Parappa il Pappa (O: When I say boom boom boom! you say bam bam bam)

Parappa, cagnolino bidimensionale vestito da rapper, con un cappellino di lana di quelli che solo er Monnezza o Alberto Belli, questo hip-hop hero con i suoi maestri cipolla, le sue lezioni di guida, i suoi I gotta believe che ne facevano tanto un piccolo democratico, un Veltroni ante litteram, sugli schermi della PSone spaccava. Che, ai tempi, ci hanno giocato un po' tutti. Fingendo di farlo per le fidanzate. Per i figli che ancora non avevano. Per i cugini di cui non si ricordavano neanche il nome. Ci giocavano, e poi dicevano che era una cazzata, una versione moderna del gioco del Simon: che nell'epoca testosteronica dei Tekken non potevi mica andare in giro a parlare di questo cane che canta come un cane ed è innamorato di un fiore e che dentro la confezione giappa del gioco c'è questa grande mappa colorata con tutti i personaggetti colorati in un mondo colorato. Insomma, non potevi mica andare in giro a parlare di questa ricchionata. Beh, tu lo facevi. Perché la colonna sonora ti metteva un'allegria addosso indicibile, e che non sapevi ancora la iattura, la generazione di debosciati con chitarrino plasticoso e batteria e microfono, che i nipotini di Parappa il Pappa, i vari Ghitar Iro e Rocbènd, ti avrebbero fatto figliare tutt'attorno.

In foto, la nippocover del gioco. Sul finto seguito UmJammer Lammy e sul vero sequel Parappa il Magniaccia 2 meglio soprassedere. Che, per ragioni diverse, sono entrambi più tristi di un sabato pomeriggio passato a fare la spesa tra i poveri al Lidl.


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