Badass Bastards: The Lost Platoon 2, un nuovo romanzo a puntate
Nell'intervistina con gli amici di Le Cool Roma, qualche giorno fa, parlavi di embrioni di romanzi e sceneggiature che abbandoni di continuo da qualche parte. Di storie che giacciono inermi nel braccio della morte di qualche hard disk, in attesa della propria sorte. Bene, Badass Bastards: The Lost Platoon 2 è proprio una di queste. Una roba che ti sei messo in testa di riesumare, pubblicandone un capitolo al mese qui sull'Antro, per costringerti a completarla. Un romanzo a puntate, come Italia la Storia Futura e, se vogliamo, Inseguendo un Super Santos verso l'infinito. Una al mese, tanto alla peggio, se ti scocci, molli tutto lì dov'è e cia… promesso. Dice: sì, ma di che parla? Contrariamente a quello che potrebbe indurvi a pensare il titolo o l'illustrazione del grande Bisley in apertura, Badass Bastards: The Lost Platoon 2 non è un romanzo fantascienzo o di guerra. Badass Bastards: The Lost Platoon 2 è il titolo di un videogioco, e questa è la storia del suo game designer, Gabriele Zainer. La rima sul biglietto da visita non è voluta. La storia di un game designer che… ma questo lo scoprirete da soli. In un romanzo a puntate in cui verranno inglobate anche alcune cose che hai scritto anni fa qui sul blog riguardo ai giochini perché… ma anche questo lo scoprirete da soli. Cioè, se vi va, mica nessuno vi costringe (la pubblicità negativa funziona sempre). Ok, fine dell'intro, si comincia […]
0 (rolling demo)
Quando, ed era il 1981 o giù di lì, quella follia è scoppiata anche da voi, facevi la seconda elementare. Per i proto-geek videoludicoinformatici dell'epoca era una vera e propria bomba, anche se nessuno sapeva bene come si chiamasse questo cacchio di cubo multicolore: Rubik, Rubick, Kubick, Kubrick, Cubizz. Non c'era Wikipedia, ai tempi, a spiegarti di questo professore di architettura ungherese, che inventa una roba che lo fa diventare miliardario. Di ungherese, ai tempi, da voi siincul… filavano solo Cicciolina. Fatto sta che allora le cose non erano semplici come adesso. Così, quando una zia ti sfidò a risolvere il cubo in una settimana, premio una DIECIMILALIRE, non avevi le guide video online che ti mostrano come farlo in meno di 100 mosse, partendo da una qualsiasi delle sue 43.252.003.274.489.856.000 combinazioni possibili. O i consigli per finirlo in 12 secondi. Il tutorial per completarlo anche con i piedi. Niente. Zero.
Ma quei soldi ti servivano: sarebbero finiti dritti nel fondo accumulo per un gioco nuovo dell'Atari. Così, due giorni dopo, riporti a un'esterrefatta sorella di tua madre il dannato rompicapo ungherese risolto. «Come diavolo hai fatto?», ti chiede lei, e già te la vedi a vantarsi con le amiche del nipote piccolo genio.
Tu sorridi, fingendo una modestia che non ti appartiene neanche allora, intaschi le DIECIMILALIRE, e infili la porta. Quello che a tua zia non dici è che un paio di giorni bastano e avanzano. A scollare le faccette colorate del cubo con l'acqua calda, asciugarle col phon e incollarle per benino al loro posto con l'attaccatutto.
A quei tempi, per barare non si poteva usare Internet. I cheat erano, necessariamente, ancora analogici.
È stato più o meno allora che hai realizzato che, da grande, ti saresti dovuto trovare un lavoro in grado di farti guadagnare tanti soldi senza fare grossomodo un cazzo dalla mattina alla sera.
01
«Il punto? Il punto è che voglio più sangue. Più morti ammazzati. Non sto mica chiedendo la luna, porca di quella puttana».
Lo guardi martellare nervosamente con una matita il tavolo laccato di nero della sala riunioni. Sprofondato nella tua poltroncina economica svedese montata da un cane stai per obiettare qualcosa, ma un suo gesto ti blocca: quell’indice sollevato, quella mano appesa a una manicure perfetta, vuol dire che no, non ha ancora finito.
«Più scene truculente, più cadaveri… più… più teste mozzate, cazzo. Che minchia ci vuole, dico io?», e lo dice lui, Ferri, e lo fa fissando fra tutti proprio te, con quel suo sguardo carico di astio rappreso, quell’aria da gran bastardo pettinato.
Ti chiami Gabriele Zainer. Gli amici ti chiamerebbero Gabri, te ne fosse rimasto ancora qualcuno. Questa è la riunione numero cinque dall’inizio della settimana, anche se oggi è solo mercoledì. E le cazzate, ti par di capire, non sono a rischio esaurimento scorte.
Ti chiami Gabriele Zainer, e sei un game designer: la rima sul biglietto da visita non è voluta. Il tuo lavoro consiste nel progettare videogiochi. O almeno ci provi, quando ti lasciano lavorare in santa pace e non hai a che fare con dei grandissimi figli di puttana come il qui presente Ferri Gi...
