I don't wanna hear, I don't wanna know (please don't say you're sorry)
Hai voglia a spiegare a chi ha la (s)fortuna di viverti accanto che i VG non si sono fermati a Pac-Man. Che si sono evoluti. Che hanno grafica prossima al fotorealismo e storie complesse. Che sono capaci di farti ridere, di tenerti incollato agli sviluppi di una trama, in qualche (raro) caso di farti pensare e, per sovrapprezzo, persino di far piangere qualche nerd quando uno dei protagonisti tira le cuoia. Che sono ormai materia di studio in campus illuminati. Che la dignità artistica, i game studies, i Kojimaèmegli'iPelè. Hai voglia, se poi ti fai beccare alla guida di un cerchietto, tutto intento a bersagliare furiosamente rombi celesti e quadratini viola su una griglia che ricorda gli esercizi di assonometria cavaliera in Educazione Tecnica alle medie. "E lo scopo, esattamente, quale sarebbe?" ti chiede lei, lo sguardo ironico ma non privo di quel barlume di freddezza alla Clint Eastwood che esige una risposta sincera. "Il pu-nte-ggio", balbetti tu. Gli occhi ancora incollati a rombi e quadratini e cerchietti e svariate altre forme geometriche in guerra tra loro. "Come Pac-Man, in pratica?" chiosa la persona che ha la (s)fortuna di viverti accanto.
E che le vai a dire?
E che le vai a dire?
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