Badass Bastards: The Lost Platoon 2, parte 5

Ci hai messo un sacco a tirar fuori questo quinto capitolo di Badass Bastards 2, anche se alla fine non l'hai praticamente toccato: eccolo qui, così com'è stato scritto un certo qual numero di anni fa. Se ci hai pensato su è perché a un certo punto c'è tutto questo rant del protagonista, che a rileggerlo ora ti sembrava un attimo eccessivo e non sapevi se lasciarlo lì o meno. Ma siccome per quello che succede e succederà è importante, l'hai lasciato. Ci tieni però a precisare che ovviamente è quello che pensa Gabriele Zainer il game designer, non te. Ci tieni a precisarlo perché hai due amici farmacisti, e poi c'è caso ti levino il saluto, ecco. Andiamo? Dopo aver ringraziato l'amico Francesco Codolo per la super-illustrazione di Wendy Khane (per una questione di telepatia astrale in tema con quanto state per leggere), andiamo.

.5
    «Certo tesoro. Ci vediamo domani alle tre, okkei. Sì, anch’io non vedo l’ora. Lo sai che sei sempre al primo posto della classifica Pupazzini...»
    Siete atterrati da poco più di un’ora, ma Silvia ha già meno del 20% di batteria residua sul suo Blackberry. Sta chiamando tutti i suoi contatti, tessendo la sua fitta rete di pubbliche relazioni, giocando a fare la vamp con quei poveri nerd. Dietro gli occhiali neri da saldatore, mentre fingi di ascoltare una vecchia canzone di quando eri giovane nelle cuffiette dell'iPod, la guardi. Silvia e i suoi modi fasulli, Silvia la maestra di spontaneità simulata. Silvia la PR perfetta. […]

    Siete stipati in tre, con lei e Pietro Torretta, sul sedile posteriore di un taxi della DeSoto Cab Co, un rozzo pick-up dipinto di blu e celeste. L’autista, che ha tutta l’aria di un portoricano che nell’american dream non crede più neanche per un cazzo, l’ha precisato subito, nel caricarvi al LAX. In quel suo taxi blu e celeste non vuole nessuno seduto accanto a lui. Ché così, vi ha detto, si sente più sicuro nello scarrozzare la gente fino a downtown.
    Pietro, fortunatamente non spronato da alcuna telefonata della madre a fare conversazione, si regge i bicipiti da bambino con le mani, fissando oltre il vetro lo scenario fatto di cielo grigio, case basse, desolazione: non se l'aspettava così la California. Benvenuto nel club. Sulle gambe, strette in un jeans dal colore fuori moda almeno da dieci anni, tiene la borsa del notebook, che NON ha voluto far riporre al tassista nel portabagagli, assieme ai vostri trolley. A ognuno la sua fissazione, hai pensato, mentre lui e l’autista si fissavano in una reciproca diffidenza a pelle.
    «Sì? Sì che ti ho cercato, tesoro! Allora, sei pronto a questo scoop colossale?», prosegue la nostra platinata PR d'assalto, nel suo italiano perfetto che sa di scuola di dizione, saltando a piedi uniti in un’altra chiamata. La signorina Pupazzini indossa un top corto, che le lascia scoperti pancia e tatuaggio tattico che sormonta l’osso sacro. Jeans a vita bassa molto vissuti, sdruciti dove serve. Stivali. Un push-up che le tira su le tette fino alle tonsille.
    «Come dici? Alle tre? No, purtroppo alle tre non riesco a liberarmi. Non riesco proprio. Sì, un altro appuntamento: un rompicoglioni odioso, non ti dico. Non sono mica tutti in gamba come te, i redattori di videogiochi, eh», continua, arricciandosi una ciocca di capelli biondissimi con l’indice.  «Qualsiasi cosa. Per qualsiasi cosa: sono la tua donna. Lo sai che sei sempre tu il numero uno della dorata classifica Pupazzini, no?»
    E il suo tono, il modo in cui dà voce al suo copione, ha qualcosa di encomiabile. Non conosce picchi o cadute: è sempre, inevitabilmente tarato su entusiasta spinto.
   «Quando cazzo è che arriviamo? E poi chi l’ha scelto l’albergo?» ti chiede, premendosi il cellulare sul seno. Ma il tono con cui lo dice ti dà l’impressione che la domanda non fosse rivolta proprio a te, ma a un tu generico suo pari. Tipo Dio.
    Poi il Blackberry riprende a trillare.
    «Sì? Ma dimmi tu se non è il mio giornalista preferito. Certo che ci vediamo, tesoro. Sono qui apposta per te, leader indiscusso della classifica Pupazzini…».
    Al sesto o settimo leader provvisorio della Pupazzini-Parade, smetti di ascoltarla. Stai pensando di nuovo a Phoebe. Stai pensando a Gloria e a quello che è successo. Ma soprattutto stai pensando a quel grandissimo figlio di puttana di Manuel Rigoberto Pontili.


