BoJack Horseman, stagioni 1-3
I cavalli che corrono, probabilmente perché hanno sciolto le trecce, come in Balla di Umberto Balsamo. Back in the 90s i was in a very famous tv show, titoli di coda. Segue applauso. Segue magone che ti porti ancora dietro, due settimane dopo. Hai visto la prima stagione di BoJack Horseman, serie animata per adulti creata da Raphael Bob-Waksber per Netflix, quando retepellicole è arrivata in Italia, nell'autunno del 2015. E ti è piaciuta, per carità, questa storia di un attore depresso che non è più sulla cresta dell'onda da vent'anni e trascorre le sue giornate a sfondarsi di alcol e mandare in pezzi la sua esistenza. Ma chiunque abbia visto BoJack Horseman vi dirà che è solo dalla seconda stagione che la serie mostra il suo vero volto. E beh, è vero. Due settimane fa, dicevi, nell'arco di una manciata di giorni ti sei deciso finalmente a guardarti tutta la serie, ripartendo dalla stagione 1. E ti ha completamente messo sotto. C'è una definizione efficace che hai letto in un'intervista al creatore, Raphael Bob-Waksber su Manatee Vanity Fair. Un protagonista che è per metà uomo e metà cavallo per una serie che è essa stessa un centauro: comica e drammatica, e prima di ogni episodio non sai mai in che misura aspettarti le due cose. Qualcuno vi dirà anche che è una delle più belle serie TV, animate e non, che si siano viste negli ultimi, boh, cinquant'anni. E beh, è vero anche quello [...]
È facile confondere all'inizio BoJack Horseman per uno dei tanti cartoon sboccati che negli ultimi due decenni si sono contesi le briciole di South Park. Il tema della star un-tempo-famosa che butta via i suoi soldi e si circonda di tizi strambi o, per contrasto, con la testa sulle spalle sembra solo una cornice nella quale posizionare un primo livello di gag, al quale si affianca - e resterà lì per tutte e tre le stagioni - un secondo livello più basilare (ma non per questo meno efficace) di battute legate alla natura bestiale dei personaggi. Animali antropomorfi che si comportano spesso come gli animali veri: gli uccelli volano, le gatte si arrampicano, i labrador fanno i labrador. Con tutti i giochi di parole possibili a corredo. Anche i personaggi di contorno al cavallo sembrano da principio unicamente e appropriatamente one-trick pony a cui assegnare un preciso set comportamentale. Princess Carolyn è l'ex fidanzata, agente aggressiva e risolviproblemi, il love-interest e grillo parlante Diane è una "Daria asiatica" (cit), Mr. Peanutbutter un cagnolone troppo allegro e positivo perché tutti non gli vogliano bene, Todd è l'amico scroccone campione mondiale di fancazzismo e trovate assurde.
Poi arriva la seconda stagione e pettina tutti con la forza della turbina di un jet. Da una parte il lato comico va in overdrive, incatenando a una continuity rigida ogni singola trovata, anche quella apparentemente più fine a se stessa: Hollywood diventa e resta Hollywoo, le imprese folli di Todd e Mr. Peanutbutter si legano una all'altra fino a un imprevedibile sviluppo, tutto quello che ogni personaggio fa non sparisce alla fine dell'episodio, ma contribuisce a dargli spessore, a renderlo più reale. E sì, stiamo parlando di tizi con la testa di cavallo o la faccia da gatto e civetta.
Ma, al contempo, anche l'aspetto drammatico si sfonda di energy drink e prende a picchiare sulla batteria come un forsennato. Tutta la parte su Secretariat, il sogno di una vita per BoJack, la possibilità di interpretare al cinema l'eroe di quando era bambino, è semplicemente bellissima. Il presente di BoJack si riannoda con il suo passato: non la sitcom in sé, non la popolarità residua, come una scoria radioattiva, che si porta dietro dai tempi di Horsin' Around, ma le relazioni con le persone di cui ai tempi, accecato dalla fama, non gli fregava poi molto (leggi = una cippa). Perché se n'è reso conto solo ora, dopo anni di oblio narcoalcolico, e crede che metterci una pezza possa rimettere tutto in carreggiata.
