Italia, la Storia Futura. Parte 3
In attesa delle emozioni che saprà indiscutibilmente regalarvi tra qualche ora la partita di cartello Algeria - Slovenia, arriviamo tomi tomi alla terza parte di Italia, la Storia Futura, il nostro romanzo un po' fantascienzo a puntate. Riassunto delle puntate precedenti: prima e seconda. (Grande partita oggi di Lemmouchia. Te lo senti).
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3
Marta dormiva già da un po'. I capelli aperti a ventaglio sul cuscino come un piccolo stagno nero. Luca aveva sentito da qualche parte che gli uomini trovano incredibilmente sexy le proprie compagne quando indossano una loro camicia per dormire. Cazzate. Marta non era mai stata più sexy di così, ora, con addosso solo la sua maglia della Lodigiani. Quella dell'anno prima, della trionfale cavalcata verso lo scudetto. Sorrise per un attimo, ripensando a quella vittoria in trasferta contro la Fiat-Mitsubishi Torino, a quella clamorosa rimonta, sotto di due gol a inizio secondo tempo e quattro a due al fischio finale. Poi si ricordò di essersi perso l'anticipo con la Lazio per raggiungere Marta, e tornò ad affacciarglisi nella mente quella storia del Cristianesimo.
Gli sembrava tutto così assurdo.
Fece per prendere il vecchio iLive© di Marta, allungandosi verso il comodino di lei, poi ebbe timore di svegliarla e lasciò perdere. Si alzò lentamente, cerco tentoni nell'oscurità artificiale perfetta del nido lo zaino, ne sfilò l'iLive© 3.0 e alla flebile luce dello stand-by del suo personal life assistant si fece strada fino al bagno.
Seduto sulla tazza, Luca tracciò con le dita le parole "Crisi" e "Milton" sul display e sfilò dal dispositivo i tre sensori iFeel©. Applicò il primo nel condotto uditivo dell'orecchio destro, gli altri due nelle sacche congiuntivali e chiuse gli occhi. [...]
La stanza era piena fino all'inverosimile.
Dietro un lungo tavolo, alla testa di un piccolo drappello, c'era un uomo alto, con la pelle bianchissima, pochi capelli biondi tirati all'indietro, gli occhi azzurri spiritati.
"Buonasera", disse l'uomo in un italiano senza inflessioni, con voce bassa e calda, da speaker radiofonico. "Mi chiamo Albert Milton. Sono qui per dimostrarvi perché quello in cui molti di voi credono è una gigantesca bufala".
Detto questo, tornò a sedersi, versandosi con fare teatrale dell'acqua in un bicchiere mentre la sala esplodeva. I tre uomini accomodati alla sua destra e le due donne alla sua sinistra, il resto del suo team di ricerca, avevano un'aria sicura, serena, nonostante il caos in cui le parole di Milton avevano precipitato al minuto zero la conferenza stampa.
Dalla sua poltroncina in prima fila, Luca si voltò a guardare i giornalisti che lo circondavano. Sapeva coscientemente di non correre alcun pericolo, eppure essere avvolto da quelle urla gli metteva addosso un senso di disagio particolarmente vivo.
"Lei è un pagliaccio, Milton!", gridava un tizio con un'oscena giacca grigia sulla destra, trattenuto a stento da un paio di sottoposti.
"Possiamo sapere dove abbiamo sbagliato, maestro? Vuole illuminarci?", chiedeva con le braccia incrociate al petto e l'espressione fastidiosa da ragazzino sarcastico un altro, la pancia contenuta a stento da una maglietta viola su cui era cucito, vai a capire il perché, un piccolo coccodrillo verde.
Ma erano solo le prime due frasi di senso compiuto che Luca era riuscito a distinguere in quella cacofonia di schiamazzi.
Poi Milton si alzò, tese i palmi delle mani davanti a sé e invitò tutti alla calma.
"Gentile monsignore, esimio direttore", disse ai due che avevano parlato. "Calmi, vi prego. Non c'è motivo di scaldarsi. Se siamo qui, oggi, è solo per mostrare al mondo il risultato del nostro lavoro. Qualcuno lo troverà interessante, molti lo considereranno blasfemo. Lo so io, lo sanno i miei assistenti", e tese la mano verso le due giovani donne accanto a lui.