«…an Maria, dai, su», attacchi con un filo di voce. «Questo è un HORROR PSICOLOGICO. Orrore suggerito, atmosfere inquietanti, tensione palpabile, un nemico che è soprattutto interiore… hai presente? Le teste mozzate non c’entrano un cazzo. Il primo gioco ha venduto quello che ha venduto perché…»
«Che c’entra, il primo era il primo. Ma per questo seguito la proprietà vuole una roba più esplicita. Il publisher si dice convinto che ci farà vendere molto di più. E visto che il lead designer, qui dentro, fino a prova contraria sono ancora io…»
E tu ti chiedi se smetterà mai di sottolinearlo, lo stronzo di merda.
Il fatto è che te sei un game designer, ma Ferri è il lead designer, il che ne fa il tuo capo. E tu progetti quello che lui ti chiede di progettare, e salti nel cerchio quando te lo ordina, e la risposta è NO, non smetterà mai di farlo.
«Gabriele ha ragione, Gian Maria» dice una vocina alla periferia del tuo campo visivo. La vocina appartiene ad Elpidio Zampa, responsabile grafico del progetto e tuo vicino di cubicolo nell’open space della NLI.
«Nessuno di noi pensava anche solo minimamente a una roba di cervelli esplosi, cani zombie e quelle cose lì. Proprio no».
Ti sta difendendo, per quanto gli riesca possibile farlo con l’espressione più insicura del mondo, il tono di voce infelice, le spalle strette nella camicetta rosa con i bottoni inquietantemente cuciti a sinistra. Oppure sta solo cercando di risparmiarsi la mole di lavoro extra, la grande inculata rotante astrale che vede profilarsi all’orizzonte.
Ora Ferri è stizzito. Parecchio stizzito. Le avessi pronunciate tu, quelle parole, starebbe già gridando. Ma con te è diverso: con te c’è un conto aperto.
Una questione personale.
Prima di rispondere si alza in piedi, getta la matita nel cestino, incrocia le braccia al petto e vi rivolge le spalle.
«Probabilmente non sono stato abbastanza chiaro, vi chiedo scusa…», riprende il tuo lead designer con quel suo odioso tono teatrale di chi ha rimediato nella vita una dose di calci in culo spaventosamente inferiore al dovuto, poggiando entrambi i palmi sulla vetrata della sala riunioni e fissando il panorama post-atomico che gli si para davanti: le ciminiere inutilizzate di un'industria petrolchimica in crisi da anni. In fondo, se uno guarda bene, si intravedono anche gli striscioni gialli degli operai asserragliati su una delle torri da tre mesi.
«Qui non si discute chi abbia o meno ragione. Tutti abbiamo una nostra idea di come questo seguito dovrebbe venire su. Ce l'ho io, ce l'avete voi. Ma quella della proprietà e del publisher, semplicemente, conta più di ogni altra. E se loro mi chiedono sangue, io intendo dargli tutto il sangue di questo mondo. Anche il vostro, se serve», vi dice.
Ti guardi attorno, sperando di trovare anche gli altri con le palle girate e il sangue agli occhi. Eccheccazzo, pensi, qui a rimetter mano a tutto daccapo non saresti mica l'unico a farsi il culo a capanna.
Ma nessuno dice nulla.
Dondolano svaccati sulle poltroncine svedesi economiche ammortizzate. Scarabocchiano. Cazzeggiano col cellulare come al solito. Non hanno ancora capito niente, gli idioti. Pietro si picchietta le labbra chiuse con la matita, lo sguardo perso in un SMS di venti chilometri che starà scrivendo a quella vicina di casa che non se lo caga. Marcio si liscia i capelli sottilissimi della coda di cavallo, smunto nei suoi vestiti larghi da cinese povero.
Subotnick, addirittura, annuisce ciondolando lentamente la testa.
All'improvviso la consapevolezza che Badass Bastards: The Lost Platoon 2 sarà un gioco molto, molto diverso da quello che immaginavi ti travolge come un treno giapponese di quelli velocissimi.
****
Li senti chiacchierare in corridoio, riuniti a semicerchio attorno alla macchinetta del caffè. Si lamentano. Si lamentano tutti, ora, i Cuor di Leone dei tuoi colleghi. Tre ore dopo. A distanza di sicurezza da Ferri e dai suoi diktat da sceriffo: L'ha detto la proprietà, gné-gné.
Coglione.
Ti sforzi di concentrarti sul tuo monitor, sulle linee guida del gioco affidate a numeri e frecce e paletti per la storia, seminati in una dozzina file all’interno della cartella Bad_Two sulla scrivania.
Non ti è difficile prevedere tutte le modifiche da apportare, valutare tutto il lavoro che finirà buttato, considerare i tempi di consegna delle build intermedie per tranquillizzare il publisher ancora più feroci. Non è quello. È che ti chiedi cosa ne penseranno di questo seguito degenere i giocatori che hanno apprezzato il primo capitolo. Quanti si sentiranno presi per il culo e si precipiteranno a scriverne le peggiori cose possibili su forum e blog. Immagini le e-mail di protesta aventi per oggetto "Merde!", le recensioni sarcastiche di riviste e siti, il giudizio su fondo rosso vergogna su metacritic.com.
