Pechino, per chi non

La nenia urticante numero 13 segue senza soluzione di continuità la nenia urticante numero 12 (che, a sua volta, aveva dato solerte il cambio alla numero 11). Aeroporto internazionale di Beijing. Il team B della spedizione di Nextgame al TGS 09 è sbarcato nello scalo di quella che una volta si chiamava Pechino da qualche ora. Ovunque è deserto e vuoto, in una struttura grande quanto quattro Fiumicino ma con un centesimo dei suoi passeggeri quotidiani. Ma la grandezza, un po’ come la potenza, è nulla senza controllo. Perciò per accedere all’area dei transiti internazionali devi prima elevarti spiritualmente affrontando la sacra via dello straniero passaportato. Un percorso ascetico lungo almeno un chilometro che si articola lungo quattro diversi punti di controllo dei documenti, due passaggi suppletivi dei bagagli ai raggi X, la compilazione di un ameno questionario sull’influenza A (con fruizione opzionale di un cartone animato con i tre porcellini con la febbre suina. O qualcosa del genere). Conquistato a fatica il tuo timbro ottagonale rosso su carta d’imbarco e passaporto, puoi quindi percorrere felice e fiducioso nella vita, nell’universo e tutto quanto altri due chilometri circa (la struttura a ferro di cavallo del vuotoporto è predisposta in modo ottimale per far smaltire ogni sonnolenza da jet lag residua ai passeggeri e tonificarne a dovere gli arti inferiori) per raggiungere il tuo gate. E scoprire che il volo per Tokyo partirà con una prestigiosa ora di ritardo. Il che vuol dire che perderete l’ultimo treno da Narita per la civiltà. Il che vuol dire che sono cazzi. Nell’aria gelida del gelidoporto risuona Per Elisa di Beethoven, ma la pianolina del Mulino Bianco con cui è eseguita la trasforma di diritto nella nenia urticante numero 14.
Mezz’ora dopo, in un finto fast food chiamato MC Huaran, il Duffman consuma perplesso del ramen artificiale, mentre tu sorseggi una Pepsi cinese. Che è esattamente come la Pepsi occidentale, ma un po’ più finta. Un’addetta alle pulizie lucida un passamano, poi scarocchia con foga per terra. Succede solo da MC Huaran. Attorno a voi il vuoto esistenziale del gate E51 (distanza approssimativa dal gate E04, punto di approdo del vostro volo da Roma: 4 chilometri e un paio di scarocchi) viene progressivamente colmato da giapponesi di Osaka (perciò un po’ più casinari. Qualcuno, insomma, parla pure). Parte trionfale in tutto il superfluiporto la nenia urticante numero 15, che potrebbe o non potrebbe essere My Heart Will Go On. Tokyo è molto lontana.
An Happy Ending?
Svariate ore più tardi, siete a Narita. Come detto, niente più autobus o treni per la città. Ed è allora che accade uno di quei momenti magici che rendono il Giappone un posto speciale. Un omino della compagnia aerea ANA vi chiede se avete bisogno di un mezzo di trasporto. Voi gli spiegate che siete arrivati con un altro vettore, e lui si sbatte per dieci minuti per cercare un addetto di quella compagnia. Alla fine vi scortano a un autobus che vi accompagna fino al vostro albergo. A settanta chilometri di distanza. Solo te e il Duffman. Senza chiedervi una lira. Come si dirà serendipity in giapponese?

Commenti

  1. Te l'ho sempre detto... in Giappone sono svegli e produttivi perchè sono di default Bunetta oriented. E mi raccomando, niente post legati al gossip. Non ti risponderò, cribio!

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