Bona la bionda, riflettè Luca.
"Ma prima di ogni altra cosa, vi prego di guardare queste slide alle mie spalle".
Luca si aspettava che partisse un'olovisione, poi si ricordò dove si trovava, e inarcò di disgusto un sopracciglio nel vedere delle immagini proiettate sulla parete alle spalle di Milton da una qualche fonte di luce primitiva.
"Immagino voi tutti sappiate cosa sono questi testi", chiese Milton sorridendo.
Luca strizzò gli occhi per mettere a fuoco quelle scritte minuscole, ma lasciò perdere appena iniziarono a fioccare dal pubblico le prime, sdegnate risposte.
"Sì, esatto. Sono pagine dei vangeli", proseguì il professore, pronto ad affondare il colpo. "Ora chiedo a voi tutti, signori: quanti dei quattro evangelisti hanno conosciuto Gesù? Quanti tra gli apostoli di cui ci parlano gli Atti del nuovo testamento?"
Solo qualche mormorio sommesso dalla platea.
"Proprio così. Come sapete, nessuno. Nessuno di loro ha mai incontrato personalmente Gesù. Anni dopo la sua morte, queste persone hanno raccolto le testimonianze esistenti presso le loro comunità. Testimonianze nate da quello che il figlio di Dio ha fatto sulla Terra. Oppure...", e Milton si fermò, indicando con un cenno a uno dei suoi, un riccetto con grossi occhiali da vista e una camicia che Luca non avrebbe indossato neppure sotto tortura, di far partire l'immagine successiva.
"Oppure questo".
Sulla parete erano proiettati ora dei... boh? Luca non avrebbe saputo definirli. Rotoli? Rotoli di pelle vecchia? Qualunque cosa fossero, erano coperti da scritte incomprensibili.
"Oppure un uomo in punto di morte, un uomo molto potente, Michele di Arimatea, confessa di aver inventato tutto. Di aver costruito a tavolino la vita di quest'uomo per le ragioni che vedremo, e di averne iniziato a parlare presso tutte le comunità della Giudea. Di aver mandato i suoi uomini nei piccoli villaggi come nelle piazze di Gerusalemme. Di aver pagato Paolo e altri personaggi che voi oggi considerate padri fondatori della Chiesa perché lo aiutassero. A diffondere il verbo, coltivare la leggenda. Poi la leggenda è diventata culto, e il culto si è dato una forma con i vangeli, i quattro che conosciamo e tutti gli altri scartati dall'ortodossia cristiana nel ricomporre il puzzle delle sue origini. Poi il culto è diventato istituzione".
"Lei è pazzo! Pazzo!", riprese a gridare l'uomo con la giacca grigia di prima. Aveva al collo uno strano collare di cartoncino bianco, come alcuni degli uomini braccati nella piazza nel video che Luca aveva visto quel pomeriggio. Capì che doveva essere coinvolto con l'istituzione, e questo ne spiegava la rabbia, che ormai gli aveva deformato i tratti del viso.
Il resto dei presenti era precipitato invece in un silenzio imbarazzante. Non volava una mosca. Anche l'omino con il coccodrillo aveva perso l'espressione sarcastica di prima, e fissava interessato le foto di quei vecchi rotoli. Qualcuno parlava con tono concitato in dei barbari mezzi di comunicazione personale a forma di mattoncino, coprendosi l'altro orecchio con una mano.
"No, signori, vi assicuro che non sono pazzo", proseguì imperturbabile il professore inglese. "Lei più di ogni altro, monsignore, dovrebbe saperlo", disse seguendo con lo sguardo l'uomo con la giacca grigia e il collare che si era alzato per lasciare la sala, scortato dalla sua coda di secondi. "Alla ricerca di nuovi documenti sulle origini del Cristianesimo, con il mio team abbiamo cercato per anni i diari di Michele di Arimatea, citati da altre fonti dell'epoca. Abbiamo scoperto che una copia in copto era custodita dal Vaticano, ma non ci è mai stato concesso di accedervi". Pausa scenica. "Beh, poco male. Perché quelli che vedete alle mie spalle sono i diari originali".
