Melting Pot? What?!? (E3 08: the prelude)

Se, metti, per acuire l'effetto crogiuolo multietnico e incasinarvi ulteriormente le cose (ma di quell'incasinato che, in fondo, non dispiace troppo), scegliete un albergo nella Little Tokyo di Los Angeles, un posto in cui la prima lingua parlata è il giapponese, circondato da ramen-bar e sushi-bar e shabu shabu-bar.
Se, in una domenica di vigilia in cui da fare non c'è un cazzo, in giro non c'è un cazzo, l'aria è ferma e morta come la voglia di vivere del californiano medio che incontri per strada, dopo aver comprato venti snowball per i parenti ai quali ancora non le avevi portate negli anni passati, qualche libro inutile, qualche videogioco ancora più inutile, e aver sorbito due litri di miso ramen (ma in un posto i cui altoparlanti sparano solo la discografia completa di Bob Marley. Ergo, musica jamaicana in un locale giapponese nella città americana più messicana di tutte), se, metti, dopo tutto questo, ti adagi sul letto giusto "per una pennichella pomeridiana". Se, metti, va a finire che riapri gli occhi tredici ore dopo, quando qui è ancora notte fonda e, per mettere qualcosa sotto ai denti, dovrai aspettare ancora parecchio (ma di un parecchio greve e fastidiosissimo). Allora ti aggrappi a Internet, mandi milioni di e-mail, riscorri la lista degli appuntamenti, speri che Microsoft, tra sette ore, ti dica qualcosa di un minimo interessante. Per dare un senso al fatto che andrai apposta alla sua conferenza, per dare un senso alla giornata spesa in questa città di merda, per dare un senso, per dare.

In foto: quando, imprevedibilmente, conoscere un minimo di giapponese ti aiuta a non morire di fame e/o a non ritrovarti nel piatto della temibile verdura stufata.

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