Prima c'era stata la ricerca di quel riappacificamento, di quel closure, per mettersi a posto la coscienza, con l'uomo a cui doveva tutto, l'ex amico Herb; ora BoJack fugge da Los Angeles per raggiungere [OMISSIS]. Quel finale, splendido, è il tuo punto di non ritorno, il momento in cui hai capito di esserci dentro con tutte le scarpe e che non ti saresti liberato mai più da una neonata ossessione per questa serie. Un finale che si apre a mille possibilità diverse, ma uno dei maggiori meriti di Bob-Waksberg e della sua banda è quello di spiazzarti continuamente, farti credere che una certa sottotrama prenderà il sopravvento e poi sbarazzarsene in modo crudele. Segue così a quell'episodio 2x10 una puntata 2x11 che si chiude in quel modo. BoJack lassù, con la criniera al vento, gli occhiali da sole, a far finta che non sia successo nulla, dopo che ha appena visto affondare un altro scoglio al quale ha cercato di aggrapparsi. Uno dei tanti.
Lo dice chiaramente a Diane, BoJack, poco dopo. Tutto quello in cui si lancia con entusiasmo riesce a renderlo felice solo per poco, prima che riaffiori l'insostenibile pesantezza dell'essere che lo affligge. In ognuna delle tante donne alle quali professa il suo amore in tre stagioni, BoJack vede finalmente la sua metà, finché non si rende conto che - di nuovo - sono state solo la disperazione e la paura di restare solo a farlo parlare. E poi c'è la terza stagione, quel modo in cui finisce, quella stilettata tra le costole. Non è il fatto in sé, è il modo in cui è gestito, dal principio fino al finale di grandissimo effetto. "Io sono veleno", ha detto BoJack a Diane quella sera, tutto quello che tocca finisce per essere contagiato dalla sua tendenza all'autodistruzione. Tutti sembrano trovare uno scopo, nel finale della terza stagione, ognuno dei personaggi in qualche modo ha ritagliato un suo cantuccio nell'universo, dal non-sessuale Todd a Princess Carolyn, e perfino BoJack. In quella scena nel deserto, quando fa quella cosa, sembra che sia arrivata per lui la fine della corsa. O, più metaforicamente, sembra pronto a uscire finalmente dal cerchio, come gli avrebbe detto di fare il suo eroe Secretariat: "He's tired of running in circles" era, non a caso, la frase di lancio del film. Solo che non è strettamente necessario farlo come l'ha fatto Secretariat. Cosa vogliono dire quei cavalli alla Umberto Balsamo? Chi è quella ragazza? Arriva presto, estate del duemilaediciassettete, e portaci la quarta stagione.
BoJack Horseman è un'altra via, la prova provata che un cartoon USA può essere una serie adulta indipendentemente dal numero di battute sui peni presenti in un episodio. È una serie che ti fa guardare dentro il suo protagonista, un po' alla volta, finché in quel mondo di solitudine e lunedì tutti blu (il resto dei giorni della settimana uguale), alcol e droghe trovi uno specchio, come nei cartelloni di Secretariat. Ognuno è l'eroe che va oltre i suoi limiti, quando succede, ognuno è Horseman, e anche se non vive a Hollywoo e ha tutti quei soldi, sa cosa significa affrontare il vuoto esistenziale e provare a dare un senso a tutto, a cambiare, ad essere una persona migliore. Quando succede. Non è per nulla sorprendente che la scintilla di BoJack Horseman sia brillata nella testa del suo autore quando viveva in una villa sulle colline di Hollywoo(d) come quella di BoJack, ospite di amici, e in mezzo a quelle feste e a quel via-vai di gente si sentiva solo come mai gli era capitato.
E potremmo e dovremmo parlare dello stile della serie, frutto della cartoonist Lisa Hanawalt, delle splendide sigle, delle voci del cast. Quelle originali e quelle italiane. Volevi guardare gli episodi in originale, perché alcune battute era impossibile tradurle e perché ti piacevano troppo le voci di Todd (Aaron Paul, il Jesse Pinkman di Breaking Bad), Princess Carolyn (Amy Sedaris) e dello stesso BoJack (Will Arnett), ma ti piace forse ancora di più la voce italiana di BoJack, con tutto che nella versione doppiata viene chiamato bògiak. Perché Fabrizio Pucci è stato, tra l'altro, Joe il Condor. Così hai finito per guardarti metà delle puntate in inglese, metà in italiano con i sottotitoli in inglese (così non ti perdevi le gag loste nella translescio). Molti episodi, sapendo che la fine si avvicinava a rapide falcate a colpi di sette o otto puntate a notte, te li sei visti DUE volte. E quando tutto era finito, quando BoJack Horseman ti aveva tirato su il morale con la sua puntata sottomarina pressoché muta, l'omaggio ai Peanuts, le follie di Todd, lo show di Mr. Peanutbutter dal nome molto sintetico e la più grande citazione di Stefan Urquelle che si potesse mai immaginare, e poi te lo aveva ammazzato con tutto il resto, hai guardato l'unica cosa che era rimasta da guardare.
