Made in USA: l'incontro con Leo Ortolani e la fanzine che ha cambiato tutto
È l'autunno del 1992. A Lucca, ovviamente, piove. Il "19° Salone Internazionale dei Comics, del Film di Animazione e dell'Illustrazione", edizione autunnale della fiera che di lì a poco diventerà Lucca Comics & Games, si tiene ancora al Palazzetto. Hai sedici anni, e per essere lì hai fatto un viaggio in treno praticamente infinito. È la tua prima Lucca, e la ricorderai per il resto dei tuoi giorni per tante cose. Una di queste è una fanzine venduta da alcuni ragazzi. Si chiama Made in USA, contiene recensioni, articoli e fumetti comici di vari autori, tra cui un giovane Leonardo Ortolani, ed è completamente diversa da qualunque cosa tu abbia mai visto prima [...]
Per capire quale impatto abbia avuto su di te Made in USA, è bene chiarire che in quella stessa Lucca hai incontrato Go Nagai, rivolto una domanda in un dibattito pubblico a John Byrne, e ti sei imbattuto totalmente per caso in giro in David Mazzuchelli e nel grande Jacovitti. Tu e il tuo amico Dario ve ne siete tornati a casa con gli zaini pieni di fumetti, un sacco di autografi, il disegno di un salamino del grande Jacovitti e tutta la magia del mondo dei comics negli occhi.
Quando ti chiedono cosa ti fa amare così tanto i fumetti di quegli anni, ti basta ricordare com'era, essere lì, tra quel pupazzone gigante di Patlabor, gli stand attaccati uno all'altro e i panini mangiati sulle gradinate.
Ora, non è che non avessi mai visto delle fanzine: ne avevi comprato già alcune, oltre alle loro sorelle maggiori più professionali che si trovavano in edicola, come Fumo di China o Fumetti d'Italia. Ma Made in USA era diversa: aveva una cover con una She-Hulk ammiccante, un preservativo in omaggio (erano gli anni della lotta dura all'AIDS) e dentro tutto il genio creativo di un gruppo di ragazzi che amavano come te il fumetto americano, ma non avevano alcun timore a prenderlo in giro, parlarne senza peli sulla lingua, renderlo oggetto di parodie e affettuose prese per i fondelli.
Se vi ricorda il modus operandi di chi scrive, negli anni ruggenti dell'Antro, be', non è un caso. L'hai scritto nel titolo che l'incontro con Made in USA e i suoi autori ha cambiato tutto. Quel tipo di umorismo ti è rimasto addosso, almeno quanto quello di Guzzanti, della Gialappa's e di un certo autore di fumetti che incontrasti sempre su quelle pagine...
C'erano i fumetti di Leo Ortolani, dicevamo, in Made in USA. Sue storie ormai leggendarie come Supermen, Ex-Men o i suoi Fantastici Quattro, che ripartivano da dove si erano interrotte le pubblicazioni del quartetto dell'Editoriale Corno. Leo aveva poco più di vent'anni, ma era già "il più grande autore Marvel vivente".
C'erano delle copertine splendide per una fanzine, con il Ramarro di Giuseppe Palumbo che incontrava la Doom Patrol o l'Uomo-Ragno 2099 (come si chiamava allora) reinterpretato in una cover pittorica da Alberto Bettinetti. E poi c'era la redazione di matti che teneva in piedi tutto questo.
Ne uscivano due o tre numeri all'anno, di Made in USA, e alla Lucca successiva hai recuperato anche tutte le uscite precedenti ancora disponibili. L'avventura della fanzine inizia nel marzo del '90, con un numero zero fotocopiato, chiuso in quarta di copertina da una versione fumettistica delle catene di Sant'Antonio tanto in voga anche prima di WhatsApp: questa prometteva soldi e fortuna a chi avesse comprato 7 copie della fanzine per spedirle ad altrettanti amici. Se non si voleva fare la fine della Labor.
Pochi mesi dopo, giugno sempre del '90, il numero 1 ha in cover Capitan Bretagna e un corner box con i volti degli autori: Matteo "Ponce" Bernardini, Giuseppe "Josh" Cecere, Francesco "Donkey Shot" Valvo e il misterioso Maurizio, visto che lo spillato era pubblicato da Maurizio Edizioni. Dentro approfondimenti, interviste, analisi critiche (molto critiche) su quanto veniva pubblicato nel mondo dei comics ai tempi, in Italia e in lingua originale.
Dal numero 3 arriva Leo Ortolani, che sul numero 4 porta con sé anche Rat-Man, oltre a realizzare una cover doppia dedicata a una classica partita ad Apòkoli per i Nuovi Dei di Kirby. Da allora, Leo diventa una colonna portante della fanzine.
Nel frattempo, la redazione cresce numero dopo numero, con l'aggiunta di tanti nuovi collaboratori, tra cui Mattia di Bernardo e il bravissimo Tommaso Milella, che realizza dei folgoranti fumetti brevi dal tono dissacrantissimo. Hai ancora il disegno di un suo Punisher, da quegli anni molto analogici e ormai lontani, e devi aver copiato sul diario scolastico almeno un paio dei suoi super-eroi Marvel buffi.
Il The Fart di Milella, sul numero 9 di Made in USA, parodia dei primi albi Image tutti disegni ed esagerazioni, non ha ancora smesso di farti ridere, trentadue anni dopo. Ah, il grande Frank Pecoreccio!
L'avventura di Made in USA si chiude poco dopo, con il decimo numero, nel novembre del '94. Come le cose belle, è durata il giusto, senza diluire mai la sua formula o addolcire mai il suo tono corrosivo. Ne hai conservato gelosamente gli albi per anni, prima che l'allagamento di una cantina li trasformasse in poltiglia. In parte li hai recuperati nel tempo sul web, operazione non semplicissima perché le storie di Leo li hanno resi molto ambiti.
Di recente, hai scambiato due chiacchiere su Internet con Tommaso e Ponce, e proprio grazie a Matteo sei riuscito a colmare i buchi, con i numeri mancanti all'appello (tra cui lo 0, che non avevi mai letto). Avere a che fare con loro dopo tutto questo tempo è stato per te ritrovare delle persone che hanno avuto, senza saperlo, una grande influena su quello che hai fatto tu, una quindicina di anni più tardi.
Ogni tanto qualcuno ti scrive che questo blog, molto tempo fa, è stato d'ispirazione per lui o per lei. Immagini quindi sia tipo una catena: la catena delle cose sceme che si fanno perché ci piace farle, e ci fanno divertire, e sono un po' il bello della nostra esistenza.
Grazie di tutto, Made in USA.
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