Frankie se ne va a Hollywood, parte 6

Giusto con quelle due virgola qualcosa settimane di ritardo (oh, c'hai avuto da fare), ecco, bello fresco come il coccobelloafrica dei Ricchi e Poveri, un nuovo capitolo delle mirabolanti avventure di Frankie, il mostro che straccia tutti a Trivial Pursuit (i cinque capitoli precedenti li trovate qui). Come dite? Volete sapere che diavolo ci faccia Frankie con una maschera da lucha? Oh, beh.

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Per un po’ si era andati avanti noi due, io e Hanz, vendendo tutto il vendibile. Alcuni mobili, tutti i libri non ancora mangiati dalla muffa, le macchine di Victor rimaste in magazzino. Il che, peraltro, aveva generato tutto un nuovo ordine di problemi. Da principio l’intera partita di canarini meccanici ci aveva fruttato un discreto gruzzolo: nulla di sensazionale, intendiamoci, ma ce n’era a sufficienza per tirare avanti almeno sei, sette mesi, e forse pure per riparare qualche finestra. Il fatto è che quei soldi li abbiamo dovuti restituire ben presto tutti. In qualche caso con l’aggiunta di un indennizzo per i danni provocati. 

    Uno dei canarini era scappato sfondando a testate la porta della sua gabbietta, e aveva preso a beccare così forte il tronco gli alberi del suo padrone da spezzarne uno e farne seccare tre. Solo una volta che la creatura meccanica senza controllo era rimasta incastrata con la testa nell’ultimo albero preso di mira, una quercia particolarmente coriacea, il padrone era riuscito ad afferrarlo e spegnerlo.

    Un altro esemplare aveva un errore di programmazione di tipo diverso, e trascorreva le notti appeso a testa in giù nella sua gabbia. Di tanto in tanto emetteva anche un sinistro verso da gufo, ruotando la testa di 270 gradi. La signora che l’aveva comprato ce lo riportò tutta inviperita: che gli andava pure bene l’idea di avere un uccellino a cui non dovesse cambiare acqua e cibo, ma gufo per gufo le bastava la compagnia di suo marito. E che diamine.

    E poi c’era, certo, quel terzo canarino, e la sanguinosa guerra di confine con un altro stato, durata la bellezza di due anni, che aveva fatto scoppiare. 
Ma quella è una storia davvero TROPPO lunga. […]
Insomma, i soldi dei canarini erano tornati indietro molto in fretta, e io e mio fratello capimmo che forse una ragione c'era, se Victor quei modelli lì li aveva tenuti da parte in uno scatolone del suo laboratorio con su scritto NON TOCCARE PER NESSUN MOTIVO. Così va la vita. 
    Qualche mese dopo, non c’era rimasto comunque più niente di niente. Avevamo venduto le porte, l’antico cancello in ferro battuto del castello, le teste d’alce impagliate che la famiglia di Victor aveva collezionato per decenni, riempiendone interi corridoi. Tutto. L’unica cosa rimasta era paradossalmente una delle prime che avremmo dovuto vendere, a rigor di logica; ma Hanz aveva messo subito in chiaro che l’argenteria del castello non si toccava. 


    «Se mamma è ancora viva da qualche parte», mi disse un giorno, con aria risoluta, «di certo se ne avrebbe a male. E se invece non è più tra noi... beh, se ne avrebbe a male comunque!».
Perciò eravamo alla frutta. Ancora con le posate d’argento, ma senza nulla da mettere sotto i denti per il povero Hanz (a me continuavano a bastare i miei sei litri d’acqua quotidiani). Finché, un giorno, mio fratello scese le scale e mi trovò nella sala da pranzo ormai vuota, che sollevavo con una mano il grande tavolo da dodici coperti per passare la scopa. Non avevo ormai nient’altro da fare, quindi spolveravo, spolveravo e spolveravo. Il tavolo? Perché non avevamo venduto pure quello? Semplicemente perché era troppo grande per farlo passare da qualsiasi porta o finestra della sala (senza ridurlo in pezzi, come pure avevo proposto di fare: la legna per ardere comunque ha un prezzo, per quanto basso sia). Come ci fosse entrato, lì dentro, restava per tutti e due un bel mistero. Forse gli avevano costruito il castello attorno, vallo a sapere.
Insomma, ero lì che tenevo quel tavolo lunghissimo sospeso sulla testa, quando mi ritrovai di fronte Hanz, i cui occhi avevano ripreso all’improvviso a brillare.
    «Sono proprio uno stupido, Frankie», disse iniziando a ridere e dandosi delle gran botte sulla fronte con il palmo della mano. «Come ho fatto a non pensarci prima? Faremo un sacco di soldi! Sei grande, fratellino! Grande!».
E corse ad abbracciarmi e io, un po’ perché non me l’aspettavo e mi aveva preso alla sprovvista, un po’ perché non sapevo di cosa stesse parlando, sono stato lì lì per perdere la presa sul tavolo e lasciarlo cadere.

