Il terzo Yakuza che però non è il terzo Yakuza (ma gli si avvicina parecchio)

Una quindicina di mesi fa, tra una corsa e l'altra sotto il cielo piovigginoso di una Tokyo piena di ombrellini trasparenti, chiedi all'uomo color mattone Toshihiro Nagoshi perché abbiano tirato fuori questo Yakuza ambientato nel nippomedioevo. "Perché ci andava", ti risponde lui. Secco. Travolto dalla potenza di una tale argomentazione, ti sei ripromesso che prima o poi l'avresti provato, questo terzo capitolo di Yakuza che però non era Yakuza 3. Quel poi è diventato più o meno oggi. Ryu ga Gotoku Kenzan! non è il seguito di Ryu ga Gotoku 2 (aka Yakuza 2). E, al contrario di quanto voglia la vulgata ludowanker, non ne rappresenta nemmeno uno spin-off. Kenzan! è a tutti gli effetti una total conversion del secondo Yakuza. Togli Tokyo e Osaka e mettici la Kyoto del periodo Edo, ma lascia pure là dove si trova tutto il resto: gli scontri casuali stile gdr nippo primi anni 90 con ubriachetti del quartierino e gente molesta assortita (con le cui gengive, al solito, decorare le proprie suole e un po' tutti i muri della città), bambinette rompicazzo da sottrarre al loro truce destino di mignotte sfruttate dalla malavita, chiavi che aprono armadietti dove c'è dentro un mondo che ha dentro un mondo. E poi lui, Miyamoto Musashi, aka Kiryu Kazumanosuke, ex spadaccino e ora buttafuori ubriacone e un po' drogato, ovviamente identico al Kiryu Kazuma dei primi due giochi. E, di conseguenza, anche lui sosia sputato di Lando Buzzanca. Il resto sono i soliti nemici con la faccia da pezzenti, i minigiochi, le zoccole (ma sempre di una certa classe), e la faccia dura come un mocassino lasciato nel deserto per un anno del personaggio più cool degli ultimi anni. Che gli avranno pure cambiato il nome, tolto le giacche con camicia sbottonata fino all'ombelico da camorrista, e rifilato in testa un codino ridicolo. Ma Kiryu/Buzzanca resta un protagonista con i controcoglioni. Nonché un innegabile punto di riferimento per tutti i giovani sbandati, fancazzisti, rissosi e un po' drogati dei giorni nostri.

In foto, una delle tante risse del gioco, inframezzate da pallosissime cutscene o sequenze flashback da dieci minuti e passa l'una. Tutto in giapponese di Kyoto stretto, ma si capisce uguale, vista la mole di luoghi comuni chiamati in causa dal canovaccio narrativo. Ah, Miyamoto Musashi è quel Miyamoto Musashi: quello dei film con Mifune, quello di Vagabond, quello realmente esistito. Che però più che a Buzzanca assomigliava a uno dei Fichi d'India. Quello più brutto.

TASSO DI TACHIONI: Quando non induce la narcolessia con spiegoni senza fine, quando non abusa di filmati e dialoghi, quando insomma si menano finalmente le mani, alto.

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