Lo special natalizio, che mostra finalmente com'era, quasi per intero, un episodio di Horsin' Around. Solo che guardarlo al momento giusto, cioè dopo la prima o la seconda stagione, ha un senso, farlo alla fine di tutto, invece, completamente un altro. Ti accartoccia il cuore e lo getta in un cestino. Dandogli poi fuoco. "That's too much, man!".
Poi arriva la seconda stagione e pettina tutti con la forza della turbina di un jet. Da una parte il lato comico va in overdrive, incatenando a una continuity rigida ogni singola trovata, anche quella apparentemente più fine a se stessa: Hollywood diventa e resta Hollywoo, le imprese folli di Todd e Mr. Peanutbutter si legano una all'altra fino a un imprevedibile sviluppo, tutto quello che ogni personaggio fa non sparisce alla fine dell'episodio, ma contribuisce a dargli spessore, a renderlo più reale. E sì, stiamo parlando di tizi con la testa di cavallo o la faccia da gatto e civetta.
Ma, al contempo, anche l'aspetto drammatico si sfonda di energy drink e prende a picchiare sulla batteria come un forsennato. Tutta la parte su Secretariat, il sogno di una vita per BoJack, la possibilità di interpretare al cinema l'eroe di quando era bambino, è semplicemente bellissima. Il presente di BoJack si riannoda con il suo passato: non la sitcom in sé, non la popolarità residua, come una scoria radioattiva, che si porta dietro dai tempi di Horsin' Around, ma le relazioni con le persone di cui ai tempi, accecato dalla fama, non gli fregava poi molto (leggi = una cippa). Perché se n'è reso conto solo ora, dopo anni di oblio narcoalcolico, e crede che metterci una pezza possa rimettere tutto in carreggiata.
Prima c'era stata la ricerca di quel riappacificamento, di quel closure, per mettersi a posto la coscienza, con l'uomo a cui doveva tutto, l'ex amico Herb; ora BoJack fugge da Los Angeles per raggiungere [OMISSIS]. Quel finale, splendido, è il tuo punto di non ritorno, il momento in cui hai capito di esserci dentro con tutte le scarpe e che non ti saresti liberato mai più da una neonata ossessione per questa serie. Un finale che si apre a mille possibilità diverse, ma uno dei maggiori meriti di Bob-Waksberg e della sua banda è quello di spiazzarti continuamente, farti credere che una certa sottotrama prenderà il sopravvento e poi sbarazzarsene in modo crudele. Segue così a quell'episodio 2x10 una puntata 2x11 che si chiude in quel modo. BoJack lassù, con la criniera al vento, gli occhiali da sole, a far finta che non sia successo nulla, dopo che ha appena visto affondare un altro scoglio al quale ha cercato di aggrapparsi. Uno dei tanti.
Lo dice chiaramente a Diane, BoJack, poco dopo. Tutto quello in cui si lancia con entusiasmo riesce a renderlo felice solo per poco, prima che riaffiori l'insostenibile pesantezza dell'essere che lo affligge. In ognuna delle tante donne alle quali professa il suo amore in tre stagioni, BoJack vede finalmente la sua metà, finché non si rende conto che - di nuovo - sono state solo la disperazione e la paura di restare solo a farlo parlare. E poi c'è la terza stagione, quel modo in cui finisce, quella stilettata tra le costole. Non è il fatto in sé, è il modo in cui è gestito, dal principio fino al finale di grandissimo effetto. "Io sono veleno", ha detto BoJack a Diane quella sera, tutto quello che tocca finisce per essere contagiato dalla sua tendenza all'autodistruzione. Tutti sembrano trovare uno scopo, nel finale della terza stagione, ognuno dei personaggi in qualche modo ha ritagliato un suo cantuccio nell'universo, dal non-sessuale Todd a Princess Carolyn, e perfino BoJack. In quella scena nel deserto, quando fa quella cosa, sembra che sia arrivata per lui la fine della corsa. O, più metaforicamente, sembra pronto a uscire finalmente dal cerchio, come gli avrebbe detto di fare il suo eroe Secretariat: "He's tired of running in circles" era, non a caso, la frase di lancio del film. Solo che non è strettamente necessario farlo come l'ha fatto Secretariat. Cosa vogliono dire quei cavalli alla Umberto Balsamo? Chi è quella ragazza? Arriva presto, estate del duemilaediciassettete, e portaci la quarta stagione.
