Gladiatori giapponesi

Il pubblico sugli spalti è in delirio: sull'arena piovono petali di rosa scarlatti, fagottini di sesterzi, raudi, miccette. I gladiatori entrano in scena e levano al cielo le armi per salutare il popolo che gremisce le gradinate. Si alza alto un grido: "Massimo! Massimo! Massimo!". Ma Massimo non c'è: che questo non è Il Gladiatore, ma due dei tanti ludocloni fioccati sulla sua scia. Nella fattispecie, a Tokyo hai raccattato Gladiator Road to Freedom Remix (Ertain) e Shadow of Rome (Capcom), due titoli che, pur pescando allo stesso modo a piene mani dal film di Scott, seguono vie diametralmente opposte. Il primo, versione redux (da qui il "remix" del titolo) di un gioco pubblicato in America da Koei come Colosseum: Road to Freedom, è infatti un "simulatore di gladiatore" vero e proprio. Scegli provincia imperiale di provenienza e precedente lavoro dello schiavo che interpreti e, combattimento dopo combattimento, allenamento dopo allenamento, porterai il tuo contadino gallo/ pastore ispanico/ videoludogiornalista calabro a calcare la sabbia del Colosseo. I combattimenti sono di varia natura (ammucchiate tutti contro tutti, 5 contro 5, sopravvivi a millemila barbari incazzati, fai il pieno all'Esso e accoppa un po' di tigri) e puoi scegliere di volta in volta quali affrontare. L'obiettivo, del resto, è soltanto quello di proseguire finché non metti da parte abbastanza grana da dire ciao al tuo padrone. Una struttura di gioco che, pur ripetitiva come le analisi calcistiche di uno juventino medio, potrebbe anche essere intrigante: il modo in cui è riprodotta la vita media del gladiatore (magna, allenati, ammazza) è verosimile, le armi sono tutte reali (con tanto di nomi in latino), se ti va puoi anche vivere un momento di gloria alla Spartaco infilzando un po' di centurioni a caso, e sul campo devi dosare le tue energie e accaparrarti al volo scudi, elmi, spade e quant'altro i tizi che hai appena passato al fil di spada non siano più in grado di adoperare. Il problema è che, essenzialmente, tutti i lottatori sono dei gran cecati: impossibile per come è impossibile lockare un avversario, finisci col mulinare le armi a casaccio, spesso beccando un tipo della tua "squadra" o andando completamente a vuoto. Il che spernacchia il pur interessante sistema di combo e rende le battaglie, più che una lotta all'ultimo sangue tra professionisti della morte, una fedele rievocazione dello scontro tra Oriazi e Curiazi.
L'ombra romana di Capcom, invece, "omaggia" il Gladiatore sin dal minuto zero, mostrando la battaglia con i Germani, il bosco in fiamme, il generale romano caduto in disgrazia e costretto a combattere nell'arena, etc. etc. Ma alla pura attività gladiatoria si affiancano qui digressioni varie, come i livelli in cui il menzionato generale romano (Agrippa) deve inculcare a un po' di barbari il concetto di pax romana, o quelli in cui un efebico Ottaviano indaga sulla morte di Cesare. Qui il sistema di combattimento è preciso al millesimo, vario (non mancano i suplex lanciati alla Kurt Angle, per dire) e luridamente soddisfacente come in ogni gioco Capcom. Solo che nell'arena ti trovi di fronte avversari alti quattro metri con armi improponibili, comparse scartate di un qualche episodio di Ken il Guerriero.
In buona sostanza, in un mondo ideale avremmo avuto la struttura di Gladiator Road to Freedom abbinata al sistema di combattimento di Shadow of Rome, e ne sarebbe venuto fuori il gioco sui gladiatori definitivo. Ma il mondo ideale è ancora a qualche salto di Stargate di distanza, e per rimediare stai giocando entrambi, saltellando dall'uno all'altro appena le rispettive idiosincrasie non ti frantumano i cosiddetti.
Nel frattempo, sugli spalti, plebei e patrizi hanno smesso di urlare. Si è sparsa la voce che Russel Crowe non c'è. Che magari è impegnato a picchiare qualche fotografo fuori scena, vallo a sapere.

In foto, la libertà conquistata, sesterzo dopo sesterzo, affettando alla julienne dei poveri barbari juventini. Altri esponenti del filone gladiatorio, tirati fuori da sviluppatori ingrifati dal film di Ridley Scott almeno quanto i tifosi della Roma, lo strategico Gladius (LucasArts) e lo sbarazzino e lievemente fantasy Gladiator: Sword of Vengeance (Acclaim), del quale la cosa più significativa era probabilmente l'artwork di copertina. Nessuno tra questi titoli, però, mostra la viva passione che le matrone romane nutrivano per i corpi sudati dei gladiatori. Quando si dice peccare di realismo storico.

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