La marcia dei pinguini con la 24 ore. O: un gaijin allo stremo.

Dopo una giornata di fiera al Makuhari Messe, torni in albergo con i piedi distrutti e la borsa piena di ventaglietti, cataloghi brossurati e rilegati in oro, ventaglietti, cazzate. Torni in albergo fendendo al contrario la transumanza di salary man che marciano a milioni nella stazione di Tokyo e in quella di Shinjuku, senza scambiarsi una parola o uno sguardo. Che magari, sotto quell'aria compita, sono tutti dei misantropi scontrosi e cazzillosi. Vallo a sapere. Torni, e i treni della Keiyo Line sono posti sottovuoto dove, quando la massa umana esce compatta dal vagone, senti un "pop" come di bottiglia stappata. Torni, e sotto ogni stazione c'è un mondo fatto di librerie, ristoranti, negozi che vendono la maglietta di Ibra e dolci orribili e scarpe con la punta da pagliaccio e tante altre cose al popolo dei marciatori silenziosi. Torni, e sei così stanco che non ce la fai nemmeno a dire meenkia come sono stanc..., e allora pensi che mangiare pesce non sia questa grande idea e ti butti in un barbecue coreano dove la carne è preceduta da una terribile versione coreana di patate e peperoni. Mangi tutto, e senti lo stomaco che dice se vabbè e allora. E poi sei in camera e dall'ufficio arrivano casini e dal telefono pure e dalla reception arriva il jeans stirato e il Duffo è ancora lì che conta scontrini e impila giochi e tu dici ok. Ok, ti sei rotto a sufficienza i coglioni.

In foto, niente foto, che non c'hai voglia. Quand'è, piuttosto, che i giapponesi si civilizzano un po' e iniziano a consumare il pane? Pane, dici, non quelle robe francesi piene di burro che spacciano per tale in quelle orride pasticcerie pseudotransalpine che trovi a ogni angolo.

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