E l'uomo con la giacca grigia e il collare si fermò, proprio davanti a Luca. Aveva gli occhi sbarrati e la fronte imperlata dal sudore.
"Mi sa che mo so' cazzi", disse Luca al giornalista seduto accanto a lui che non poteva sentirlo.
[CONTINUA]
Gli sembrava tutto così assurdo.
Fece per prendere il vecchio iLive© di Marta, allungandosi verso il comodino di lei, poi ebbe timore di svegliarla e lasciò perdere. Si alzò lentamente, cerco tentoni nell'oscurità artificiale perfetta del nido lo zaino, ne sfilò l'iLive© 3.0 e alla flebile luce dello stand-by del suo personal life assistant si fece strada fino al bagno.
Seduto sulla tazza, Luca tracciò con le dita le parole "Crisi" e "Milton" sul display e sfilò dal dispositivo i tre sensori iFeel©. Applicò il primo nel condotto uditivo dell'orecchio destro, gli altri due nelle sacche congiuntivali e chiuse gli occhi. [...]
La stanza era piena fino all'inverosimile.
Dietro un lungo tavolo, alla testa di un piccolo drappello, c'era un uomo alto, con la pelle bianchissima, pochi capelli biondi tirati all'indietro, gli occhi azzurri spiritati.
"Buonasera", disse l'uomo in un italiano senza inflessioni, con voce bassa e calda, da speaker radiofonico. "Mi chiamo Albert Milton. Sono qui per dimostrarvi perché quello in cui molti di voi credono è una gigantesca bufala".
Detto questo, tornò a sedersi, versandosi con fare teatrale dell'acqua in un bicchiere mentre la sala esplodeva. I tre uomini accomodati alla sua destra e le due donne alla sua sinistra, il resto del suo team di ricerca, avevano un'aria sicura, serena, nonostante il caos in cui le parole di Milton avevano precipitato al minuto zero la conferenza stampa.
Dalla sua poltroncina in prima fila, Luca si voltò a guardare i giornalisti che lo circondavano. Sapeva coscientemente di non correre alcun pericolo, eppure essere avvolto da quelle urla gli metteva addosso un senso di disagio particolarmente vivo.
"Lei è un pagliaccio, Milton!", gridava un tizio con un'oscena giacca grigia sulla destra, trattenuto a stento da un paio di sottoposti.
"Possiamo sapere dove abbiamo sbagliato, maestro? Vuole illuminarci?", chiedeva con le braccia incrociate al petto e l'espressione fastidiosa da ragazzino sarcastico un altro, la pancia contenuta a stento da una maglietta viola su cui era cucito, vai a capire il perché, un piccolo coccodrillo verde.
Ma erano solo le prime due frasi di senso compiuto che Luca era riuscito a distinguere in quella cacofonia di schiamazzi.
Poi Milton si alzò, tese i palmi delle mani davanti a sé e invitò tutti alla calma.
"Gentile monsignore, esimio direttore", disse ai due che avevano parlato. "Calmi, vi prego. Non c'è motivo di scaldarsi. Se siamo qui, oggi, è solo per mostrare al mondo il risultato del nostro lavoro. Qualcuno lo troverà interessante, molti lo considereranno blasfemo. Lo so io, lo sanno i miei assistenti", e tese la mano verso le due giovani donne accanto a lui.
Bona la bionda, riflettè Luca.
"Ma prima di ogni altra cosa, vi prego di guardare queste slide alle mie spalle".
Luca si aspettava che partisse un'olovisione, poi si ricordò dove si trovava, e inarcò di disgusto un sopracciglio nel vedere delle immagini proiettate sulla parete alle spalle di Milton da una qualche fonte di luce primitiva.
"Immagino voi tutti sappiate cosa sono questi testi", chiese Milton sorridendo.
Luca strizzò gli occhi per mettere a fuoco quelle scritte minuscole, ma lasciò perdere appena iniziarono a fioccare dal pubblico le prime, sdegnate risposte.