38 out of 100, generally unfavorable review = giochino di merda.
Ti chiedi anche se saprà poi aiutarle per davvero, le vendite, una scelta di questo tipo. E, soprattutto, se sia giusto o meno desiderare con tutto il cuore che il gioco al quale hai dedicato/stai dedicando/dedicherai tante ore della tua vita venda talmente poco da far scomparire magicamente la poltrona sotto al culo di chi quella scelta l’ha partorita.
Pensieri vagamente antiaziendali di questo tipo ti si vanno addensando nella mente quando ti appresti a lasciarti alle spalle il capannone in metallo e vetro della New Life Interactive, realtà emergente della scena videoludica europea grazie al grande successo di pubblica e critica ottenuto da Badass Bastards: The Lost Platoon.
Galassi, sulla sua poltrona girevole sotto il grande logo con il calabrone stilizzato e le iniziali NLI della reception, ti fa un cenno con la mano e torna a leggere gazzetta.it. A quest’ora, in genere, ha finito di dispensare le sue perle di saggezza, e buttare un occhio ai monitor di sorveglianza non rientra più nelle sue mansioni. Dice che non lo pagano abbastanza per fare qualcosa anche dopo le 19. Nessuno ha mai avuto il coraggio di contraddirlo.
Fuori non si muove una foglia.
Gli operai di picchetto del petrolchimico devono essere andati a casa, e nel parcheggio aziendale sono rimaste solo un paio di auto. Ovviamente il quad di Silvia Pupazzini non è tra queste. L’odore di qualcosa marcio e dolciastro appesta l’aria. Ci deve essere una carogna nei dintorni, pensi.
Da queste parti sarà in buona compagnia.
Imbocchi l’autostrada pescando dal vano porta oggetti qualche CD da decompressione. Ti ritrovi in mano una collection dei Massive Attack che non ricordavi di aver comprato, men che meno di avere in macchina, e pensi che, tutto sommato dai, va bene. Il tuo rientro a casa avrà la stessa colonna sonora di una qualsiasi puntata di Report, ma va bene. Il traffico si va coagulando verso l’ultimo tratto di autostrada cui due volte al giorno, cinque/sei/sette giorni su sette, dipende, affidi il tuo pendolarismo bonsai da impiegato della new economy, da manovale della tastiera. 40 minuti quando va bene, un'ora e quaranta quando va male. Incolonnato tra altri operai in camicia come te, punti al cuore della grande città a passo d’uomo, parte integrante di una lugubre teoria di fanalini rossi che taglia le campagne dell’hinterland.
Milano la riscopri triste e un po’ spenta esattamente come l’avevi lasciata questa mattina. Molli l'auto al garage e, dopo aver fatto finta di annotare per l’ennesima volta i suggerimenti del proprietario dell’autorimessa, grandissimo fan del primo Badass Bastards: The Lost Platoon, ti stringi nel cappotto per coprire a passo sostenuto le poche centinaia di metri di grigio sporco che ti separano da casa. Quando arrivi sotto il tuo palazzo, incorniciato nel lusso asettico di via Zandi, tra la concessionaria di una marca americana di SUV in gran voga e il consolato di un paese mitteleuropeo di cui non frega niente a nessuno, prendi fiato: la giornata non può andare peggio di così, ti ripeti. Fisicamente impossibile. Sono quasi le nove quando, con invidiabile sincronia, ti fai coraggio e fai ruotare la chiave nella serratura.
Di questo capolavoro dell’arredamento, vero protagonista dell’ultimo salone del mobile, rivestito in lino Savoy a filo lungo.
«La più fine» ti dice «delle qualità egiziane. Lo stesso usato, per la propria biancheria dallo Splendido di Portofino. Non so se rendo».
Un divano che sarà vostro per soli quattromila euro.
Le rispondi che va bene. Qualsiasi cosa.
Sei entrato da quella porta fisicamente e mentalmente provato: sai di non avere alcun potere contrattuale. Non oggi, non in queste condizioni.
Abbandonata la tua compagna virgola convivente (da due anni) virgola padrona ai suoi cataloghi e ai suoi depliant in carta patinata ad altissima grammatura, ripieghi verso la cucina, dove scandagli il congelatore per decidere a quale busta di surgelati far fare quattro-salti-in-padella.
Di pronto ad aspettarti non c’era niente.
Gloria non ha più il tempo e soprattutto la voglia per fare nulla. In questa come in tante altre cose. Prima non era così, rifletti mentre scruti perplesso i suggerimenti per la cottura al microonde di un piatto pronto a base di calamari. Quel prima era meno di un anno fa.
«Ma ti rendi conto? L’Irene è convinta che non vada bene per un ambiente minimalista come il nostro. Non sa quello che…», dice al telefono lei di là, affidando le sue confessioni sullo stile elegante e ricercato della vostra abitazione da 2.000 euro d’affitto al mese, con portiere in uniforme e condomini tutti professionisti, a una qualche amica mossa dalla stessa, lucida freddezza. Un’altra giovanevecchia, matrona scintillante ricoperta da capo a piedi dal monogramma LV, abbonata ad AD.
