Storie di vita irreale: Lo scambio

Il palazzo deve essere quello. Deve essere PER FORZA quello: è l'unico edificio beige nell'infilata di palazzoni grigi di questa traversa di Via della Batteria Nomentana. Suoni al citofono due, tre volte. Dopo un'eternità una voce ti risponde soltanto: Aspetta lì. E' l'estate più calda del secolo e hai una tensione addosso indescrivibile. Ti guardi intorno, non c'è un cazzo di niente, il cielo è grigio antracite, la maglietta di Siouxsie and the Banshees ti si è incollata addosso, ma non piove, non pioverà mai più.
La sagoma ammaccata di una Uno Turbo nera si ferma a pochi metri e un uomo ti fissa con il naso a mezz'asta, dietro uno spicchio di finestrino scuro. Non starà guardando proprio me, ti ripeti. Ma invece sta guardando proprio te. [...]

Il portone si spalanca alle tue spalle con un cigolio sinistro che ti fa sobbalzare, ma fai di tutto per controllarti. Fallendo miseramente.
Il tuo contatto ha una barbetta rada, una polo vecchia e un cappellino calato sugli occhi. "Hai la roba?", ti chiede. Annuisci, dopo aver gettato un rapido sguardo a destra e a sinistra e subito prima di allungargli il borsone da palestra che ti sei trascinato dietro fin lì. "Per i soldi siamo d'accordo, allora?". E tu fai di nuovo sì con la testa. "Ci vediamo qui tra mezz'ora", taglia corto, prima di essere inghiottito di nuovo dalla penombra del portone.
L'uomo della Uno Turbo è ancora lì, iscritto tra il finestrino scuro e un arbre magique al pino silvestre. Avverti nettissima la sensazione di trovarti in territorio ostile. Mezz'ora, pensi. E io che cazzo faccio qui per mezz'ora?
Circumnavighi il palazzo, mentre un sole feroce ha bucato il grigio a gomitate e ti piomba ora a perpendicolo sulla nuca. Si suda solo a pensare. Cerchi un centro commerciale, una libreria, un negozio di elettronica, uno di quei posti in cui ti infili di solito quando hai proprio da ammazzare un po' di tempo, ma lì attorno non c'è niente di niente. Solo dopo il secondo semaforo vedi un negozietto di alimentari, di quelli con il bancone grande di traverso e l'affettatrice in bella vista, l'esercito di bottigliette di succo alla pera e spumanti subito dietro. Sai che c'è, ti dici, mi faccio una rosetta crudo e stracchino e una fanta, e vaffanculo.
Ma il negozio è chiuso, e non sai se è perché è agosto, perché non sono ancora le quattro o se perché qualcuno lassù ha preso a odiarti all'improvviso forte-forte.
Dall'altra parte della strada, là in fondo dopo le panchine, in compenso, c'è un bar. Hai visto muovere la tendina di perline di plastica: quello almeno è aperto di sicuro, eccheccazzo.
Sono i duecento metri più lunghi della tua vita.
Arrivi davanti all'ingresso e fai per spostare le perline quando noti sulla destra la Uno Turbo nera, parcheggiata in seconda fila dietro a una Duna. Con il tizio di prima dentro. Non mi starà mica seguendo davvero? Ma chi cazzo è? Che vuole? Entri e il posto non è un vero e proprio bar, ma una latteria, di quelle che a Roma ancora si portano. Una radio urla "Frena, che voglio andare al mare Frena, dai gira per il mare Ho voglia di sentire sulle labbra il sapore del sale, far l'amore con te" ed è una roba così agghiacciante da farti avere un mancamento. Ti aggrappi forte al bancone sotto lo sguardo severo della barista, questo donnino di 90 chili per un metro e cinquanta scarso, che mulina vorticosamente un cencio dentro a dei bicchieri per asciugarli.
Fai qualche passo, vedi un cassone di Tekken 2 dietro il frigo dell'Algida, ti senti salvo. Sfili dalla tasca dei jeans un po' di monetine, le passi al setaccio con gli occhi e ne peschi le uniche due da 500 lire arruolabili. Inizi a giocare con King, in un microclima da estate particolarmente secca nel Gabon. La maglietta di Siouxsie è la tua seconda pelle. Non fai a tempo ad eseguire più di tre chiavi articolari su quella zoccola di Jun che qualcuno entra in partita. Giri la testa lentamente verso destra, e c'è un ragazzino di 10, 12 anni che ti guarda torvo. Fisso. Il ragazzino ha due baffi inquietanti.
Non riesci proprio a concentrarti sullo schermo e vieni stuprato virtualmente dal suo segaligno Bruce Irvin. Ti allontani lentamente dal cassone, ma vedi un'ombra alle tue spalle e ti giri ed è l'uomo della Uno Turbo nera. Pure lui ti fissa torvo e ha dei baffi inquietanti. Cerchi con lo sguardo l'aiuto del donnino dietro il bancone, ma ti accorgi che ti sta guardando anche lei in quel modo. E sì, anche lei ha dei baffi inquietanti. Allora scappi.
Scappi anche se rimani un po' invischiato in quelle cazzo di perline, e allora provi a liberarti alla bene e meglio, scalciando, e corri fuori, e sei sudato che, guarda. Arrivi al portone, ti guardi intorno, e per quanto sia vero che non ti hanno seguito, pensi: E se arrivano? Allora ti attacchi al citofono pigiando vorticosamente il tasto di prima fino a quando una voce finalmente ti risponde: "Ma porcoddue, cazzo ti suoni? Mo' scendo".
Pochi istanti dopo, ed è tutta un'unica manovra fluida, il tuo contatto ti ripassa il pacco, tu lo metti sotto il braccio e gli molli una cinquantamila lire, lui ti chiede "Sicuro che non ci vuoi anche qualche gioco in regalo?", tu rispondi "No, grazie. La modifica mi serve solo per l'import giapponese, ma grazie lo stesso. Gentilissimo".



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Commenti

  1. Ai confini della realt... Nomentana! :D

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  2. Queste storie Doc versus l'umanità mi fanno morire. Anche se quella dei dipendenti da Oreo, imho, rimane la migliore :)

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  3. era la prima playstation o il dreamcast?

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  4. AHahhaha spettacolare come sempre.
    Sopratutto per la parte dei baffi, immagino la scena :D

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  5. bei tempi quelli doc, bei tempi...

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  6. w la uno turbo! Da me c'era un tizio con questo missile terra aria che faceva le rotonde al contrario ... penso si sia schiantato :)
    crj

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  7. Hanno fatto tutte quella fine la Uno Turbo, crj. Tutte.

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  8. ti sbagli: http://www.unoturboclubitalia.it/documenti/iscrizione_club_2011.pdf :D
    Però faranno tutte quella fine lì.
    crj

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