito militare "because of reasons", laddove il drone meglio esprime le sue virtù di efficacia e spendibilità, sottraendo a rischi l'operatore umano; per gli impieghi civili dei droni tanto si parla oggigiorno del loro uso in polizia, ma vi sono motivi di ordine, pratico, giuridico e politico per preferire operatori umani al di là della qualità della tecnologia.
EliminaQuesto per restare alle applicazioni della cibernetica, al di là di queste, credo si possa affermare che il giappone è ancora all'avanguardia nel campo della robotica.
Ma io intendevo come "giocattolo" per tutti, che è quello che sta avvenendo da un po' e sempre più avverrà in futuro.
EliminaQuesto commento è stato eliminato dall'autore.
RispondiEliminaPur non avendo vissuto in prima persona la fascinazione citata nel post, per motivi anagrafici, mi trovo completamente d'accordo con l'articolo e faccio i complimenti al Doc per la sapientissima analisi (d'altronde mi sembra anche la persona più adatta a parlare di Giappone). Forse quelli espressi nel post sono anche i motivi per i quali l'american dream non ha più la stessa forza di una volta e gli orizzonti si sono spostati ad Oriente.
RispondiEliminaCOSA-HAI-CITATO...
RispondiEliminaOni...
Diamine, Doc, mi hai lanciato in faccia delle bruschette lunghe come la Yamato... sebbene, in realtà, abbia odiato quel gioco, dopo essermi rotto le dita sulla tastiera del PC, per finirlo.
Se non altro, aveva una bella trama...
Complimenti per il post Doc. Quando ho visto nell'elenco Black Rain ho ricordato uno dei pochi film che, sebbene visto 1-2 volte sole, mi abbia lasciato addosso un senso di oppressione indicibile. Leggendo l'articolo ho ricordato anche il perché.
RispondiEliminaGrazie Doc. Se non ci fossi bisognerebbe dannatamente inventarti.
RispondiEliminaGrandissima riflessione doc.
RispondiEliminaUna domanda peró: il fatto che nei goonies il ragazzino con le mille mila invenzioni sia orientale dici che c'entra qualcosa con la visione fantascienza di hollywood?
Non saprei. Richard "Data" Wang è un sino-americano, e le pubblicità degli anni 80 se ci fai caso (Barbie, Masters...) erano piene di ragazzini ANCHE orientali, per tenersi buona ogni minoranza.
EliminaNon è possibile che la giapponesizzazione di Los Angeles in Blade Runner sia una citazione incrociata di F.K. Dick (autore da cui è stato liberamente ispirato il film stesso) de La Svastica sul Sole, dove i giappo hanno vinto la guerra ed hanno invaso gli USA?
RispondiElimina(Metto le mani avanti: Blade Runner l'ho visto una sola volta e molte cose non le ricordo, quindi non frustatemi se ho detto una puttanata colossale)
Nope. Ma se ne parla qualche commento più su :)
EliminaMi unisco doverosissimamente ai complimenti. Un Signor Post, Doc, un Signor MammamiachePost che trasuda amore e malinconia.
RispondiEliminaAnche il tuo scritto, per quanto analitico, ben argomentato e frutto di notevoli competenze sviluppate nell'arco di una intera vita, è propriomoltotanto popvintaggio. Del resto scrivi qui, no?
Ti regalo un biglietto per la macchina del tempo...Scegli un tempo storico nel quale vuoi vivere il resto dei tuoi giorni... è forse un futuro mai esistito?
"Nessun tempo è come il passato" (cit. Ai confini della realtà, stagione 4, Rod Serling, 112^ episodio della serie), ma forse no.
Comunque la pensiamo, alla fine sembrerebbe che siamo attori, buoni o cattivi, del nostro inevitabile presente.
Te lo dice uno che viene dal futuro...
Non avevo mai fatto caso di quanto il simbolo della Weiland-Yutani assomigli al logo della Banpresto....
RispondiEliminaSo di non essere originale ma... bellissimo articolo Doc! Secondo me, la visione del futuro cyberpunk che avevano le opere degli anni 80/90, sa in Giappone che in occidente, aveva un fascino insuperato, e se opere come Akira o Ghost in the Shell da una parte,o come Blade Runner dall'altra, sono ritenute tuttora capolavori, è probabilmente proprio perché hanno saputo portare i lettori/spettattori in un mondo dallo stile unico.
