DocManhattan Vs Paris 2 (Sapristi, excuse moi)
Secondo giorno, sempre a due passi dalla piramide rovesciata fulcro di tutte le stronzate di Dan Brown. Provato dalla pessima nottata (difficile non accusare i nefasti effetti della coalizione cibo libanese + simpatia tipica d'oltralpe), siedi abbandonato su una poltroncina girevole.
Ti si avvicina un uomo, e ha un'età indefinibile (potrebbe e non potrebbe essere tuo padre) e la faccia da attore impegnato del nuovo cinema francese. Trova spazio sulla poltroncina accanto alla tua e domanda, con occhio mobile proiettato sulla sala ma tono cortese, se ti è piaciuto, quello che hai visto finora.
E tu, che pur ti pare di averla già vista altrove quella faccia, parti con la solita filippica. Il tema, abusatissimo nelle chiacchiere tra colleghi, della inutilità di fondo di presentazioni in cui di giocabile c'è poco più di un cazzo.
Questo gli dici, nella lingua intermedia universale, e l'uomo sorride ancora. Ma, ti sembra di notare, con un pelo meno di entusiasmo. Solo allora, fuori tempo massimo, ricordi dov'è, alla fine, che lo avevi già visto. La sera prima. In qualità di lider maximo dell'evento a cui tu, buttato sulla tua poltroncina girevole, stai pur sempre prendendo parte. E anche se di francese non sai e non vuoi sapere nulla, la parola gaffe (s.f.inv.) inizia a lampeggiarti in fronte nei cubitali di un neon rosso.
Il rientro, dopo la fuga sulla RER, siete tu, il tuo nervosismo e "Il deserto dei Tartari" di Buzzati, iscritti (fottuti posti centrali) tra un cinese e un italiano con i capelli di Benigni. E, in barba a ogni luogo comune, non è il primo a ruminare aglio e ruttare sommesso nel suo bicchiere di Coca. Poi il pilota del secondo volo che aggiorna la cabina sui gol di Inzaghi, l'arrivo a casa nel cuore della notte.
Con una qualche ridicola canzoncina francese che continua il suo loop, da qualche parte, nel tuo cervello.
Ti si avvicina un uomo, e ha un'età indefinibile (potrebbe e non potrebbe essere tuo padre) e la faccia da attore impegnato del nuovo cinema francese. Trova spazio sulla poltroncina accanto alla tua e domanda, con occhio mobile proiettato sulla sala ma tono cortese, se ti è piaciuto, quello che hai visto finora.
E tu, che pur ti pare di averla già vista altrove quella faccia, parti con la solita filippica. Il tema, abusatissimo nelle chiacchiere tra colleghi, della inutilità di fondo di presentazioni in cui di giocabile c'è poco più di un cazzo.
Questo gli dici, nella lingua intermedia universale, e l'uomo sorride ancora. Ma, ti sembra di notare, con un pelo meno di entusiasmo. Solo allora, fuori tempo massimo, ricordi dov'è, alla fine, che lo avevi già visto. La sera prima. In qualità di lider maximo dell'evento a cui tu, buttato sulla tua poltroncina girevole, stai pur sempre prendendo parte. E anche se di francese non sai e non vuoi sapere nulla, la parola gaffe (s.f.inv.) inizia a lampeggiarti in fronte nei cubitali di un neon rosso.
Il rientro, dopo la fuga sulla RER, siete tu, il tuo nervosismo e "Il deserto dei Tartari" di Buzzati, iscritti (fottuti posti centrali) tra un cinese e un italiano con i capelli di Benigni. E, in barba a ogni luogo comune, non è il primo a ruminare aglio e ruttare sommesso nel suo bicchiere di Coca. Poi il pilota del secondo volo che aggiorna la cabina sui gol di Inzaghi, l'arrivo a casa nel cuore della notte.
Con una qualche ridicola canzoncina francese che continua il suo loop, da qualche parte, nel tuo cervello.
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