La guerra degli zombie (o: "Togli la cera, togli ancora la cera")
Oggi pomeriggio, mentre, novello Ralph Macchio, raccoglievi dal pavimento del tuo ufficio, i due litri di cera rossa versati dalla lava lamp precipitata inopportunamente al suolo, mentre fuori era ancora tutto pieno di neve come nella pubblicità del pandoroMainapianopianobuonobuono, mentre ti tornavano in mente le parole di "Luna" di Gianni Togni, mentre sul tuo screensaver scorreva la solita frase, "Torino Delenda Est", mentre i postini continuavano a cospirare alle tue spalle, hai pensato che Max Brooks è davvero un tipo in gamba. Giusto un anno fa, leggevi il suo "Manuale per Sopravvivere agli Zombie": pseudo-vademecum che all'ironia intelligente di tante produzioni simili preferiva un approccio più maniacale. Serissimo, il tomo suggeriva tutta una serie di strategie, tecniche, tips, cheats e codici Action Replay per affrontare un "focolaio zombie". Per come si chiudeva quel volume, con la cronaca di tutti i "veri" casi di epidemie di non-morti scoppiate nel pianeta, hai pensato allora che Max, figlio di Mel Brooks e della Bancroft, un libro sull'argomento avrebbe potuto anche degnarsi di scriverlo, e che cacchio.
Dodici mesi dopo, giorno più giorno meno, hai trovato in libreria il suo "World War Z. La guerra mondiale degli zombie", un romanzo che per temi, personaggi, approccio pseudo-storico e soprattutto per la volontà di immaginare il futuro prossimo dei teatri politico-militari più caldi del globo, ricorda molto le storie di Tom Clancy. Solo che qui a) ci sono gli zombie, b) le atmosfere sono più prossime alle storie del bellissimo fumetto yankee "The Walking Dead" che a quelle di uno Splinter Cell qualsiasi, c) i russi non sono i cattivi. Non proprio, quanto meno.
In foto, la cover dell'edizione originale (che quella italiana è bruttissima) di "World War Z". Un ottimo fumetto, un ottimo gioco ("Dead Rising", neanche a dirlo), l'ultimo film di Romero, e ora anche un buon libro, che sta per diventare un film ed è sceneggiato da uno scrittore di fumetti: bel periodo, quello che gli zombie stanno vivendo da un paio d'anni a questa parte. Naturale. Lo dicevano un po' tutti che il mondo dell'entertainment è diventato un vero mortorio.
Dodici mesi dopo, giorno più giorno meno, hai trovato in libreria il suo "World War Z. La guerra mondiale degli zombie", un romanzo che per temi, personaggi, approccio pseudo-storico e soprattutto per la volontà di immaginare il futuro prossimo dei teatri politico-militari più caldi del globo, ricorda molto le storie di Tom Clancy. Solo che qui a) ci sono gli zombie, b) le atmosfere sono più prossime alle storie del bellissimo fumetto yankee "The Walking Dead" che a quelle di uno Splinter Cell qualsiasi, c) i russi non sono i cattivi. Non proprio, quanto meno.
In foto, la cover dell'edizione originale (che quella italiana è bruttissima) di "World War Z". Un ottimo fumetto, un ottimo gioco ("Dead Rising", neanche a dirlo), l'ultimo film di Romero, e ora anche un buon libro, che sta per diventare un film ed è sceneggiato da uno scrittore di fumetti: bel periodo, quello che gli zombie stanno vivendo da un paio d'anni a questa parte. Naturale. Lo dicevano un po' tutti che il mondo dell'entertainment è diventato un vero mortorio.
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