****
    La notte prima della partenza per Los Angeles sei in giro per Milano in macchina. Conduci una ronda lenta, da squalo anziano, per le vie del centro. È il tuo modo per far sbollire la rabbia: di solito funziona. Di solito.
    Continui a pensare alle sue parole, a quel maledetto Manuel Pontili.
    Ora, tu i vendisupposte li odi. Li hai sempre odiati. Di un odio profondo, frutto fondamentalmente dell’incapacità di capire il perché di tutto questo rispetto sul piano sociale, di questo status particolare conferito a un laureato come un altro, solo perché vende supposte e preservativi e creme per le emorroidi. Retaggio della solita mentalità provinciale italiana, ti sei sempre detto, in cui questa e tante altre piccole lobby cercano di resistere sui loro bastioni alle picconate del mercato globale, e nel frattempo continuano a giovarsi di vantaggi che avevano cento anni fa nei paesi, nei piccoli centri, tra la gente contadina povera e ignorante.
    Dove rappresentavano l’equivalente moderno degli sciamani, con i loro intrugli medicamentosi. E la gente, specie quella povera e ignorante, gli sciamani in camice li temeva e li rispettava nel candore asettico dei loro negozi di pomate e sciroppi fluidificanti per il catarro. Ma, e sai con certezza anche questo, pur non essendone la causa principale, la figura di Manuel quell’odio ha contribuito a tenerlo vivo nel corso degli anni.

    Due ore prima sei a casa tua.
    «Solo che è venerdì sera. E noi rimaniamo come al solito dentro, rintanati come due vecchi» ti dice, con quel leggero strabismo che si impossessa del suo sguardo nei momenti di tensione e che a te una volta piaceva tanto. Cerchi qualcosa da dirle, ma non lo trovi.
    «Un’altra settimana trascorsa a non fare nulla. Non una cena fuori, non un teatro, non un cinema. Vai al lavoro la mattina, torni la sera e te ne vai direttamente a letto» ti dice, con un tono che accelera verso il rabbioso. E, per quanto possa sembrarti incredibile, ti sta facendo sentire un po’ in colpa. In fondo, ha ragione. In fondo, non andate più da nessuna parte, se si eccettua qualche cena istituzionale a casa dei suoi.
    «Perché non ti vesti?», proponi cauto. «Ti porto fuori. Scegliamo un bel ristorantino»
    «Io e te da soli? Sai che palle! Di cosa vuoi parlarmi, per tutta la sera? Del tuo lavoro inutile? Di quelle stupidaggini che scrivi sul computer?»
    Capisci che è arrabbiata, capisci che tra voi ormai anche comunicare è diventato difficile, ma la discussione sta prendendo una piega che non sopporti. Anche perché la conosci, e sai già qual è il prossimo argomento che Gloria è pronta a sbatterti in faccia.
    «E tutto questo sai perché?», continua la tua compagna di vita, che ora non parla più, urla, «perché non hai uno straccio d’amico! Non hai una vita sociale, vivi da solo come un eremita e in questo schifo di esistenza ci hai trascinato dentro anche me! La sera sei solo tu e quel computer, e se non è il computer sono quei maledetti film di merda. Non una festa, un po' di vita mondana. Sai cosa volevo io? Di cosa avevo veramente bisogno? Di un uomo che avesse una sua vita sociale già ben definita. Una vita alla quale mi facesse accedere un po’ alla volta, per conoscere gente nuova, per scoprire qualcosa di diverso».
    Lo sapevi. Sapevi che avrebbe riattaccato con questa storia.
    Vorresti dirle che neanche lei, se è per questo, ha uno straccio d’amica vera. