DocManhattan VS Manhattan: indagini preliminari (A Calabrishman in New York)

SE. Un uomo. Di razza caucasicosentina. Mette piede fuori dall'aeroporto gei-ef-chei con tre ore di ritardo rispetto al dovuto. SE. Questo ritardo, frutto delle efficienti littorine volanti alitaliote, si trasforma nel rischio di non trovare lo shuttle privato che dovrebbe portarvi in albergo. SE. L'autista invece c'è ancora, ma chiede il doppio per le corse perse nell'attesa. SE. Dopo aver contrattato due ore in un pessimo inglese (e non per colpa tua), attraversando a passo d'uomo una porzione del Queens in cui conti almeno dodici pizzerie paisan, l'autista si decide finalmente a rivelare che è marocchino e parla un ottimo italiano. Rivelando una padronanza della lingua che farebbe invidia a molti tuoi conoscenti. SE. Arrivate in un albergo ultra-moderno del quartiere più trendy della città più à la page del paese più modaiolo del continente più up-to-date del pianeta. E nella hall risuona Dr. Beat dei Miami Sound Machine, che non sentivi da almeno vent'anni. SE. Nonostante la stanchezza, la fame vi trascina in un BBQ che più americano non si può, tra corna di bue appese e altre portate in testa da avventori dalle compagne svestite e disinvolte, in una Broadway sciamante di risciò rossi. E tu finisci col mangiare il solito chili texano. SE. Torni in albergo, ti sforzi di ignorare la HBO per non scoprire la verità, e la tonnellata di volantini di Best Buy e Circuit City (su PS3, LCD e altra roba fondamentalmente inutile venduta a prezzo pieno) infagottati con la copia del NY Times davanti alla porta della stanza. SE. Ti butti sul letto ancora vestito, getti via il cellulare, chiudi gli occhi e rimandi al post-dormita il pensiero di quanto vi ha portato qui, il pensiero delle cose da fare domani, il pensiero di chiamare casa, il pensiero. Allora, e solo allora, questa giornata lunga 34 ore potrà forse dirsi FINITA.

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