BoJack Horseman è un'altra via, la prova provata che un cartoon USA può essere una serie adulta indipendentemente dal numero di battute sui peni presenti in un episodio. È una serie che ti fa guardare dentro il suo protagonista, un po' alla volta, finché in quel mondo di solitudine e lunedì tutti blu (il resto dei giorni della settimana uguale), alcol e droghe trovi uno specchio, come nei cartelloni di Secretariat. Ognuno è l'eroe che va oltre i suoi limiti, quando succede, ognuno è Horseman, e anche se non vive a Hollywoo e ha tutti quei soldi, sa cosa significa affrontare il vuoto esistenziale e provare a dare un senso a tutto, a cambiare, ad essere una persona migliore. Quando succede. Non è per nulla sorprendente che la scintilla di BoJack Horseman sia brillata nella testa del suo autore quando viveva in una villa sulle colline di Hollywoo(d) come quella di BoJack, ospite di amici, e in mezzo a quelle feste e a quel via-vai di gente si sentiva solo come mai gli era capitato.
E potremmo e dovremmo parlare dello stile della serie, frutto della cartoonist Lisa Hanawalt, delle splendide sigle, delle voci del cast. Quelle originali e quelle italiane. Volevi guardare gli episodi in originale, perché alcune battute era impossibile tradurle e perché ti piacevano troppo le voci di Todd (Aaron Paul, il Jesse Pinkman di Breaking Bad), Princess Carolyn (Amy Sedaris) e dello stesso BoJack (Will Arnett), ma ti piace forse ancora di più la voce italiana di BoJack, con tutto che nella versione doppiata viene chiamato bògiak. Perché Fabrizio Pucci è stato, tra l'altro, Joe il Condor. Così hai finito per guardarti metà delle puntate in inglese, metà in italiano con i sottotitoli in inglese (così non ti perdevi le gag loste nella translescio). Molti episodi, sapendo che la fine si avvicinava a rapide falcate a colpi di sette o otto puntate a notte, te li sei visti DUE volte. E quando tutto era finito, quando BoJack Horseman ti aveva tirato su il morale con la sua puntata sottomarina pressoché muta, l'omaggio ai Peanuts, le follie di Todd, lo show di Mr. Peanutbutter dal nome molto sintetico e la più grande citazione di Stefan Urquelle che si potesse mai immaginare, e poi te lo aveva ammazzato con tutto il resto, hai guardato l'unica cosa che era rimasta da guardare.
Lo special natalizio, che mostra finalmente com'era, quasi per intero, un episodio di Horsin' Around. Solo che guardarlo al momento giusto, cioè dopo la prima o la seconda stagione, ha un senso, farlo alla fine di tutto, invece, completamente un altro. Ti accartoccia il cuore e lo getta in un cestino. Dandogli poi fuoco. "That's too much, man!".
Dev'essere bello davvero,ma purtroppo netflix latita nella magione quindi.. Mi accontento del post.. Va bene così
RispondiEliminaSEMISPOILER
RispondiEliminaLa depressione è una cosa orribile.
Rimanere inglobati in un cerchio di rimorsi e rimpianti per tutto ciò che si aveva e tutto ciò che sarebbe potuto essere, e credere solo di avere attorno solo macerie come l'Ozymandias di Shelley mentre la gente intorno ti dice "sorridi, sei giovane/ricco/inserite a piacere" e sai in fondo che hanno pure ragione, ma non riesci a farlo.
I finali della seconda e della terza stagione sono pugnalate, il discorso fatto dalla cerbiatta (a proposito, è doppiata dalla presidentessa) è una sberla terribile.