"Sì, esatto. Sono pagine dei vangeli", proseguì il professore, pronto ad affondare il colpo. "Ora chiedo a voi tutti, signori: quanti dei quattro evangelisti hanno conosciuto Gesù? Quanti tra gli apostoli di cui ci parlano gli Atti del nuovo testamento?"
Solo qualche mormorio sommesso dalla platea.
"Proprio così. Come sapete, nessuno. Nessuno di loro ha mai incontrato personalmente Gesù. Anni dopo la sua morte, queste persone hanno raccolto le testimonianze esistenti presso le loro comunità. Testimonianze nate da quello che il figlio di Dio ha fatto sulla Terra. Oppure...", e Milton si fermò, indicando con un cenno a uno dei suoi, un riccetto con grossi occhiali da vista e una camicia che Luca non avrebbe indossato neppure sotto tortura, di far partire l'immagine successiva.
"Oppure questo".
Sulla parete erano proiettati ora dei... boh? Luca non avrebbe saputo definirli. Rotoli? Rotoli di pelle vecchia? Qualunque cosa fossero, erano coperti da scritte incomprensibili.
"Oppure un uomo in punto di morte, un uomo molto potente, Michele di Arimatea, confessa di aver inventato tutto. Di aver costruito a tavolino la vita di quest'uomo per le ragioni che vedremo, e di averne iniziato a parlare presso tutte le comunità della Giudea. Di aver mandato i suoi uomini nei piccoli villaggi come nelle piazze di Gerusalemme. Di aver pagato Paolo e altri personaggi che voi oggi considerate padri fondatori della Chiesa perché lo aiutassero. A diffondere il verbo, coltivare la leggenda. Poi la leggenda è diventata culto, e il culto si è dato una forma con i vangeli, i quattro che conosciamo e tutti gli altri scartati dall'ortodossia cristiana nel ricomporre il puzzle delle sue origini. Poi il culto è diventato istituzione".
"Lei è pazzo! Pazzo!", riprese a gridare l'uomo con la giacca grigia di prima. Aveva al collo uno strano collare di cartoncino bianco, come alcuni degli uomini braccati nella piazza nel video che Luca aveva visto quel pomeriggio. Capì che doveva essere coinvolto con l'istituzione, e questo ne spiegava la rabbia, che ormai gli aveva deformato i tratti del viso.
Il resto dei presenti era precipitato invece in un silenzio imbarazzante. Non volava una mosca. Anche l'omino con il coccodrillo aveva perso l'espressione sarcastica di prima, e fissava interessato le foto di quei vecchi rotoli. Qualcuno parlava con tono concitato in dei barbari mezzi di comunicazione personale a forma di mattoncino, coprendosi l'altro orecchio con una mano.
"No, signori, vi assicuro che non sono pazzo", proseguì imperturbabile il professore inglese. "Lei più di ogni altro, monsignore, dovrebbe saperlo", disse seguendo con lo sguardo l'uomo con la giacca grigia e il collare che si era alzato per lasciare la sala, scortato dalla sua coda di secondi. "Alla ricerca di nuovi documenti sulle origini del Cristianesimo, con il mio team abbiamo cercato per anni i diari di Michele di Arimatea, citati da altre fonti dell'epoca. Abbiamo scoperto che una copia in copto era custodita dal Vaticano, ma non ci è mai stato concesso di accedervi". Pausa scenica. "Beh, poco male. Perché quelli che vedete alle mie spalle sono i diari originali".
E l'uomo con la giacca grigia e il collare si fermò, proprio davanti a Luca. Aveva gli occhi sbarrati e la fronte imperlata dal sudore.
"Mi sa che mo so' cazzi", disse Luca al giornalista seduto accanto a lui che non poteva sentirlo.
[CONTINUA]
La storia mi sta prendendo non poco.
RispondiEliminaSono proprio curiosa di vedere dove andrai a parare.
Solo una cosa: ti si ringrazia per il pensiero, ma non è sprecato un romanzo sul blog? Proporlo a un editore?
Ma no, ma perché.
RispondiEliminaCi si diverte.