La solitudine del rientro (o: Del perché una coca all'hostess vestita di verde è meglio non chiederla)

Se vuoi farti un'idea sufficientemente valida di quanto alienante riesca ad essere il paese del sashimi, ti basta prendere un volo per Tokyo, da Osaka Kansai, alle 6 del mattino. Raggiungi l'isoletta artificiale sulla quale Renzo Piano ha tirato su un aeroporto che sta affondando, un tot all'anno, nel blu sporco dello specchio di mare che la circonda, e l'ultima cosa della sconfinata periferia di Osaka che ti lasci alle spalle sono le ciminiere delle sue acciaierie, rivestite da mille lucine bianche e rosse, che sputano fumo e fiamme. L'inizio di Blade Runner diventa la fine del tuo nippo-viaggio. Ma appena metti piede nell'aeroporto internazionale galleggiante ma in procinto di affondare Kansai, la scena cambia brutalmente. Tutto è di un bianco abbagliante, enorme, asettico. E deserto. Al netto di un paio di nippo-sbirri che conducono una ronda, discreta quanto svogliata, in un angolo qualche chilometro più in basso, sei l'unico essere umano presente in questa enorme prosopopea della solitudine umana. Il fatto che al decollo manchino quaranta minuti appena, e che il check-in sia ancora chiuso e tutti i suoi banchi unmanned, però, potrebbe regalarti un minimo di inquietudine solo se tu non avessi ormai iniziato a capire, grazie al cielo, come funzionino un minimo le cose in Nippolandia. Cinque minuti più tardi, le stagioni di Vivaldi fanno visita, con tono discreto, agli altoparlanti, e una dopo l'altra si accendono le luci dei banchi e degli ubiqui distributori di bevande e dei baretti. Ti giri, e alle tue spalle si sono manifestati dal nulla, silenziosi come gufi con la raucedine, almeno quaranta nippo-viaggiatori sonnecchiosi. Check-in, controlli e imbarco richiedono meno di 8 minuti. Il che, pensando a quanto sarà difficile il prossimo volo, una volta che la JAL avrà avuto la cortesia di mollarti a Tokyo nelle grinfie di Alitalia, assume contorni inquietanti. E infatti, quelle che seguono sono giustappunto tredici ore di volo alla volta di Roma senza film decenti, in mezzo a hostess alitaliote acide che ti urtano il gomito con il carrello ma non ti chiedono scusa, che urlano ai nippo-turisti di starsene seduti e zitti e buoni per cortesia, e che quando chiedi una coca te la portano pure sgassata. Così impari a lamentarti sempre delle cose italiane, eccheccazzo.

In foto: buona parte del volo di rientro l'hai trascorsa ad accoppare zombie a coltellate. Solo che, giusto verso la fine del gioco, ti sei detto che questo remake per DS di Resident Evil non sarà male, non sarà privo dei suoi momenti, non sarà graficamente disprezzabile, ok... ma sarà per lo meno la ventesima volta che, in una salsa o nell'altra, batti da cima a fondo quella cacchio di magione.

Commenti