29 hours by walk (lo sbirro e lo sbarro)

Altra giornata di folli camminate, a tagliare da nord a sud l'isola che fu di irochesi e algonchini, sotto un sole feroce e il traffico cristallizzato in code lunghe chilometri. Ché se prendi un taxi impieghi un'ora ogni 100 metri. Ché se prendi un taxi il suo conducente originario del Bangladesh ha tutto il tempo di raccontarti della sua famiglia, della sua vita nel Queens, del suo odio per Bush, del suo paese e di altre tremila cose che, a un certo punto, proprio non ce la fai più ad ascoltare. Così camminate e camminate, guardando piedipiatti incaprettare e trascinare in macchina il solito portoricano (con la faccia incredibilmente uguale ai portoricani incaprettati e sbattuti in macchina da Starsky & Hutch), e trovi pure il tempo di dirottare il percorso clinica-albergo per far sì che si trovi a incrociare all'altezza del Nintendo World a Rockfeller Plaza (dove, spintonando ciccioragazzini rompicoglioni, fai scorte di gadget introvabili con cui ricattare a tempo debito la redazione).
Torni in albergo con i piedi in fiamme, una risposta a un vecchio dubbio e un nuovo interrogativo. La prima: grazie che i nuovaiorchesi sono così irascibili e scontrosi e buzzurri: farsi i chilometri in mezzo a una fiumara di gente sudaticcia in ogni momento della giornata non è il massimo della vita. L'interrogativo: ma quelli che hanno inventato la catena di fast food italiana a base di pizza e pasta express (sic!) chiamata SBARRO, non l'hanno studiata a scuola la metatesi quantitativa, vero?

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