La solitudine degli innumerevoli primi

Arrivano. Ne arrivano ancora. Lo fanno sempre.
I tuoi non sai più dove sono finiti, ormai. Gli amici uguale. Dovrebbero essere qui, nel momento del (tuo) bisogno, ma all'orizzonte non se ne vedono, non se ne vedono proprio.
Di nemici, in compenso, ne hai tutt'intorno un discreto fottio. Assetati di sangue. Pronti a cogliere al volo, i viscidi, il primo segno di debolezza per farti la pelle.
Normale, pensi, quando uno come te ha bruciato le tappe della carriera così in fretta. Sembra ieri, che eri solo alle prime armi, e invece è un attimo che ti trovi in cima alla scala gerarchica, senza più gradini dietro di te su cui poggiare i piedi.
Ma tu non demordi, non ti lasci andare. Col cazzo che ti lasci andare.
Stai lì, solo, e li aspetti al varco i tuoi nemici. E quando i primi due mostrano la loro brutta faccia gli pianti una pallottola a testa nella testa.
Cazzo se è dura la vita del cecchino in Call of Duty.

In foto: oggi niente foto. Che si rovinava la suspence.
Che poi uno pensa che l'Arisaka è un fucile giapponese e fa un po' strano quando il gioco ti butta tra i marines, tra i nazi, in mezzo alle fila dello sgangherato esercito sovietico, con quell'attrezzo giapponese in mano. Ma tanto fa uguale.
In World at War non è importante se sei leone o gazzella: ogni mattina, appena ti alzi, ti apposti dietro un cespuglio e prendi a stender gente.

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