Assassin's Creed II: il turismo digitale (che butta le cartacce per terra analogiche)

Ieri un articolo di D'Alessandro sottolineava su Repubblica l'importanza di un gioco come Assassin's Creed II come veicolo pubblicitario per le città d'arte italiane. E allora pensavi che, certo, sempre meglio di quelle pubblicità merdose della regione Campania con i vicoletti ammuffiti. E allora già ti immaginavi truppe di pensionati del Wisconsin in pantaloncini modello flatulence, a rompere i coglioni a fiorentini e veneziani per sapere dov'è che poi abitano, questi assassini donnaiuoli. Dove si possono trovare, quei suggestivi venditori di cetrioli. Su quali terrazze sono lasciati bauli pieni di fiorini per pagarsi il viaggio di ritorno in bisnessclàs. Già ti prefiguravi stormi di famiglie dell'entroterra iuessèi, che per farsi disinfettare un ginocchio sbucciato pretendevano un medico con la maschera a becco come il Mezu di Kizuna Encounter. Ma anche drappelli a passo leggero di nerd appassionati di manageriali. Di quelli che hanno giocato l'ultimo Tropico e hanno giustamente pensato che la repubblica delle banane ritratta nella serie di PopTop fosse la nostra.

In foto: la cittadina di Acri, provincia di Cosenza, presa d'assalto due anni fa per errore dai fan del primo Assassin's Creed. Che non hanno trovato Altair. Né sti cavoli di hashashin. Né, se è per questo, tetti da scalare o torri d'arrampicare e templari con l'àipod sotto l'elmo da passare al fil di spada. Ma hanno scoperto in compenso le gioie della soppressata, e gli è andata bene così.