Il pomeriggio che bruciammo Firefox
Quando esci di casa è ancora buio, ma indossi già gli occhiali a specchio. Ti infili in macchina, ti infili in un aereo, ti infili in metro. La tua compagna di viaggio è una vecchia copia de La notte che bruciammo Chrome di William Gibson comprata ai tempi del liceo, tipo nel '92. Lo stai rileggendo perché ti andava di scoprire quanto e se i suoi racconti siano invecchiati quando il futuro è arrivato e se n'è andato. Lo stai rileggendo perché non ricordavi poi molto di Johnny Mnemonic, del delfino Jones, dei cowboy del computer e ladri cibernetici Bobby e Jack, di tutti gli altri. Lo stai rileggendo perché, oh. Fissi le pubblicità del vagone: ti hanno sempre fatto un effetto molto strano le pubblicità immerse nel buio perenne e senza giorno della metropolitana. Un'anziana donna giapponese, chiaramente una killer della Yakuza, fissa invece te dietro degli occhiali troppo moderni per non nascondere gli impianti cibernetici ottenuti standosene a mollo in una vasca di Chiba City [...]
Fai finta di niente, sforzandoti di non guardarla. Torni ai cartelloni, al loro effetto straniante. Ti promettono denti nuovi, capelli nuovi, fisici nuovi, livelli d'istruzione nuovi. Un nuovo sorriso, una nuova chioma, nuovi addominali, un nuovo cervello. Innesti a pagamento coccolati da una pallida luce al neon, praticamente la cosa più prossima al cyberpunk servitaci in questo freddo futuro senza wow factor e stazioni orbitali. Le facce nelle pubblicità hanno le bocche spalancate per gioiastuporesicurezzadentinuovi; te le immagini a urlare cose oscene per scandalizzare chi non le guarda, cioè tutti. Nessuno nel vagone a parte te e la killer della Yakuza ottuagenaria tiene gli occhi più alti dell'alzo zero rappresentato dal proprio grembo. Decine di pollici percorrono all'unisono centinaia di metri su piccoli schermi rettangolari, nel silenzio delle grandi occasioni. Sugli schermi scorrono nomi e parole, e scorrono veloci. La matrice nel 2014 sono blande emozioni, stati d'animo, gioie, lutti, incazzature, cazzate, messaggi trasversali, sassolini, scarpe, gattini. Nel futuro diventato presente tutti hanno diritto a quindici minuti di non celebrità di cui non frega niente a nessuno. Anche più di quindici.
Un'ora più tardi, l'aruspice digitale a cui affidi le tue sorti da un anno e mezzo scruta nel fondo di applet java il tuo futuro. Esce pioggia, tendente al brutto. Vieni fuori da lì che per il dolore tremi come un drogato di robe sintetiche. Mentre aspetti il taxi, immerso nel grigio lattiginoso e immobile di periferia, una signora col cane si ferma, ti chiede se hai freddo. Provi ad accarezzare il cane, rispondi che no, non hai freddo, la signora tira via la bestia e ti guarda male. Non sei un drogato, vorresti dirle, ma tanto che cambia. Bevi un'altra rb al Gentleman Loser, pensi che questa storia che vi hanno tolto il futuro giapponese fico sia una merda, che si debba fare qualcosa. Ti viene in mente un'idea folle che... no, dai. O forse sì? C'è che le idee nascono tutte bellissime, ma invecchiano più in fretta delle tipe stronze che se la tiravano troppo al liceo dietro ai ray-ban verdi rettangolari.
Torni in albergo. Tra qualche ora c'è l'incontro con i ragazzi, ma prima di riprenderti, prima di toglierti questi occhiali e buttarli via, prima di cominciare a immaginare come sarebbe averci davvero un delfino Jones con le sue lucette colorate come amico, buchi l'ICE del porca-miseria-che-male grazie a un software russo comprato al mercato nero. Ti getti tra le braccia dell'antidolorifico: fletti i muscoli e sei nel voltaren.
La matrice tutto attorno crasha con lo sgraziato suono di un avviso errore di sistema. Chiudi gli occhi almeno per un po', cowboy. Non se ne accorgerà nessuno.
