Ritorno al futuro

Quand’eri ragazzino – e, santo cielo, sono passati da allora quasi trent’anni – il Giappone era per te questo posto meraviglioso ma anche un po’ inquietante. Che in Giappone avevano già tutti i giochini elettronici fighi e le calcolatrici da polso e gli orologi con il database dei numeri di telefono. E i Kamen Rider con i loro sciarponi colorati, Goldrake, Doraemon, i mobile suit e quei cartoni stranissimi tipo Bem. Ma, e questo era l’aspetto inquietante, avevano pure Godzilla e i mostri robot che distruggevano la torre di Tokyo un giorno sì e l’altro pure, e si mangiavano le petroliere e facevano saltare (sempre) le linee elettriche, in un tripudio di miccette e funghi atomici.
Ma, inquietante o meno, per quelli della tua generazione il Giappone ha finito per rappresentare una sorta di terra dei sogni, l’equivalente tecno-ludo-manga-robotico di quello che erano stati gli USA per i vostri genitori. Mettici poi la passione sempre più morbosa per i videogiochi (e il fatto che il Giappone abbia strappato – a morsi e calcetti nelle palle – proprio agli Stati Uniti il titolo di capitale dell’entertainment elettronico), ed è normale che, in quegli anni giovincelli lì, Tokyo e dintorni fossero la vostra Mecca. Un posto da visitare, con timoroso rispetto, prima o poi. Meglio prima.
Trent’anni dopo, ti appresti a far ritorno nel paese del Sol Levante per quella che è l’ottava volta negli ultimi cinque anni. Dice: eh, capirai. Ormai ti sarai abituato. Neanche per niente. Che a tutta una serie di piccoli vezzi, manie, idiosincrasie proprie del popolo nipponico avrai anche fatto il callo, ma ogni volta trovi qualcosa ancora in grado di stupirti. E poi il TGS, di quel microcosmo così bizzarro, è il naturale portato. È una fiera giocoforza diversissima tanto dall’E3 che dalle kermesse europee come Colonia. È diverso il modo in cui gli sviluppatori ti presentano i loro titoli, sono diverse le tempistiche di code e presentazioni, è diverso perfino il modo in cui le booth babe, assumendo le loro pose da pin-up, ti invitano a provare un gioco rifilandoti a tradimento un ventaglietto di plastica. Perciò, anche questa volta, si è pronti a partire: l’agenda fitta di appuntamenti e interviste, la borsa della videocamera zeppa di SD per una portata complessiva di un paio di terabyte, venti magliette per sopravvivere a quel concentrato letale di caldo e umido che la stagione si porta seco a quelle latitudini. È un bel paio di occhiali da sole neri: vuoi mai che il bagliore di un fungo atomico causato da un lucertolone preistorico di ventimila tonnellate ti colga impreparato.

In foto: Akihabara annata 07.
Gundam. Che sta al Giappone come San Gennaro a Napoli. Ma con statue decisamente più grandi e miracoli più frequenti.

TASSO DI TACHIONI: Alto. Quello della radioattività pure.

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