Il deserto dei videogiocatori

Se, alle sei del mattino, un grosso corvo gracchia davanti alla tua finestra, puoi solo sperare che sia tutto un sogno. Che stai ancora dormendo, che il corvo ha letto Poe e sta per dirti "Mai più", che, forse, non l'hai mica digerita benissimo la pizza di ieri sera. Soltanto questo, e nulla più.
E invece il corvo è reale, tu sei sveglio, e fuori il cielo continua ad avere il colore dell'antracite. Ti alzi, e aspetti un'altra giornata di merda. Che non verrà.
Perché le giornate, comprendi, non sono di merda. Sono semplicemente tutte dannatamente uguali. E dire che lo sapevi. Sapevi che non avresti dovuto rileggerti "Il deserto dei Tartari" di Buzzati. Ché a quindici anni non te ne accorgi, ma quando lo riprendi a 30 e spicci capisci. Capisci che anche tu sei un Giovanni Drogo, e la tua Fortezza Bastiani è una scrivania ingombra di riviste e di un paio di monitor. Le tue giornate di ronda sono notizie su giochi e piattaforme che aspetti, arrivano, se ne vanno. E il tempo accelera, non ti ricordi più che giorno è, se Pasqua sia già passata o meno, da quanto tempo fai questa vita. Mese dopo mese. Anno dopo anno. Ti sembra ieri, ma sono quasi dieci anni che sei virtualmente incatenato alla tua Fortezza, ipnotizzato dai suoi bastioni fatti di presskit e gadget nominalmente giapponesi ma made in China. Fuori, al di là del deserto, gli amici vanno e vengono. Si sposano, mettono al mondo figli dai nomi improbabili, se ne vanno, a volte ritornano. Il tutto mentre tu, nella tua torretta di guardia, scruti l'orizzonte aspettando il GIOCO. Un titolo in grado davvero di sbalordirti per più di cinque minuti. Di liberarti da questo senso permanente di insoddisfazione. Un titolo che, inizi a temere, non arriverà mai.
O forse, come gli eserciti del Nord per Drogo, sceglierà sadicamente di farlo solo quando avrai abbandonato la tua Fortezza.

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