Prison Break, il gioco (sicurezza è una parola grossa)
Se ti trovi in un posto in cui ci sono degli omoni mezzi nudi e tutti sudati e pieni di tatuaggi, tutti legati a stereotipi anteguerra, che si ripetono vieni, vieni che ti rompo il culo, o sei a un incontro di bresslinz o in una prigione ammerrigana vista dall'occhio ipermetrope di Hollywood. Ora, Prison Break, la serie tivvù, per quanto ne sai non ha niente a che vedere con i ring bresslinistici. Il gioco ispirato al telefilm, Prison Break: The Conspiracy, nemmeno.
E' fenomeno noto che quando si parla di un tie-in, e si è fan del film, del serial, del fumetto da cui è tratto, si corra il rischio di sottovalutare/sopravvalutare la trasposizione in giochino al di là dei suoi reali meriti/limiti. Finisce per piacerti troppo perché sei fan, finisci per distruggerla perché sei fan. Una delle due. Bene, tu il rischio in questo caso, parlando del gioco, non lo corri manco per niente, che di Prison Break hai visto solo metà della prima puntata. Poi ti sei messo a dormire che s'era fatto tardi. [...]
Prison Break, il gioco, è il solito protagonista anonimo (chiaramente Keanu Reeves dopo sei anni di steroidi) infilato a forza in mezzo ai personaggi della serie, come ad esempio Scofield quello che sembra Marco del Grande Fratello ma senza limonate a destra e a manca. Un topos nel sottogenere tie-in, quello del volto nuovo controllabile in mezzo a quelli noti degli NPC, ormai consolidato almeno quanto l'attitudine alle sconfitte nell'animo del rubentino odierno. C'è insomma questo tizio canottierato che deve affrontare una serie di scazzottate (ma le mosse sono solo tre, e alla seconda zuffa ti sei già rotto i coglioni) e tutta una teoria di missioncine stealth per prendere questo a quello e quello a quell'altro, insomma per fare la puttana di tutti, sgusciando sotto il naso di guardie con i riflessi di un cadavere e il fisico del sergente Garcia. Missioncine stealth, va da sé, piene delle solite pantomime e buffonate, delle solite convenzioni da cretini ormai fisiologicamente parte del genere (solo che quando c'è Kojima di mezzo la gente è troppo impegnata a skippare i filmati per la salvaguardia dei propri coglioni per accorgersene). La prigione di Prison Break diventa così questo luogo ameno in cui i detenuti possono andare dove gli pare e fare il cazzo che gli pare. Dedicarsi al free climbing, sorvegliati sempre e solo dalle spalle di qualcuno. In cui la gente viene perquisita così bene all'ingresso che poi se ne va in giro con il registratorino portatile come fa il protagonista. Che, fra parentesi, è così in incognito che registra i suoi report segretissimi davanti alle guardie.Una prigione, un posto sicuro, in altri termini, quanto lo può essere mandare i propri figli maschi a cantare nel coro di una chiesa tedesca. O affidare per il Mondiale la difesa dell'orgoglio tricolore alla trimurtide Grosso, Camoranesi, Cannavaro.
In foto, l'inevitabile momento diehardo nella tromba dell'ascensore. Sì, gestito da QTE. Sì, di quelli in cui il protagonista si aggrappa al volo all'ultimo ma proprio ultimo secondo utile, grazie a polpastrelli d'acciaio e a una gran faccia di bronzo.
E' fenomeno noto che quando si parla di un tie-in, e si è fan del film, del serial, del fumetto da cui è tratto, si corra il rischio di sottovalutare/sopravvalutare la trasposizione in giochino al di là dei suoi reali meriti/limiti. Finisce per piacerti troppo perché sei fan, finisci per distruggerla perché sei fan. Una delle due. Bene, tu il rischio in questo caso, parlando del gioco, non lo corri manco per niente, che di Prison Break hai visto solo metà della prima puntata. Poi ti sei messo a dormire che s'era fatto tardi. [...]
Prison Break, il gioco, è il solito protagonista anonimo (chiaramente Keanu Reeves dopo sei anni di steroidi) infilato a forza in mezzo ai personaggi della serie, come ad esempio Scofield quello che sembra Marco del Grande Fratello ma senza limonate a destra e a manca. Un topos nel sottogenere tie-in, quello del volto nuovo controllabile in mezzo a quelli noti degli NPC, ormai consolidato almeno quanto l'attitudine alle sconfitte nell'animo del rubentino odierno. C'è insomma questo tizio canottierato che deve affrontare una serie di scazzottate (ma le mosse sono solo tre, e alla seconda zuffa ti sei già rotto i coglioni) e tutta una teoria di missioncine stealth per prendere questo a quello e quello a quell'altro, insomma per fare la puttana di tutti, sgusciando sotto il naso di guardie con i riflessi di un cadavere e il fisico del sergente Garcia. Missioncine stealth, va da sé, piene delle solite pantomime e buffonate, delle solite convenzioni da cretini ormai fisiologicamente parte del genere (solo che quando c'è Kojima di mezzo la gente è troppo impegnata a skippare i filmati per la salvaguardia dei propri coglioni per accorgersene). La prigione di Prison Break diventa così questo luogo ameno in cui i detenuti possono andare dove gli pare e fare il cazzo che gli pare. Dedicarsi al free climbing, sorvegliati sempre e solo dalle spalle di qualcuno. In cui la gente viene perquisita così bene all'ingresso che poi se ne va in giro con il registratorino portatile come fa il protagonista. Che, fra parentesi, è così in incognito che registra i suoi report segretissimi davanti alle guardie.Una prigione, un posto sicuro, in altri termini, quanto lo può essere mandare i propri figli maschi a cantare nel coro di una chiesa tedesca. O affidare per il Mondiale la difesa dell'orgoglio tricolore alla trimurtide Grosso, Camoranesi, Cannavaro.
In foto, l'inevitabile momento diehardo nella tromba dell'ascensore. Sì, gestito da QTE. Sì, di quelli in cui il protagonista si aggrappa al volo all'ultimo ma proprio ultimo secondo utile, grazie a polpastrelli d'acciaio e a una gran faccia di bronzo.
ciao come si fa ad aprire l'ascensore in tempo ?
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