Fai finta di niente, sforzandoti di non guardarla. Torni ai cartelloni, al loro effetto straniante. Ti promettono denti nuovi, capelli nuovi, fisici nuovi, livelli d'istruzione nuovi. Un nuovo sorriso, una nuova chioma, nuovi addominali, un nuovo cervello. Innesti a pagamento coccolati da una pallida luce al neon, praticamente la cosa più prossima al cyberpunk servitaci in questo freddo futuro senza wow factor e stazioni orbitali. Le facce nelle pubblicità hanno le bocche spalancate per gioiastuporesicurezzadentinuovi; te le immagini a urlare cose oscene per scandalizzare chi non le guarda, cioè tutti. Nessuno nel vagone a parte te e la killer della Yakuza ottuagenaria tiene gli occhi più alti dell'alzo zero rappresentato dal proprio grembo. Decine di pollici percorrono all'unisono centinaia di metri su piccoli schermi rettangolari, nel silenzio delle grandi occasioni. Sugli schermi scorrono nomi e parole, e scorrono veloci. La matrice nel 2014 sono blande emozioni, stati d'animo, gioie, lutti, incazzature, cazzate, messaggi trasversali, sassolini, scarpe, gattini. Nel futuro diventato presente tutti hanno diritto a quindici minuti di non celebrità di cui non frega niente a nessuno. Anche più di quindici.
Un'ora più tardi, l'aruspice digitale a cui affidi le tue sorti da un anno e mezzo scruta nel fondo di applet java il tuo futuro. Esce pioggia, tendente al brutto. Vieni fuori da lì che per il dolore tremi come un drogato di robe sintetiche. Mentre aspetti il taxi, immerso nel grigio lattiginoso e immobile di periferia, una signora col cane si ferma, ti chiede se hai freddo. Provi ad accarezzare il cane, rispondi che no, non hai freddo, la signora tira via la bestia e ti guarda male. Non sei un drogato, vorresti dirle, ma tanto che cambia. Bevi un'altra rb al Gentleman Loser, pensi che questa storia che vi hanno tolto il futuro giapponese fico sia una merda, che si debba fare qualcosa. Ti viene in mente un'idea folle che... no, dai. O forse sì? C'è che le idee nascono tutte bellissime, ma invecchiano più in fretta delle tipe stronze che se la tiravano troppo al liceo dietro ai ray-ban verdi rettangolari.
Torni in albergo. Tra qualche ora c'è l'incontro con i ragazzi, ma prima di riprenderti, prima di toglierti questi occhiali e buttarli via, prima di cominciare a immaginare come sarebbe averci davvero un delfino Jones con le sue lucette colorate come amico, buchi l'ICE del porca-miseria-che-male grazie a un software russo comprato al mercato nero. Ti getti tra le braccia dell'antidolorifico: fletti i muscoli e sei nel voltaren.
La matrice tutto attorno crasha con lo sgraziato suono di un avviso errore di sistema. Chiudi gli occhi almeno per un po', cowboy. Non se ne accorgerà nessuno.
... Wow. Mi tiri fuori un afrore cyberpunk anche da un treno in mezzo alla periferia della mia bella città (mannaggiappork che m'ero dimenticato che venivi, sarei venuto a fare l'Otaku timido nascosto dietro il palo).
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RispondiEliminaNo ti prego, quel libro non si trova e non ho un ebook reader, non farmi questo :( Ho anche finito da poco Neuromante e con somma tristezza ho scoperto che Monna Lisa Cyberpunk è reperibile mentre Giù nel cyberspazio MANCO PER NIENTE.
RispondiEliminaBuon soggiorno comunque, io abito a 500 km e non posso venire ma la Milano cyberpunk è utopia.
Purtroppo io sono nella tua stessa drammatica situazione, una trilogia senza conclusione per me... T-T
EliminaTu sei nato per scrivere fantascienza ! E prima te ne esci con una tetralogia e meglio è!
RispondiEliminaSono d'accordissimo con te!
EliminaAsd
RispondiEliminaOhi ohi...quindi va così male?
RispondiEliminaStruggente, Doc.
RispondiEliminaSarà anche colpa dell'aria di pioggia cyberpunkosa, ma, cristoforo, con poche righe mi hai smosso le corde spesso appisolate dalla quotidianità.
niente male,in poche righe hai generato un flashback pericolosissimo... EW
RispondiEliminaSe stamattina Kentozzi ci aveva fatto ridere questo invece ci fa riflettere..hai una capacità di cambiare registro e stile che è prerogativa di pochi, grazie per questo pezzo e per questo blog.
