“Mi chiamo... Dr. Manhattan. E sono un videogiocatore...”


Pare che i videogiochi facciano bene alla vista. Sì: bene. I videogiochi. Esatto. I risultati di questo studio minano però alla base alcune convinzioni su cui si sono sedimentati, essenzialmente, gli ultimi vent’anni della mia vita. Per amor di sintesi: 1) che la mia miopia dipendesse solo da tutte quelle ore trascorse incollato allo schermo. E non da altre pratiche anch'esse ludiche, se vogliamo, ma di differente natura, e che 2) noi, nerd assuefatti al verbo videoludico, fossimo costretti a portare gli occhiali come segno distintivo di appartenenza al club. Anche se poi ci vergogniamo di essere considerati dei nerd, sempre con quelle magliettine nere con i loghi degli sparatutto e i jeans vecchi, e tra noi preferiamo la parola geek (fingendo di esser coscienti della nostra condizione di sfigati e di potercene addirittura vantare) e qualche volta abbandoniamo la montatura in tartaruga tenuta su con il nastro adesivo per un paio di lenti a contatto. Dunque: fanno bene. I videogiochi. Cazzarola. Il che vuol dire anche che devo annullare la mia prenotazione presso la Gamesterdam Clinic. Cos'è? Una delle soluzioni offerte dalla Smith & Jones, azienda olandese specializzata nella cura di dipendenze di vario tipo. Compresa quella da videogiochi. Non riuscivo a capire se la mia situazione rientrasse tra quelle considerate patologiche ("Persone la cui vita è resa ingestibile dall'abuso dei videogame". Potrebbe essere), anche perché il sito precisava che "trattandosi di un fenomeno nuovo, la gaming addiction può portare a fasi di negazione maggiori che nei casi di dipendenza chimica". Nel dubbio, mi sono soffermato allora sui rischi di tale dipendenza, equiparati a quelli da droga e alcolici (sono olandesi: se ne intenderanno di droghe e alcolici, no?). Peccato. Sarei stato il primo italiano che va ad Amsterdam per disintossicarsi...

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