Ributti la busta di calamari nel congelatore e accendi nello studio il modem dell’ADSL. Quando questo inizia a frullare al ritmo delle sue lucine verdi, trascini verso il letto il portatile e la tua carcassa.
Apri il file Romanzo-Crociata.doc, la cui ultima modifica risale ormai a troppe settimane fa. Ma ti limiti a buttare un occhio alle ultime righe, senza toccare nulla. E quello che leggi non ti convince particolarmente. Così torni al primo paragrafo, che è sempre stato la cosa che ti piace di più dell'intero progetto. L'unica a impedirti di cestinare tutto.
Altri combattono questa guerra perché sono stati costretti a farlo.
Per obbedire agli ordini. Per seguire il resto della truppa. Per sopravvivere.
Non è il nostro caso.
Noi non siamo soldati. Siamo guerrieri.
Tutto ciò che chiediamo, è di avere vigore sufficiente nelle gambe per correre incontro al nostro destino.
Un cuore limpido per fare quello che ci è richiesto dal Signore.
Forza nelle braccia per reggere il nostro fucile.
Siamo guerrieri, e questa è la nostra Guerra Santa.
Esci da Word e stai per chiudere anche il portatile, quando l’icona di Messenger inizia a lampeggiare nella parte bassa dello schermo, sulla barra delle applicazioni. Hai ricevuto un messaggio da Banshee.
«How’s going, Gabri-O?»
E per la prima volta, in questa giornata di merda, sorridi.
[CONTINUA]
0 (rolling demo)
Quando, ed era il 1981 o giù di lì, quella follia è scoppiata anche da voi, facevi la seconda elementare. Per i proto-geek videoludicoinformatici dell'epoca era una vera e propria bomba, anche se nessuno sapeva bene come si chiamasse questo cacchio di cubo multicolore: Rubik, Rubick, Kubick, Kubrick, Cubizz. Non c'era Wikipedia, ai tempi, a spiegarti di questo professore di architettura ungherese, che inventa una roba che lo fa diventare miliardario. Di ungherese, ai tempi, da voi si
Ma quei soldi ti servivano: sarebbero finiti dritti nel fondo accumulo per un gioco nuovo dell'Atari. Così, due giorni dopo, riporti a un'esterrefatta sorella di tua madre il dannato rompicapo ungherese risolto. «Come diavolo hai fatto?», ti chiede lei, e già te la vedi a vantarsi con le amiche del nipote piccolo genio.
Tu sorridi, fingendo una modestia che non ti appartiene neanche allora, intaschi le DIECIMILALIRE, e infili la porta. Quello che a tua zia non dici è che un paio di giorni bastano e avanzano. A scollare le faccette colorate del cubo con l'acqua calda, asciugarle col phon e incollarle per benino al loro posto con l'attaccatutto.
A quei tempi, per barare non si poteva usare Internet. I cheat erano, necessariamente, ancora analogici.
È stato più o meno allora che hai realizzato che, da grande, ti saresti dovuto trovare un lavoro in grado di farti guadagnare tanti soldi senza fare grossomodo un cazzo dalla mattina alla sera.
01
«Il punto? Il punto è che voglio più sangue. Più morti ammazzati. Non sto mica chiedendo la luna, porca di quella puttana».
Lo guardi martellare nervosamente con una matita il tavolo laccato di nero della sala riunioni. Sprofondato nella tua poltroncina economica svedese montata da un cane stai per obiettare qualcosa, ma un suo gesto ti blocca: quell’indice sollevato, quella mano appesa a una manicure perfetta, vuol dire che no, non ha ancora finito.
«Più scene truculente, più cadaveri… più… più teste mozzate, cazzo. Che minchia ci vuole, dico io?», e lo dice lui, Ferri, e lo fa fissando fra tutti proprio te, con quel suo sguardo carico di astio rappreso, quell’aria da gran bastardo pettinato.
Ti chiami Gabriele Zainer. Gli amici ti chiamerebbero Gabri, te ne fosse rimasto ancora qualcuno. Questa è la riunione numero cinque dall’inizio della settimana, anche se oggi è solo mercoledì. E le cazzate, ti par di capire, non sono a rischio esaurimento scorte.
Ti chiami Gabriele Zainer, e sei un game designer: la rima sul biglietto da visita non è voluta. Il tuo lavoro consiste nel progettare videogiochi. O almeno ci provi, quando ti lasciano lavorare in santa pace e non hai a che fare con dei grandissimi figli di puttana come il qui presente Ferri Gi...
«…an Maria, dai, su», attacchi con un filo di voce. «Questo è un HORROR PSICOLOGICO. Orrore suggerito, atmosfere inquietanti, tensione palpabile, un nemico che è soprattutto interiore… hai presente? Le teste mozzate non c’entrano un cazzo. Il primo gioco ha venduto quello che ha venduto perché…»
«Che c’entra, il primo era il primo. Ma per questo seguito la proprietà vuole una roba più esplicita. Il publisher si dice convinto che ci farà vendere molto di più. E visto che il lead designer, qui dentro, fino a prova contraria sono ancora io…»
E tu ti chiedi se smetterà mai di sottolinearlo, lo stronzo di merda.