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RispondiEliminaL'aria di Milano fa bene Doc..sempre detto io..
RispondiElimina2 cose. 1)In sintesi, come stai? 2)Cyberpunk fuori tempo massimo ambientato nell'Italia di oggi. Vogliamo il romanzo breve! Scrivilo ora!
RispondiElimina"gli impianti cibernetici ottenuti standosene a mollo in una vasca di Chiba City" E' una citazione dalla prima scena dell'anime di Ghost in the shell ?
RispondiEliminaTanto per la cronaca tiri fuori questo articolo dopo una giornata una intera a giocare a netrunner col mio socio.
RispondiEliminaChe lo sprawl delle ispirazioni sia un posto cosi piccolo?
E ora è d'obbligo rileggere La Notte che bruciammo Chrome.
RispondiEliminaCome aizza le scimmie lei Doc, pochi altri!
concordo, assolutamente.
EliminaSembra Deux Ex human revolution......
RispondiEliminaScusate la mia ignoranza ma se ho un'emal di libero come la devo mettere per non risultare anonimo?
Fatemi un esempio
Un effetto StranianteMilano ma ovunque nel presentepassatoprossimo. Complimenti Doc, inizio gia' a prenotarmi per un nuovo libro, questa volta superfantascienzo :-)
RispondiEliminaSto leggendo Player One preso come se fossi Bastian de La storia infinita, ti ci metti pure tu con questo post... la mia schiena non è che possa reggere un reggimento di donkey kong a lungo... dài, scrivi sto libro per bene e facciamola finita, fallo bello lungo (non troppo, il giusto) e diventa Rico (mi sa semplicemente Rico, con una "c" sola) mettendolo in vendita su Amazon.
RispondiEliminaAzz, questo mi manca!
RispondiEliminae questo post capita a fagiuolo proprio ora che sto recuperando alcuni romanzi di Gibson!
Proprio ieri ho trovato una copia di Neuromante, che inizierò a brevissimo, e sono in cerca de La Macchina della Realtà (al quale si è ispirato uno dei giochi che adoravo di più su Amiga, The Chaos Engine)!
L'hai letti si?
"Che faccio, mi offendo?" :)
EliminaMi inquieta che solo ieri ne parlavamo nel circolino internettiano di giocatori di ruolo che frequento. Alla fine siamo tutti interconnessi?
RispondiEliminaParlavamo di questa orda di zombie dallo sguardo basso sul cellulare che non nota niente di quel che c'è intorno. Di questa corsa ai cinque secondi di attenzione per il "mi piace" o "condividi" di cose neppure tue, il festival del copia-e-incolla, dove tutti sgomitano per essere in cima alla lista delle ultime pubblicazioni, senza accorgersi che se tutti lottano per stare sotto il riflettore, non c'è nessuno che ti sta guardando.
E' l'era dello SPAM, delle cose urlate a piena voce, non importa il contenuto, basta che si senta la mia banalità unificata e si senta a piena voce che sono io a dirla. Un rumore bianco di fondo, di voci che si accalcano senza avere poi niente da dire, ma l'importante è dirlo.
Siamo nell'era di internet e lo usiamo per i selfi del look di oggi.
Siamo nell'era dell'informazione a portata di mano e passiamo le ore a postare foto di gattini.
Siamo nell'era dei Google Glass e li usiamo per fare lifeblogging dello yuppie medio.
Siamo arrivati nel futuro, ci hanno dato in mano tutto quello che abbiamo sempre sognato e lo usiamo nel modo più banale possibile.
Tutto ciò è così triste.
Penso che tornerò a rileggermi Gibson anche io.
Hai ragione. Abbiamo ereditato tutto dal cyberpunk, tranne lo stile.
EliminaSolamente grazie Doc.
RispondiEliminaTesto troppo complicato per il sottoscritto: non si doveva parlare dell'aver bruciato un software per navigare su Internet?
RispondiEliminahttp://it.wikipedia.org/wiki/La_notte_che_bruciammo_Chrome
EliminaBello. Bravo Doc.