****
Qualche giorno dopo, ed era un venerdì o un sabato sera, mi ritrovai in questo tendone che Hanz aveva messo su con materiale di fortuna in uno spiazzo d’erba, giusto davanti alla piazza grande del paese. Non so se la colpa fosse della mia pelle artificiale, del leggero imbarazzo che provavo, o della tutina nera che Hanz mi aveva fatto indossare, ma mi sentivo addosso tutto uno strano formicolio.
 Davanti alla tenda c’era questo cartello, che stava attirando di suo un po’ di gente. Al resto pensava mio fratello che, in piedi sopra una sedia davanti alla tenda, urlava per richiamare l’attenzione dei passanti.
    «Venite, signore e signori», gridava tenendosi le mani a coppa ai lati della bocca. «Venite! Bastano tre soldi d’argento per avere il privilegio di...».
    Durante i suoi viaggi nell’Ovest americano, Hanz aveva assistito a questa strana forma di spettacolo. Nei circhi e nelle fiere di paese si organizzavano queste prove di forza tra due uomini, all'interno di un'area delimitata da corde. Una specie di incontro pugilistico, ma non si indossavano guantoni, e invece di usare i pugni ci si afferrava e solleva e ribaltava a vicenda. Alla gente, mi aveva raccontato Hanz, quella roba piaceva un sacco. Per gli americani era semplicemente la lotta, mentre un amico messicano di Hanz, tale Hugo Sánchez, la chiamava luch...
    «…affrontare... l’invincibile Mostro di Frankenstein!!!».
    Ora, a me questa storia non è che andasse molto a genio. Non solo perché dovevo prendermi del Mostro (e di Mostro parlava, a scanso di equivoci, anche quel cartello affisso davanti alla tenda: “Hai il coraggio di affrontare la furia del Mostro? Solo tre soldi!”): Hanz mi aveva spiegato che serviva a generare curiosità. A stuzzicare l’interesse di tutti quei villici che avevano sempre sentito parlare di una strana creatura che abitava nel castello dei Frankenstein, lassù in cima alla collina, ma non erano mai stati in grado di vedere che aspetto avesse. Che era insomma tutta questione di fare un po’ di scena. No, a darmi fastidio era piuttosto l’idea di imbrogliare tutta quella povera gente. Perché io, invincibile, lo ero per davvero. Ma secondo mio fratello non era importante che i miei avversari non avessero alcuna possibilità di battermi. Mi avrebbero affrontato, diceva, anche se avessero saputo di non avere alcuna chance. 
«È la competizione virile», diceva.