Quello della terza, ed il da te citato "Io sono veleno" è una stilettata vera e propria. Il discorso al cinema, Sarah Lynn, la fuga in macchina... raramente sono stato così male per un prodotto d'intrattenimento. E gliene sono grato.
[SPOILERINHO]
Elimina...
...
Sì, e le somiglia pure tanto :) Ho evitato di parlare di Charlotte per dribblare il rischio di ogni minimo spoiler. Una delle cose più fighe del finale dell'episodio precedente è proprio che non sai dove andrà BoJack, quando sale in macchina.
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
EliminaAggiungo alla lista, ma in questo momento devo finirne di vedere almeno 4...
RispondiEliminaBenvenuto nel mondo di Bojack Doc.
RispondiEliminaQuesta serie riesce a far capire come riusciamo a mascherare le nostre inquietudini, problemi e ... spirali autodistruttive. Tutti i personaggi della serie, compreso il solare Mr Peanutbutter, non sono immuni dal veleno (droga) di Bojack ma il nostro cavallo, come un vampiro, si ciba dell'allegria altrui per colmare, inutilmente, i propri vuoti, non importa quanto vergognoso o costoso possa essere.
Il discorso potrebbe allungarsi a dismisura perché ci sono moltissimi aspetti e personaggi nei quali ci si riconosce e si empatizza.
BoJack è stupendo!
RispondiEliminaIo mi sono infognato dalla metà della stagione #1. Prima l'avevo presa come un south park qualunque come hai detto bene, ma poi arriva veramente l'astinenza e non ne puoi più fare a meno.
concordo con la tua analisi, anche a me i primissimi episodi non dissero un granchè all'inizio, fortuna volle che la mia ragazza sia andata avanti dicendomi che la serie era stupenda e quindi mi ci sono appassionato anche io.
RispondiEliminaarrivato alla seconda stagione ci siamo resi conto entrambi che era probabilmente la miglior serie animata mai vista, un capolavoro assoluto!
sono mesi che aspettiamo la nuova stagione, ma l'idea che poi un giorno la serie finirà mi fa star male, vista la qualità vorrei durasse per sempre.
Avevo iniziato e non mi faceva impazzire, mi hai messo voglia di continuarlo.
RispondiEliminaStrabellissimo. Non a caso l'unico voto che ho dato per il Minollo d'Oro 2016, categoria serie animate! A proposito, Doc, a quando le premiazioni? :)
RispondiEliminaViste le tre serie di fila qualche mese fa dopo che il mio coinquilino austriaco me l'aveva appunto venduta come "una delle serie migliori degli ultimi 5 anni".
RispondiEliminaPiaciuta, per carità, un signor prodotto, tuttavia non mi sono mai "sentito" davanti ad una delle migliori serie prodotte recentemente (Californication, ad esempio, mi prese molto di più a suo tempo e BoJack me l'ha ricordata in più di un aspetto).
Stessa sensazione che ho provato ieri sera dopo aver visto "Your Name" grazie alla tua/vostra (antristi) segnalazione. Può forse essere che in entrambi i casi faccio ancora fatica a provare più di una certa empatia per personaggi animati? O perlomeno non disegnati "poeticamente" (Persepolis ad esempio)? O sono solo senza cuore?
vista tutta interamente e senza soste nelle settimane passate. Insimeme a rick e morty per me sono state le serie americane rivelazione dopo anni di puntate sottotono dei Simpsons e di comicamente gradevoli ma alquanto fini a se stesse puntate dei Griffin/south park (per non parlare di tutti quei prodotti filonipponici ibridi nella scrittura e nella grafica che raramente mi hanno soddisfatto per l'uno o per l'altra cosa). Entrambi tra l'altro hanno in comune la capacità di proporre un altro "cartoonismo" grafico: indie e figlio di certa grafica da rivista anni 2000 bojack e "infantil-disegnata male" per rick e morty, per poi stupire con raffinatezze registiche o di animazione..insomma un'altro mondo era possibile senza arrivare alle sintesi grafica e di mezzi di beavis e butthead.