Il fatto è che te sei un game designer, ma Ferri è il lead designer, il che ne fa il tuo capo. E tu progetti quello che lui ti chiede di progettare, e salti nel cerchio quando te lo ordina, e la risposta è NO, non smetterà mai di farlo.
«Gabriele ha ragione, Gian Maria» dice una vocina alla periferia del tuo campo visivo. La vocina appartiene ad Elpidio Zampa, responsabile grafico del progetto e tuo vicino di cubicolo nell’open space della NLI.
«Nessuno di noi pensava anche solo minimamente a una roba di cervelli esplosi, cani zombie e quelle cose lì. Proprio no».
Ti sta difendendo, per quanto gli riesca possibile farlo con l’espressione più insicura del mondo, il tono di voce infelice, le spalle strette nella camicetta rosa con i bottoni inquietantemente cuciti a sinistra. Oppure sta solo cercando di risparmiarsi la mole di lavoro extra, la grande inculata rotante astrale che vede profilarsi all’orizzonte.
Ora Ferri è stizzito. Parecchio stizzito. Le avessi pronunciate tu, quelle parole, starebbe già gridando. Ma con te è diverso: con te c’è un conto aperto.
Una questione personale.
Prima di rispondere si alza in piedi, getta la matita nel cestino, incrocia le braccia al petto e vi rivolge le spalle.
«Probabilmente non sono stato abbastanza chiaro, vi chiedo scusa…», riprende il tuo lead designer con quel suo odioso tono teatrale di chi ha rimediato nella vita una dose di calci in culo spaventosamente inferiore al dovuto, poggiando entrambi i palmi sulla vetrata della sala riunioni e fissando il panorama post-atomico che gli si para davanti: le ciminiere inutilizzate di un'industria petrolchimica in crisi da anni. In fondo, se uno guarda bene, si intravedono anche gli striscioni gialli degli operai asserragliati su una delle torri da tre mesi.
«Qui non si discute chi abbia o meno ragione. Tutti abbiamo una nostra idea di come questo seguito dovrebbe venire su. Ce l'ho io, ce l'avete voi. Ma quella della proprietà e del publisher, semplicemente, conta più di ogni altra. E se loro mi chiedono sangue, io intendo dargli tutto il sangue di questo mondo. Anche il vostro, se serve», vi dice.
Ti guardi attorno, sperando di trovare anche gli altri con le palle girate e il sangue agli occhi. Eccheccazzo, pensi, qui a rimetter mano a tutto daccapo non saresti mica l'unico a farsi il culo a capanna.
Ma nessuno dice nulla.
Dondolano svaccati sulle poltroncine svedesi economiche ammortizzate. Scarabocchiano. Cazzeggiano col cellulare come al solito. Non hanno ancora capito niente, gli idioti. Pietro si picchietta le labbra chiuse con la matita, lo sguardo perso in un SMS di venti chilometri che starà scrivendo a quella vicina di casa che non se lo caga. Marcio si liscia i capelli sottilissimi della coda di cavallo, smunto nei suoi vestiti larghi da cinese povero.
Subotnick, addirittura, annuisce ciondolando lentamente la testa.
All'improvviso la consapevolezza che Badass Bastards: The Lost Platoon 2 sarà un gioco molto, molto diverso da quello che immaginavi ti travolge come un treno giapponese di quelli velocissimi.
****
Coglione.
Ti sforzi di concentrarti sul tuo monitor, sulle linee guida del gioco affidate a numeri e frecce e paletti per la storia, seminati in una dozzina file all’interno della cartella Bad_Two sulla scrivania.
Non ti è difficile prevedere tutte le modifiche da apportare, valutare tutto il lavoro che finirà buttato, considerare i tempi di consegna delle build intermedie per tranquillizzare il publisher ancora più feroci. Non è quello. È che ti chiedi cosa ne penseranno di questo seguito degenere i giocatori che hanno apprezzato il primo capitolo. Quanti si sentiranno presi per il culo e si precipiteranno a scriverne le peggiori cose possibili su forum e blog. Immagini le e-mail di protesta aventi per oggetto "Merde!", le recensioni sarcastiche di riviste e siti, il giudizio su fondo rosso vergogna su metacritic.com.
38 out of 100, generally unfavorable review = giochino di merda.
Ti chiedi anche se saprà poi aiutarle per davvero, le vendite, una scelta di questo tipo. E, soprattutto, se sia giusto o meno desiderare con tutto il cuore che il gioco al quale hai dedicato/stai dedicando/dedicherai tante ore della tua vita venda talmente poco da far scomparire magicamente la poltrona sotto al culo di chi quella scelta l’ha partorita.
Pensieri vagamente antiaziendali di questo tipo ti si vanno addensando nella mente quando ti appresti a lasciarti alle spalle il capannone in metallo e vetro della New Life Interactive, realtà emergente della scena videoludica europea grazie al grande successo di pubblica e critica ottenuto da Badass Bastards: The Lost Platoon.
