PowerMonger e l'isolazionismo coatto dei primi isolani

Tra le altre robe comprate sulla baia, un po' random, un po' a naso, molto a c*lo, per festeggiare l'inatteso arrivo dell'Amiga 600HD in casa tua, non poteva mancare PowerMonger, con ogni probabilità la cosa migliore che quel pallonaro da competizione di Pit Molinè abbia mai fatto in vita sua. Ora, PowerMonger non aveva un'interfaccia incasinata e una struttura di gioco criptica come quelle di Populous. Manco per niente. Quello che dovevi fare, una volta messo piede sulla prima isoletta, era chiaro sin dal primo istante: accoppare pecore per magnartele, abbattere alberi per farne legname e, soprattutto, passare al fil di spada i villici a te ostili. Evento che faceva risuonare sull'isola le urla di vittoria dei tuoi, e proiettava nell'etere i fantasmini dei vili juventini massacrati. A questo punto, ripristinata la supremazia della fede nerazzurra sull'isola, capivi bene di dover portare le tue conquiste su un altro lembo di terra ferma. Quello che non capivi, però - e avresti impiegato mesi prima che la sorte, magnanima, ti svelasse pietosamente la strada - era che per farlo dovevi semplicemente tornare alla mappa principale e cliccare su un altro isolotto. No, tu pensavi che il passaggio di isola in isola avvenisse in real time, mediante una migrazione di massa del tuo popolo. Perciò ti ostinavi a far abbattere alberi su alberi, costruendo mille di quelle barchettine monoposto ridicole. Risultato da apocalisse ecologica: nell'arco di una mezz'ora il tuo scoglio era privo della benché minima traccia di vegetazione, le pecore erano state tutte trasformate in costine da fare alla brace, e lo specchio d'acqua attorno all'isola era zeppo di barchette monoposto in legno che andavano un po' a c*zzo di cane. Da valorosi guerrieri a diportisti in bolletta nel volgere di pochi minuti.

In foto, un'immagine del gioco. Sotto la neve l'abbacchio, in attesa di trovare una via di fuga da quella dannata isola, era ancora più saporito.


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