RispondiEliminaBojack è amarezza, equina solo nelle dimensioni, umana per tutto il resto. Concordo con te doc nell' incredibile missione dei creatori di portare a casa una serie che fosse al contempo puramente comica e puramente drammatica; come d'altronde sa essere la vita reale no? In questo caso Bojack, nonostante la pletora di animali antropomorfi che ospita, si avvicina cosi tanto alla vita vera proprio grazie al suo non essere solo l'una o solo l'altra ma dandoti (e non a caso visto l'equino protagonista) bastone e carota in maniera assolutamente imprevedibile..
ringrazio tutti gli antristi che negli ultimi mesi hanno parlato spesso e volentieri di entrambe le serie nei commenti e che sono state le molle per spingermi a guardarle.
Bellissima serie, iniziata quasi per caso ma che si è rivelata capace di entusiasmarmi man mano che gli episodi si succedevano. Concordo in pieno con il tuo giudizio, Doc.
RispondiEliminaVero, verissimo. Una delle serie migliori che abbia visto negli ultimi anni. Mi e' piaciuto molto come i protagonisti mantengano le loro caratteristiche animali nonostante siano antropomorfi. Al di la' della sboccatezza, e' un cartone fatto con intelligenza, e ha delle trovate di notevolissimo acume. Per non parlare di quando Netflix cita se' stessa nelle varie puntate.
RispondiEliminaPensavi, dopo i Simpson, Futurama, South Park, I Griffin e The Boondocks di aver visto tutto, ma sono felicissimo di essermi sbagliato. Quando arrivi a 40 anni convinto che niente ti possa piu' stupire ed invece...scopri che il bello deve ancora arrivare, a volte.
A questo punto ti consiglio VIVAMENTE Mr. Pickles.
Non sono d'accordo! Nel senso che pure la prima serie mi ha emozionato tantissimo :)
RispondiEliminaÈ diventata prepotentemente la mia serie preferita!
Visto per una stagione e mezza e mollato.
RispondiEliminaDeprimente!
Uno spettatore già depresso di suo rischia seriamente il suicidio. Le risate sono scarse e malinconiche anche queste.
Lo consiglio solo a chi ha una bella vita felice e serena...altrimenti meglio spaccarsi di risate con qualcosa di stupidamente comico.
In questo periodo sto guardando Gravity Falls... Bojack non l'ho cagato, lo recupero!
RispondiEliminaVedo che non sono l'unico che pensa che la voce di Pucci su Bojack sia perfetta anche più di quella di Arnett, la profondità e le sfumature che riesce ad aggiungere la rendono una performance memorabile.
RispondiEliminaParlando della serie, che volete che dica? Non ho mai fatto una classifica generale delle serie tv, ma questa potrebbe benissimo essere sul podio, la onnipresente malinconia è un surplus che, a differenza di altri, mi convince a vedere una puntata dopo l'altra.
Sono dell'idea che un Bojack felice mai lo vedremo, la serie perderebbe tutto ciò che ha di interessante, oltre ad essere poco realistico, visto le peripezie affrontate e causate da lui nel corso della sua vita.
Bojack è la versione idealizzata che abbiamo di noi stessi (al di là dei soldi, dell'essere attore, di Holliwoo e tutto il resto).
RispondiEliminaLe cazzate socio-relazionali che fa, gli stati d'animo che prova, sono cose che penso ognuno abbia provato sulla sua pelle.
A volte, proprio per questo motivo, faccio un po' fatica a vedere più di un paio di episodi in fila. E anzi, sono bloccato all'inizio della terza stagione.
Utilizzo il tasto
RispondiElimina[ROVINATORE]
Senza dubbio la seconda e la terza stagione hanno una marcia in più rispetto alla prima, nonchè puntate meravigliosamente memorabili come hai ricordato tu (quella sott'acqua e quella del litigio tra Bojack e Mr Peanutbutter in diretta tv - e il finale di quella puntata è over 9000).
Ma forse la puntata singola più cinica e cattiva sta proprio nella prima stagione, chè la puntata in cui Bojack sabota il musical di Todd credo sia stato il più grande cazzotto allo stomaco che mi abbia dato la serie.
Anyway, sarà interessante la quarta.
Con la figlia(?) segreta(?) di Bojack.
Ah, ecco...tra le serie memorabili includo anche Beavis & Butt-head.
RispondiEliminaSe dovessi fare un paragone con questa serie mi viene in mente Scrubs. Nata come parodia di E.R. ha finito addirittura per superarla. Faceva letteralmente scompisciare, ma ti infilava il momento triste a tradimento erano cazzottoni nello stomaco che facevano MALISSIMO.