    Io questa cosa della competizione virile non è che l’avessi capita molto bene, ma da dentro la tenda sentivo che gli uomini si accapigliavano per battersi con me. Per chi dovesse farsi avanti per primo. Tutti con i soldi in mano e l’entusiasmo a mille. Tutti carichi di testosterone. C’era la fila.
    «Un attimo solo, signori», li arringava Hanz in cima alla sua sedia, «e il Mostro sarà tra noi».
    Venne a chiamarmi, perché io non mi decidevo a uscire, e mi trovò seduto per terra, con quella strana tutina che mi fasciava fino alla vita, tenuta su da una sola bretella sulla spalla destra. Il formicolio non accennava a lasciarmi in pace.
    «Dobbiamo proprio, Hanz?», gli chiesi, e il mio tono era praticamente supplicante.
    «Dai, Frankie! Lo sai che non abbiamo scelta. Non vorrai mica far morire di fame tuo fratello, vero?».
    Mi diede una leggerissima pacca sulla spalla (a differenza di nostro padre, Hanz aveva imparato subito la moderazione necessaria per compiere quel gesto senza rischiare di rompersi una mano) e fece per aprire la tenda. Poi si fermò e si girò di nuovo verso di me: «Ah, non dimenticare la maschera: se no lo vedono subito che hai la faccia da buono».
    Il sistema di intrattenimento di bordo non sta trasmettendo niente, perché c'è al microfono il capitano che sta elencando le nuove, vantaggiose condizioni di viaggio della classe Ultra Business. Dalle ultime file dell'aereo mi arrivano però le note sparate a volume sostenuto dal riproduttore di suono digitale di un passeggero. Sta ascoltando un'altra canzone che parla della vita. Sembrano farlo tutte, di questi tempi.

****
E così, dopo essermi ficcato in testa questa maschera di stoffa colorata, su cui erano stati ritagliati solo due piccoli buchi per gli occhi, uscii. I ragazzi e anche molti uomini più grandi del paese erano lì, tutti assiepati nello spazio davanti la tenda, che si allentavano già i bottoni dei colletti e dei polsi, che si sfilavano le camicie, che mandavano baci alle fidanzate e alle mogli, e mostravano loro i muscoli sulle braccia. Uscii, e quell’allegro brusio cessò di colpo.
 Uomini e ragazzotti non erano più così ansiosi di battersi. Qualcuno prese a rivestirsi, altri arretrarono di qualche passo. A un tizio sulla settantina cadde di colpo la dentiera.
Rimasi a fissare la scena, senza sapere bene che cosa fare. Senza dare le spalle alla folla, Hanz mi si avvicinò:      «Ruggisci».
     «Cosa?», gli chiesi. Non avevo davvero capito.
     «Ruggisci. Urla. Fai qualcosa, cavolo», proseguì lui senza interrompere il contatto visivo con quegli adorabili villici.
     E io lo feci. Alzai le braccia ed emisi un urlo privo di un particolare significato. Quelli arretrarono ancora di qualche passo e Hanz era tutto contento.
     «Bravo. Bravissimo», mi sussurrò. «E ora ricorda tutto quello che ti ho detto».

Poi tornò ad arringare la folla: «Avanti, qui cerchiamo qualcuno che sia davvero coraggioso. Un vero uomo. Chi se la sente si faccia avanti».
     Nessuno mosse un passo. Allora Hanz, che di queste cose, nonostante avesse speso tutti i nostri soldi per andare su e giù lungo la frontiera degli Stati Uniti, se ne intendeva, calò come aveva previsto il suo asso nella manica: «E ricordate, giocate tre soldi d’argento e ne potete vincere cento!». E allora qualcuno si fece avanti. Così va la vita.


****
La storia della lotta andò avanti per alcuni mesi. Giravamo i paesini della contea e di tutta la parte sud dello stato di Hessen, e ovunque facevamo il pienone davanti alla nostra tenda. Nessuno, ovviamente, è andato mai neanche lontanamente vicino a vincere quei cento soldi d’argento, ma li trovavo lì in fila, giovanotti e uomini di ogni età, con il torace pallido che spuntava dalla camicia già sbottonata, pronti ad affrontarmi.

    Hanz mi aveva spiegato alcune mosse che in questa forma di spettacolo venivano adoperate laggiù in America. Scartate quelle più problematiche (non c’era proprio verso di farmi salire sul paletto che tendeva le corde senza far venir giù l’intera struttura), c’eravamo concentrati su quelle più semplici. In fondo servivano solo a fare coreografia, e bisognava stare attenti a dosare la forza, per evitare che qualcuno si facesse male per davvero.