RispondiEliminaTi faccio i complimenti caro Doc.
RispondiEliminaIl post è stupendo, mi ha fatto capire molte cose.
Un post da condividere e ricondividere. Un analisi del futuro in retrospettiva, per chi, come noi c'era. E quanta tristezza e come non essere d'accordo con chi ha commentato dicendo ce i ventenni di oggi non hanno la promessa di un futuro cone l'abbiamo avuto noi
RispondiEliminaManco di originalità, ma cacchio se scrivi bene!
RispondiEliminaBenché slegato dal concetto di "futuro", faceva parte dell'immaginario nipponico di quegli anni il Catch, trasmesso in Italia dalle TV locali molto prima del Wrestling statunitense, e che noi bambini consideravamo rigorosamente autentico. Come non ricordare i vari Tiger Mask, Antonio Inoki, Hulk Hogan (che in quegli anni combatteva nel paese del sol levante), e tra le donne la cattivissima Devil Masami e la dolce e carina Mimi Hagiwara (che però le prendeva da tutti)...
RispondiEliminaBellissimo articolo, scritto con tantissimo stile e con citazioni azzeccate...da 32enne anch'io ho vissuto in pieno il "giappone futuro", tra scrittori cyberpunk e anime (senza dimenticare Nathan Never!), e ne ho un po' nostalgia!
RispondiEliminaUn articolo come questo merita molto più che un post su un blog, direi che è una analisi da prima pagina. di una intelligenza , cultura e sensibilità rare.
RispondiEliminaMa comunque al bando i complimenti.
Siamo cresciuti assieme con il giappone.. letteralmente, negli anni '80. Per noi sarà e resterà sempre il sogno che l' america fu per i nostri genitori , loro coi western pistoleri , i panini con la svizzera , le lavatrici , la macchinona che non entra nel vico e tutto il resto. Noi coi soba ( che nessuno sapeva ancora chiamarsi così) , Mazinga Lamù e le console. C'è da dire però che i nosti sono sogni veri, meno voglie di pancia , più desideri intellettuali di pura astrazione, esotica e tecnologica contro tutto e contro tutti . Anche perchè siamo sempre stati ostracizzati per prefrire il giappone a , che ne so , la discoteca per esempio.
Quando da ragzzini si diceva di voler andare in giappone, gli adulti ci ridevano dietro.
Insomma abbiamo sempre sognato un Giappone che chissà se esisteva davvero. Un sogno nerd a tutti gli effetti, ma un gran bel sogno .
Difatti, dopo 20 anni il western non se lo fila più nessuno , il mc donald fa schifo e i macchinoni bevono troppo . i manga e le console dopo 30 anni sono ancora al top.
Concordo inoltre che il Giappone per chiunque l' abbia mai visitato , ha una magia incredibile, nei luoghi e nelle persone.
Per chi ha letto molti manga è un posto stranamente familiare, voglio dire come fai a conoscere un paese per aver letto fumetti di robot e aliene ? Eppure è così. Il fumetto traspone il paese.
La sua tecnologia fa ancora sognare, guardate ad esempio l 'esoscheletro HAL o i robot. La cina non fa che produrre a basso prezzo copie di propdotti occidentali. Non c'è nulla di esotico in questo, viene solo banalizzato e commercializzato ciò che c'è già al supermercato .
Non ci si potrà mai aspettare di più fin che non sarà , almeno un pò, una democrazia: le idee non nascono sotto i funghi., e neanche sotto i bambù.
Vangelo
EliminaMinchia sei troppo un poeta, Doc!
RispondiEliminaEssendo alle prese con la scrittura di un pezzo che mette assieme Akira e Final Fantasy VII (!) e in concomitanza col viaggio antristico, mi sono andato a rileggere questo post e devo dire che si riconferma una delle perle più belle e luminose di tutto il blog. Applausoni!
RispondiEliminadio me lo chiedo da sempre perchè mi sembra di essere nato con scritto nel dna che mi deve piacere il giappone, questo articolo per me è divino mi aiuta a capire meglio me stesso e perchè mi attira così tanto il giappone anche in maniera inconscia, grandioso!!!!
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