A proposito: certo che BOGIAK...gli adattatori mi fanno un lavoro sontuoso col doppiaggio e poi mi cascano su 'ste robe. Bah. Da milanese della parte vecchia di Milano mi sembra uno dei nomignoli che davano ai ciucatee' (tradotto: BEONI) che popolavano i baretti dei paesini di periferia...
Post encomiabile che non prende la lode solo per la mancata citazione dell'attrice caratterista Margo Martindale :-)
RispondiEliminaNon male, mi ricorda Californication come mood generale.
RispondiEliminaPeccato però per la scelta "animalista". Fai fatica a prendere sul serio un mezzo cavallo che parla ad un mezzo cane, a prescindere dalla profondità del discorso, ed anche se il mezzo cavallo dice cose che fanno male.
Molto male.
A me la prima stagione è piaciuta anche più della seconda!
RispondiEliminaVi è raccontata una pò la storia di tutti noi. Credo sia quasi impossibile non immedesimarsi nel protagonista.
Ti parla in modo diretto, senza fronzoli e ti accompagna in un vortice di nostalgia e pure emozioni.
Perfettamente calibrata per un essere umano.
La seconda tarda un pò ad ingranare, a mio parere. Non lo considererei propriamente un difetto, poiché è evidente l'intenzionalità nel "calo di ritmo", che funge come substrato per la maestosità delle ultime tre o quattro puntate. Ma in generale mi ha convinto leggermente meno.
Poi la terza stagione è superiore ad entrambe. Di una raffinatezza molto rara di questi tempi. Stile a palate e l'elevazione all'ennesima potenza della "delicatezza violenta" tipica della serie.
Credo che Bojack funzioni così bene perché ci fa senire capiti.
Ok anche questo lo metto nella lista di cose da vedere!! ;)
RispondiEliminaMi dispiace non averlo potuto vedere tutto come si deve. Purtroppo non posso ancora farmi Netflix
RispondiEliminaViste le prime 3 puntate, l'ho trovato simpatico nelle parti comiche, per il resto non mi ha entusiasmato (né demoralizzato)... Provo ad andare avanti.
RispondiEliminaConfermo quello che dice Jeeg. Dopo questo post ho deciso di cominciare finalmente la serie visto che da un paio di mesi ho fatto Netflix stabile e, beh... Ho appena finito la seconda stagione. Tanto per cambiare non è uno dei periodi più felici della mia vita e questa serie mi sta veramente uccidendo. Ogni episodio, o quasi, è un mattone sulla nuca e ad ogni rollata di titoli di coda mi sento tendenzialmente una merda, più di prima. Serie devastante.
RispondiEliminaaWhiteSunset mi spiace per la situazione; ma forse non è il caso di guardare questa serie, allora...
RispondiEliminaIo sono stato fisicamente male (ho dovuto stoppare più volte, mi mancava il fiato, gli occhi pieni di lacrime) per quanto ho riso per la penultima puntata della terza, prima ovviamente degli ultimi 2 minuti. Sarà magari un umorismo un po' più grossolano rispetto a certe finezze sparse qua e là, ma la gara di stronzaggine al gruppo di sostegno e le ammende sono per me il punto comico più alto della serie.
RispondiEliminaQualche settimana dopo averla finita io e la mia ragazza siamo partiti per Barcellona, ogni sera finiva con uno dei due con indice in su (ci fosse stato un finestrino da sfondare sarebbe stato anche meglio) che gridava "ALLA PROSSIMA TAPAS"
Mr. Peanutbutter rappesenta quel tipo di amico che non riesci a evitare neanche volendo.
RispondiEliminaGRAZIE! grazie perchè di questa serie ne avevo sentito parlare qua e la e l'avevo incrociata diverse volte, ma mai mi aveva attirato. poi ho letto il titolo di questo articolo, e mi sono detto "ma se lo guardassi sul serio?" e...eccomi qui... una puntata dietro l'altra ad amare questo mondo cartoon finto ma quanto mai reale. grazie per questo articolo e questo racconto di una storia che può sembrare un sottile passatempo ma che in realtà è uno "specchio" per rifletter sul nostro io, <> (cit) ridere e riflettere.
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