RispondiEliminaLetti tutti i primi romanzi Gibsoniani, alcune decadi fa, e devo dire che alla fine l'antologia LNCBC è l'unico che non mi è rimasto particolarmente impresso, a parte il racconto che da titolo alla raccolta. Diciamo che Gibson va letto tutto partendo, ovviamente, da Neuromacer e passando poi a Monalisa Overdrive e Count Zero. Meritano anche The Different Engine, scritto con Sterling (autentico steampunk, prima che scoppiasse la moda) e Vitual Light, il romanzo sui Google Glass. Dopodiché ho iniziato a leggere Aidoru e... s'è rotto l'incanto. Non sono più riuscito a leggere nulla di quanto prodotto dal caro Bill...
RispondiEliminaHinterland è uno di quelli che vengono ricordati meno tra i racconti di Chrome, ma secondo me è uno dei più potenti. E non ha perso un oncia della sua forza, visto l'argomento.
EliminaNon lo ricordo. Un buon motivo per riprenderlo in mano e rinfrescarmi la memoria. Grazie per la segnalazione.
EliminaSe adesso fossi cyberpunk , mi sarei già impiantato come minimo un paio di bazuca nei gomiti , e il traffico non mi farebbe arrivare in ritardo in ufficio , il villanzò.
RispondiEliminaPerò hai ragione, il futuro che ci avevano immaginato prevedeva una vita sul filo del rasoio, la realtà invece il mutuo sul groppone; multinazionali giapponesi con un etica samurai ,contro i venditori cinesi del mercato coi prodotti ciarpame numerosi come cavallette; l' oscurità dei palazzoni in vetro e cemento invece del grigio e rosso delle strutture senza vetri dei palazzi mai completati per i fallimenti e le crisi; al kipple in scatola sostituiamo i finti pomodori che sanno da cartone della Lidl. Ci hanno defraudato di un futuro oscuro , pericoloso , e figo. A mio avviso i cosiddetti " mirrorshades" nulla hanno perso del loro fascino...
Best DOC ever!
RispondiEliminaUna perla questo pezzo, vogliamo un seguito ;-)
Mi spiace non aver potuto esserci al 168 ieri... :-(((
Che malinconia Doc! Anch'io ci credevo nel futuro fico e distopico allo stesso tempo dipinto da Gibson&co, questo articolo mi ha riportato al me stesso adolescente che leggeva, videogiocava e guardava film cyberpunk, contrapposto al mio me stesso leggermente più invecchiato che frequentava l'università nella Milano dei primi 2000... Spero veramente di leggere un tuo romanzo completo prima o poi.
RispondiEliminaCurioso...
RispondiEliminaIo sto giusto reiniziando da capo la "Ciclo di Bigend", avendo scoperto da poco che era uscito un terzo libro...
Già ne "L'Accademi dei Sogni" Gibson traccia, negli USA post-11 Settembre, una situazione simil-cyberpunk SENZA le cose più "cool" del cyberpunk.
L'alienazione c'è tutta, ma non è "corale" e ultra-violenta come nella Trilogia dello Sprawl... già si cominciano a leggere le conseguenze odierne di Internet sulla società...
Forse ha ragione un mio amico, che sostiene che l'umanità deve avere momenti di evoluzione e altri di involuzione, e che quello a cui ci stiamo avviando è un epoca che lui definisce "Medioevo Tecnologico".
Oggi, secondo lui, l'uomo dovrebbe essere definito come "Homo Vide(o)ns", per la sua dipendenza estrema a esplorare la realtà che lo circonda tramite il video e gli schermi.
Personalmente sono sempre più convinto che una parte importantissima sull'avoluzione/involuzione dell'uomo l'abbia fatta l'evoluzione della LUCE.
Vedere la realtà attorno a noi illuminata dalla Luna, dal fuoco, dai lampioni a gas e dalle lampade al neon, ha fatto la differenza...
Il cyberpunk era un universo illuminato dalle lampade al neon e dalla fluorescenza, noi viviamo in un mondo che ormai andando verso i L.E.D.
Saluti.
Doc Manahattan ,per l'accusa di avermi indotto subdolamente a rivedere Johnny Mnemonic, la dichiaro : colpevole.
RispondiElimina^_^