Galassi, sulla sua poltrona girevole sotto il grande logo con il calabrone stilizzato e le iniziali NLI della reception, ti fa un cenno con la mano e torna a leggere gazzetta.it. A quest’ora, in genere, ha finito di dispensare le sue perle di saggezza, e buttare un occhio ai monitor di sorveglianza non rientra più nelle sue mansioni. Dice che non lo pagano abbastanza per fare qualcosa anche dopo le 19. Nessuno ha mai avuto il coraggio di contraddirlo.
Fuori non si muove una foglia.
Gli operai di picchetto del petrolchimico devono essere andati a casa, e nel parcheggio aziendale sono rimaste solo un paio di auto. Ovviamente il quad di Silvia Pupazzini non è tra queste. L’odore di qualcosa marcio e dolciastro appesta l’aria. Ci deve essere una carogna nei dintorni, pensi.
Da queste parti sarà in buona compagnia.
Imbocchi l’autostrada pescando dal vano porta oggetti qualche CD da decompressione. Ti ritrovi in mano una collection dei Massive Attack che non ricordavi di aver comprato, men che meno di avere in macchina, e pensi che, tutto sommato dai, va bene. Il tuo rientro a casa avrà la stessa colonna sonora di una qualsiasi puntata di Report, ma va bene. Il traffico si va coagulando verso l’ultimo tratto di autostrada cui due volte al giorno, cinque/sei/sette giorni su sette, dipende, affidi il tuo pendolarismo bonsai da impiegato della new economy, da manovale della tastiera. 40 minuti quando va bene, un'ora e quaranta quando va male. Incolonnato tra altri operai in camicia come te, punti al cuore della grande città a passo d’uomo, parte integrante di una lugubre teoria di fanalini rossi che taglia le campagne dell’hinterland.
Milano la riscopri triste e un po’ spenta esattamente come l’avevi lasciata questa mattina. Molli l'auto al garage e, dopo aver fatto finta di annotare per l’ennesima volta i suggerimenti del proprietario dell’autorimessa, grandissimo fan del primo Badass Bastards: The Lost Platoon, ti stringi nel cappotto per coprire a passo sostenuto le poche centinaia di metri di grigio sporco che ti separano da casa. Quando arrivi sotto il tuo palazzo, incorniciato nel lusso asettico di via Zandi, tra la concessionaria di una marca americana di SUV in gran voga e il consolato di un paese mitteleuropeo di cui non frega niente a nessuno, prendi fiato: la giornata non può andare peggio di così, ti ripeti. Fisicamente impossibile. Sono quasi le nove quando, con invidiabile sincronia, ti fai coraggio e fai ruotare la chiave nella serratura.
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Una copia di AD aperta sulle ginocchia. Lo sguardo rivolto distrattamente a un qualche talk show in televisione, in cui due politici fanno finta di litigare sui tagli agli stipendi dei parlamentari. Gloria ti accoglie con lo stesso sorriso privo d’entusiasmo che hai trovato ad aspettarti al tuo rientro negli ultimi sette, forse otto mesi. Solo dopo, mentre ti allenti il nodo della cravatta, mostrandoti stanco e quindi maggiormente vulnerabile, attacca con questa storia del divano nuovo per il salone. Di questo capolavoro dell’arredamento, vero protagonista dell’ultimo salone del mobile, rivestito in lino Savoy a filo lungo.
«La più fine» ti dice «delle qualità egiziane. Lo stesso usato, per la propria biancheria dallo Splendido di Portofino. Non so se rendo».
Un divano che sarà vostro per soli quattromila euro.
Le rispondi che va bene. Qualsiasi cosa.
Sei entrato da quella porta fisicamente e mentalmente provato: sai di non avere alcun potere contrattuale. Non oggi, non in queste condizioni.
Abbandonata la tua compagna virgola convivente (da due anni) virgola padrona ai suoi cataloghi e ai suoi depliant in carta patinata ad altissima grammatura, ripieghi verso la cucina, dove scandagli il congelatore per decidere a quale busta di surgelati far fare quattro-salti-in-padella.
Di pronto ad aspettarti non c’era niente.
Gloria non ha più il tempo e soprattutto la voglia per fare nulla. In questa come in tante altre cose. Prima non era così, rifletti mentre scruti perplesso i suggerimenti per la cottura al microonde di un piatto pronto a base di calamari. Quel prima era meno di un anno fa.
«Ma ti rendi conto? L’Irene è convinta che non vada bene per un ambiente minimalista come il nostro. Non sa quello che…», dice al telefono lei di là, affidando le sue confessioni sullo stile elegante e ricercato della vostra abitazione da 2.000 euro d’affitto al mese, con portiere in uniforme e condomini tutti professionisti, a una qualche amica mossa dalla stessa, lucida freddezza. Un’altra giovanevecchia, matrona scintillante ricoperta da capo a piedi dal monogramma LV, abbonata ad AD.
Ributti la busta di calamari nel congelatore e accendi nello studio il modem dell’ADSL. Quando questo inizia a frullare al ritmo delle sue lucine verdi, trascini verso il letto il portatile e la tua carcassa.
Apri il file Romanzo-Crociata.doc, la cui ultima modifica risale ormai a troppe settimane fa. Ma ti limiti a buttare un occhio alle ultime righe, senza toccare nulla. E quello che leggi non ti convince particolarmente. Così torni al primo paragrafo, che è sempre stato la cosa che ti piace di più dell'intero progetto. L'unica a impedirti di cestinare tutto.