    Ma il “dosare” non è mai stato esattamente il mio forte. Una volta, giù a Radhenstadt, stavo affrontando questo ometto dai capelli e dai baffi rossastri. Continuava a mulinare pugni e calcetti che io neanche sentivo, quando per ravvivare l’incontro mi decisi a sollevarlo sopra la testa. Mentre l’omino scalciava e urlava, Hanz, che certe volte faceva l’arbitro (in genere quando il pubblico locale sembrava poco convinto della legalità dell’incontro, e ci guardava con sospetto) e delle altre il mio allenatore (quando trovavamo invece la piazza già bella calda), mi gridò: «Lancialo, Frankie! Lancialo ora!». E io lo lanciai.

    Solo che Hanz intendeva lancialo contro le corde e fallo rimbalzare verso di te, così potrai tornare ad afferrarlo scatenando gli applausi del pubblico, ma io non lo sapevo, e lanciai il poveretto fuori dal ring. A venti metri di distanza circa, se proprio vogliamo essere precisi. 
La cosa buona fu che l’omino rosso atterrò su un cespuglio di fiori abbastanza soffice, e ne uscì senza neppure un graffio.
 Quella meno buona, che quel cespuglio, l’unico in tutta la contea della rarissima Viola Chaerophylloides Australis, andò completamente distrutto, e fummo costretti a girare al suo inviperito proprietario tutto l’incasso della serata. Così va la vita.

[CONTINUA CI SI PROVA TRA DUE SETTIMANE]

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Commenti

  1. Hahaha:). Quanto amore breslistico in questi pochi versi. OT vorrei fare una domanda al doc e a tutto l'antro, sapreste indicarmi un sito o un negozio dove possa trovare i modelli della soul of chogokin e affini a prezzi onesti che vorrei allargare la mia collezione senza dissanguarmi troppo? Grazie in anticipo a tutti. (mi consigliate di chiedere anche a leopaldon?:))

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  2. Matteo Marin:
    Entra anche tu nel circolo della perdizione dei pre-order collettivi. I robottini si pagano in questo modo MOOOLTO meno.

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  3. Ok doc magari si potrebbe inserire all'interno dell'antro un pulsante pupazzi dove tra antristi e amministratore ci si scambia consulenze e dritte in merito:). E parlando di preorder io sto aspettando il Mazzinga z ultra sborone della Bandai (dx01) trenta cm di metallurgica goduria (e pagato uno sproposito :(). Mi sa che x me natale arriverà con l'anno nuovo. Ps ma che fine ha fatto il memor master piece che c'è voglia di vederlo spadroneggiare nel twisted theater?

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  4. Questa evoluzione della storia è allucinante, Franky che fa il luchador è oltre a tutto ciò che potessi immaginare.

    @Martin
    ci sono degli antristi che sono delle enciclopedie sull'argomento, prova tra qualche giorno a chiedere aiuto sull'antro e vedrai che ti rispondono.
    Gli acquisti a prezzi migliori li puoi fare solo in giappone nei negozi di usato, qui in Italia evita le fiere perché ti pelano.

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  5. Finalmente è tornato Frankie :-) La lucha non me l'aspettavo proprio...

    Come funzionano i pre-order collettivi? si fanno solo sui robottoni? Grazie

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  6. Bella lì Doc, mi mancava Frankie...


    Oh, non mi ricordo se ti ho già fatto gli auguri...

    http://www.pictureshack.us/images/18419_Wilde02.gif

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  7. OT : Doc , parlerai un po' di questo numero 700 di Amazing Spider-Man (e di conseguenza parlerai anche di Superior Spider-Peeppa)?

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  8. Bravo doc, Frankie ci mancava.
    Questo romanzo ha preso una bellissima piega.
    Ma veniamo alle cose serie: chi vincerebbe in un triple threat tra Hulk, la Cosa e Frankie?

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  9. Frankie spacca (anche letteralmente)!

    Continua così, Doc! ^__^

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  10. Matteo Marin:
    Soundwave MP DOVEVA uscire a dicembre, ma è stato purtroppamente rimandato.

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  11. Son riuscito a leggerlo solo oggi. Bravissimo, as usual, Doc.

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  12. Questa "evoluzione" della storia le fa riprendere quota ed interesse.
    Vedremo cosa ci combina il "nostro" André the Giant, con la maschera!

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  13. Ma Frankie non torna piu' ? Dai Doc, non puoi lasciarlo su quel ring :-) e grazie di questo bel romanzo

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