L'uomo di ferro, con le mutande di latta

Iron Man funziona sul grande schermo proprio per la stessa ragione per cui risultano improponibili al cinema svariati suoi colleghi metaumani. Che in un film action un uomo che indossa una corazza ipertecnologica, per quanto verniciata oro e cremisi, risulta un attimo meno inverosimile di un post-adolescente in tutina di spandex rossa e blu, di una icona gay extraterretre in mutande scarlatte, ma anche di un miliardario misantropo con una tuta da pervertito in gomma nera munita di lungo mantello. Anzi, su schermo l'armatura acquista finalmente una sua fisicità, sembra vero metallo molto più, logicamente, di quanto non sia mai riuscita a sembrarlo su carta. Ed è soprattutto per questo che la pellicola di Favreau scorre piacevole per quasi due ore, nonostante gli inevitabili cliché hollywoodiani, come la telefonatissima metonimia del trofeo con il cuore di riserva dentro, come le espressioni da idioti assunte da guerriglieri e soldati dello SHIELD quando si trovano alle prese con le armature. Discretamente ampia la dose di citazioni a uso e consumo dei soli Marvel fan: tra le tante, hai trovato gustosa la scena in cui Jim Rhodes (che nei fumetti, e nei picchiaduro Capcom, è il cazzutissimo War Machine) fissa per diversi istanti l'armatura argentata nel garage di Tony. Per poi rimandare la tentazione di indossarla a un'altra volta: altro giro, altro film, altra armatura.

In foto: nel film Jeff Bridges è lo squalo aziendale Obadiah Stane e, in pratica, l'Iron Monger della Guerra delle Armature. Dopo "Il grande Lebowski", un altro deciso passo in avanti per la carriera di un tizio che nel 1996 ha interpretato quell'abominevole film del c*zzo assieme alla Streisand. E chiunque sia stato costretto dalla sua dolce metà a sorbirsi le due ore abbondanti di "L'amore ha due facce" sa bene di cosa tu stia parlando.