Altri combattono questa guerra perché sono stati costretti a farlo.
Per obbedire agli ordini. Per seguire il resto della truppa. Per sopravvivere.
Non è il nostro caso.
Noi non siamo soldati. Siamo guerrieri.
Tutto ciò che chiediamo, è di avere vigore sufficiente nelle gambe per correre incontro al nostro destino.
Un cuore limpido per fare quello che ci è richiesto dal Signore.
Forza nelle braccia per reggere il nostro fucile.
Siamo guerrieri, e questa è la nostra Guerra Santa.
Esci da Word e stai per chiudere anche il portatile, quando l’icona di Messenger inizia a lampeggiare nella parte bassa dello schermo, sulla barra delle applicazioni. Hai ricevuto un messaggio da Banshee.
«How’s going, Gabri-O?»
E per la prima volta, in questa giornata di merda, sorridi.
[CONTINUA]
Quando uno è bravo...
RispondiEliminaIl primo capitolo crea grande aspettativa, c'è voglia di riscatto, c'è il cattivo stronzo che fa il gallo sulla monnezza e c'è l'ambientazione nerd-depressive. Massiccio, doc.
RispondiEliminaNot bad , not bad.
RispondiEliminaDa grafico di un recentissimo gruppo di sviluppatori giochi, oltre che da ex impaginatore di settimanali, mi si stringe il cuore a leggere la più che plausibile riunione aziendale, con il lead designer naturalmente stronzo e le direttive dall'alto decisee da gente che tara l'indice di gradimento di un prodotto sul QI di un australopiteco; come toscano che detesta il minimalismo ed i palazzoni asettici milanesi la descrizione del viaggio di ritorno e della casa mi fa venire la nausea.
RispondiEliminaIl che vuol dire che il lavoro procede bene. Non so se avrei la forza di continuare la lettura, ma mi pare un buon lavoro.
E adesso dovrei aspettare UN MESE per sapere come continua?!
RispondiEliminaDoc...ma sei stronzo forte XD
Io non riesco a non leggere un bel libro tutto d'un fiato! Mi stai uccidendo!
Bravo. Scrivi proprio bene. Che commento lascia un po' il tempo che trova ma é quello che penso. Vabbè per non farti montare la testa e far perdere di valore a quanto scritto bilancio il tutto con un commento da uomo fumetto dei simpson: come horror psicologico il titolo non c'entra nulla ed é chiaro che ciò sia voluto per annunciare un twist nella storia del protagonista.
RispondiEliminawaiting for 8/10
RispondiEliminache, oh, un mese passa in fretta!
da ora in poi la cosa che aspetto di più mensilmente non sarà lo stipendio, ma la nuova puntata di questo romanzo
RispondiEliminaL'ho già detto e lo ripeto: Doc, quando scrivi (oltre ai post canonici, intendo) spacchi di brutto. Seguirò questo nuovo esperimento letterario con sommo piacere :)
RispondiEliminaBello! Ancora! Ancora!
RispondiEliminaVediamo se riesci a superare la tua opera migliore "Inseguendo un Super Santos verso l'infinito". Le premesse sono buone, dai Doc stupiscici!
RispondiEliminaStringhe & na stri di Stereoooootipiiiiiiiiiiiiiiiiii ?????????? No da te mai me lo sarei creso D: D: D:
RispondiEliminaGIOCHER:
RispondiEliminaBravo. Ché gli stereotipi saranno un tema importante dei prossimi capitoli, perché...
Bello! Ma non si può fare un capitolo ogni due settimane? Dai, facci contenti :)
RispondiEliminaPerdonami Doc.Giuro che mi e' uscita immediata e spontanea!E sai quanto ammiri il tuo stile di scrittura. D:
RispondiEliminaNon si può giudicare un'opera solo dal primo capitolo.
RispondiEliminaSospendo il giudizio e aspetto le prossime puntate!
Bell'inizio! Doc ma se volessi ordinare una copia di Super Santos...come funziona ora?
RispondiEliminaGli stereotipi funzionano perché è la realtà che è stereotipata: leggendo mi pareva di essere, anche di sabato, in ufficio.
RispondiEliminaE non mi è piaciuto per niente.
Il che significa che è scritto proprio bene :)
A tra un mese Gabri-O :D
omoragno:
RispondiEliminaLa risposta a GIOCHER era seria: la storia, lo vedrete, è piena di stereotipi, e per una ragione ben precisa. E' tutta una roba metarefenziale, come dicono le persone che ne sanno. Se ci arriviamo e non mi scoccio prima, capirete presto.
pda, Houron e gli altri
I primi capitoli sono più o meno già pronti. Magari uno ce lo spariamo anche prima del mese prossimo. Tipo tra 29 giorni. :D
Gardus
Puoi scaricare subito e aggratise pdf ed ebook dalla pagina linkata. Le copie cartacee sono esauritissime da anni, invece.
Bello, m'ha offerto uno scorcio su una realtà che ignoravo, quella che "teme" i giudizi a sfondo rosso, le recensioni e le "merde!"-mail.
