Infamous (come dicono a Roma)


Sette mesi fa chiudevi la tua esecuzione sommaria dell'orrido Prototype scrivendo che, perlomeno, inFamous era in arrivo. Sono passati più di 200 giorni, è vero. Ma, ehi, ognuno ha i suoi tempi.
Per sua e tua fortuna, inFamous è molto più vicino al sublime Crackdown che al demenziale Prototype, per struttura, fisica (qui adeguatamente uomoragna, nel gioco Activision risibilmente polistirola), impostazione, filosofia di gioco e financo di vita. Come in Crackdown, all'inizio sei un pirla qualunque, in una città ostile, e tutti ti sparano addosso. E' dopo qualche ora di gioco, sul medio periodo, che inFamous ti illude di essere un buon gioco. Quando il protagonista, Cole, inizia ad acquisire tutta una serie di poteri optional che gli permettono di scivolare veloce sui binari e sui cavi della corrente, di scagliare minelle esplosive e torpedini elettriche, di planare con la sola imposizione delle mani, di curare gli infermi come Padre Pio. Sembra, a quel punto, che si possa ripetere la formula vincente di Crackdown, che il gioco riesca a imboccare il suo stesso circolo virtuoso: pirla che non riesce ad arrampicare un palazzetto di due piani diventa agente iperpompato che procede allegro balzellon balzellon che diventa Hulk incazzatissimo che ribalta le auto con un sopracciglio e salta di palazzo in palazzo fottendosene di tutto e di tutti. Sembra, ma non è così. Perché è proprio a quel punto che, come dicono gli inglesi, inFamous clamorosamente non delivera [...]

Perché? Perché le missioni sono tutte uguali e tutte bruttine, adrenaliniche come un film porno con la Gegia.
Perché quella storia dei dungeon da affrontare per sbloccare i nuovi poteri è Zelda sognato da Tim Burton sotto l'influsso di un'indigestione di peperoni.
Perché l'ormai abusata dicotomia eroe buono/villain cattivissimo è tappezzeria, se la differenza sono i pedoni che ti scattano le foto e ti chiamano mitico e ti dicono bellaraga anziché tirarti le pietre e chiamarti juventino e dirti moggi. Il blu al posto del rosso, giusto perché fa più figo. Ma tanto la faccia di Cole è stupida e brutta uguale.
Perché della città e dei suoi abitanti non te ne frega niente. Proprio come in Crackdown, certo, ma qui lo scenario non ti scorre sotto veloce come in quel caso. Pur facendo ampio ricorso a cavi e binari, spostarsi da una parte all'altra è operazione lenta, goffa, intimamente orchiclasta. Vuoi raggiungere il trigger point di una missione, ma ti ritrovi coinvolto nell'ennesima sparatoria con i soliti cloni del Dottor Destino. Ti ammazzano, respawni in una clinica, ripeti. Tre volte. Che questo sarà pure un gioco free-roaming e tu sarai pure un supereroe con i poteri elettrici fighissimi, ma non hai la patente, e quindi devi fartela a piedi, ciccio.

In foto: Cole, eroe in una città in cui nessuno paga la bolletta dell'Enel.

Commenti

  1. Mah. A me è piaciuto. D'accordissimo sui dungeon: è la parte più palloccolosa e meno riuscita del gioco. Non ho trovato invece particolarmente frustrante il dovermi spostare a piotte da un capo all'altro della city, vuoi anche per le piacevoli animazioni del buon/infame Cole. A mio giudizio un buon titolo, con ampi margini di miglioramento nell'inevitabile seguito. Vedremo.

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  2. Pensa a quanto sarebbe stato figo, su quella tre quarti, se Cole avesse iniziato a volare. Volare davvero, non planare con gli static-cosi elettrici. Volare. Schizzare da una parte all'altra della mappa attraverso la rete elettrica. Qualsiasi cosa che evitasse quelle fottute scarpinate da isola a isola, insomma...

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