Napoli val bene una ressa

Con il fumetto il rapporto non è più quello di una volta: le cose si son fatte imprevedibilmente via via più trasversali e oblique. Vuoi verché sono entrato in veste ufficiale nel Marvel Universe, in qualità di assistente fallito del Dr. Strange, vuoi perché si lavora con l'amico F.F. a una graphic novel molto sci-fi, molto jappa, molto noir-thriller-action, e soprattutto molto in ritardo. Si chiama Ethan? (sì, col punto interrogativo. Reperto fotografico a manca), e per parlarne ho diretto a dorso Eurostar alla volta del ComiCon di Napoli. Castel Sant'Elmo, come ampiamente prevedibile, era gremito di gente strana. Nettamente.
Cosplayer di Naruto, tizi in trench di pelle nera nonostante i 30 gradi fuori, Go Nagai che sorride e non capisce un cazzo quando gli dicono "Goldrake", e continua a sorridere della frustrazione tipica del giapponese frustrato. Amici disegnatori che mi presentano altri disegnatori (amico disegnatore: "Lui è Steve McNiven. Abbiamo lavorato insieme in Florida". Io: "Uh. Figo Civil War. [pausa carica d'imbarazzo] Perché l'hai disegnato tu, vero?"), ancora cosplayer di Naruto, mangofile parecchio in sovrappeso dalle evidenti tendenze sociopatiche, le cui esalazioni sono in palese violazione del protocollo di Kyoto e che, fiere, ripetono il mantra "A me i cartoni animati non hanno fatto mica male!!". Io che chiedo una birra rossa e mi incazzo perché non c'è o se c'è non vogliono portarmela, altri fottuti cosplayer di Naruto, i ragazzi di Artematica che mi ringraziano per la cover su Diabolik, amici degli amici degli amici disegnatori. E infine un gruppo omogeneo di lettori che, quando qualcuno fa imprudentemente notare che io sarei lo sceneggiatore della graphic novel molto sci-fi e molto in ritardo di cui sopra, chiede se a me, che vivo fondamentalmente di videogiochi, piace questo mondo del fumetto.
"Nettamente", rispondo avvolto nella mia felpa color verde severo. "Nettamente".

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