RispondiEliminaBuon riassunto di vita anche il cap.0.
Bello lo stile, forse perchè è lo stesso che ad ogni post butta il contatore verso i sette mijoni-ed-il-resto-mancia.
Al prossimo mese!
Quello che ho letto mi è piaciuto molto. Ma confesso il mio limite insuperabile nella mancata sopportazione della seconda persona singolare. Funziona per un breve post su un blog, su un racconto mi ammazza. So che è un mio limite, per questa volta passo.
RispondiEliminaMOlto, ma molto interessante! :D
RispondiEliminaNo ma bravo, ma grazie! Lo sai che sei una brutta persona vero?!? Ora mi tocca pure aspettare un mese con una scimmia sulla spalla! Ah grazie!
RispondiEliminaHai uno stile che cattura Doc! Sarà un mese lungo. :D
RispondiEliminaMolto ben scritto e - purtroppo - tutto anche molto realistico. Vediamo dove ci porterà tutto ciò :)
RispondiEliminaDai, Doc, la curiosità è assai, secondo me una cadenza bisettimanale è un buon compromesso :D
RispondiEliminaEvvai! Mi unisco però alla questua per una frequenza più... frequente :)
RispondiEliminaDoc, ma quel progetto di cui mi parlavi, quello top-secret "di Frankie"?
Da programmatore di Videogame posso affermare che e' tutto vero! Anzi, io sto Grabri-O lo conosco di persona ahah
RispondiEliminaMi piace molto!
RispondiEliminaInnanzitutto ti faccio i miei complimenti per la storia che è molto carina, anche molto originale e la scelta di pubblicarla sull’antro si addice anche al modo in cui ai adattato il tuo stile per il blog, forse sono troppo complimentoso ma d’altra parte se così non fosse non seguirei così assiduamente l’antro (alla mattina, dopo il caffè e il giornale/fumetto, prima di attaccare con il lavoro). A proposito di assiduamente, sono finalmente riuscito ad iscrivermi all’antro ufficialmente! Antro, è arrivato Lo Zio Lardass!!!
RispondiEliminacacchio vuol dire "E' tutta una roba metarefenziale, come dicono le persone che ne sanno. Se ci arriviamo e non mi scoccio prima, capirete presto."? una volta che si comincia, il tuo potere decisionale viene meno. scocciarsi non è più un'opzione consentita.
RispondiEliminaUn mese mi tocca aspettare il seguito? Non si può fare una settimana? Sarebbe già più umano XD
RispondiEliminaUn mese di attesa vuol dire 12 capitoli all'anno, ci divento vecchia XD
Pensavo d'aver già commentato, comunque... Mi vanterò fino alla muerte d'essere apparso in un tuo romanzo! MUAHAHAHAHAHHAHAH
RispondiEliminaIo dico sempre che il premio Strega lo danno sempre al romanzo sbagliato... E queste poche righe che hai scritto lo dimostrano ampiamente...
RispondiEliminaOk, ok, ok, ho capito, gente: grazie. Ci proviamo a spararci la seconda parte tra due settimane. State tonnati.
RispondiEliminaDi solito il primo capitolo di un libro deve fare una cosa su tutte: interessare il lettore a continuare nella lettura, e tu ci riesci. Well Done!!!
RispondiEliminaBello come inizio! Ma aspettare un intero mese no eh!!!
RispondiEliminaBello, doc!
RispondiEliminaMa non si potrebbe fare uscire un capitolo ogni xy giorni (scegliere una cadenza improponibile come si chiedeva nella posta dei lettori alla propria rivista preferita :-))?
bellissimo!! mi ritrovo proprio nella convivenza del povero Gabriele... queste donne per quanto facciano le nerd hanno proprio l'imprinting da "giovanevecchia" :)
RispondiEliminaDoc, grazie per il link, me l'ero perso. Stasera carico sul Kindle e metto in pausa il 4° di Games of Thrones per un po'.
RispondiEliminaInteressante Doc...curiosa di vedere dove vai a parare perché non so davvero cosa aspettarmi da un inizio del genere. Potrebbe evolversi in maniera abbastanza lineare in accordo con l'incipit, tanto potrebbe diventare una follia totale e globale! Ma di sicuro ci sarà da divertirsi!
RispondiEliminaFinito sul più bello.
RispondiEliminaDavvero un bel lavoro.Semmai un giorno sbarcherai in libreria con le tue opere un lettore "a scatola chiusa" l'hai
;-)
adesso vado "di là" a leggere Frank, bravo Doc, ciùlibbrismeicheuan.
RispondiElimina[PRECISINO DELLA FUNGIA MODE ON]Ho trovato un errore nell'introduzione: "Badass Bastards: The Lost Planet 2 è il titolo di un videogioco". Lost Platoon, non Lost Planet. [PRECISINO DELLA FUNGIA MODE OFF]
RispondiEliminaIl romanzo mi sta piacendo un sacco, sono al secondo capitolo e lo trovo davvero ben scritto, l'idea è interessante e per ora non è mai sfociato nel citazionismo forzatamente compiacente nei confronti del mondo nerd. Bravo Doc, continua così!!!
Alessandro:
RispondiEliminaGrazie, corretto! :)