L'appuntamento mensile con la crisi esistenziale. In questo numero: il retrogaming spinto
Ci sono cose che, alla soglia dei 32, pensavi non avresti mai fatto. Tipo studiare il regolamento di un gioco di carte per ragazzini (don't ask). O, tipo, scoprire un certo interesse per i giochi di un tempo. Tu, che al di là di qualche monomaniacale sortita nell'universo MAME, ti sei sempre intrippato solo per titoli di ultimissima generazione. Regalando, buttando via o lasciando mangiare agli acari della soffitta tutto il resto. Solo che. Solo che se finisci in un negozio di Akihabara come Super Potato, che in realtà non è un vero e proprio negozio ma un tempio del videogame anni 80-primi 90, come fai a resistere alla carica pop di tutti quei giochi? Come fai a non comprare (a quel prezzo, poi) un Metal Gear per Famicom, i primi tre Tekken, una copia ancora incellophanata dello sparatutto più bello di tutti i tempi (Einhander, non si fosse capito)? E allora carichi il carrello, ringrazi il signor Super Potato con un sentito domoarigatoogozaimàs e un demi-inchino, ed esci nella sera afosa del quartiere a più alto tasso di nerdosità del pianeta bello contento. Di cosa, esattamente, non lo sai; ma sei felice, e quando sei felice questi sono solo dettagli.
Che poi, magari, aver preso Einhander ti fa ricordare la colonna sonora da urlo che aveva quel gioco, e tu, che rimpiangi l'epoca d'oro della musica elettronica, finisce che per una manciata di yen compri pure (ma altrove, che il signor Super Potato non ce l'ha. O non ha capito cosa cacchio d'altro vuoi. Più probabile la seconda) il soundtracco, e ti piace così tanto che lo tiri giù su iPod, computer d'ufficio e portatile di casa. E lo senti in loop per giorni. Insomma, non lo credevi possibile, ma il retrogaming è in grado di ingenerare anche nella tua di esistenza un minimo circolo virtuoso. Pensi, ma solo per un istante, che quel Metal Gear per Famicom non lo puoi giocare (che un NES non ce l'hai più da una quindicina d'anni), ma sei felice lo stesso. E quando sei felice non è che puoi stare sempre lì a chiederti il perché e il percome. E che cazzo.
In foto, uno scaffale di Super Potato ad Akihabara: l'epicentro della felicità di tutti gli uber-nerd, il paradiso dei retrogamer, il nirvana dei ludogeek, il... ci siamo capiti.
Che poi, magari, aver preso Einhander ti fa ricordare la colonna sonora da urlo che aveva quel gioco, e tu, che rimpiangi l'epoca d'oro della musica elettronica, finisce che per una manciata di yen compri pure (ma altrove, che il signor Super Potato non ce l'ha. O non ha capito cosa cacchio d'altro vuoi. Più probabile la seconda) il soundtracco, e ti piace così tanto che lo tiri giù su iPod, computer d'ufficio e portatile di casa. E lo senti in loop per giorni. Insomma, non lo credevi possibile, ma il retrogaming è in grado di ingenerare anche nella tua di esistenza un minimo circolo virtuoso. Pensi, ma solo per un istante, che quel Metal Gear per Famicom non lo puoi giocare (che un NES non ce l'hai più da una quindicina d'anni), ma sei felice lo stesso. E quando sei felice non è che puoi stare sempre lì a chiederti il perché e il percome. E che cazzo.
In foto, uno scaffale di Super Potato ad Akihabara: l'epicentro della felicità di tutti gli uber-nerd, il paradiso dei retrogamer, il nirvana dei ludogeek, il... ci siamo capiti.
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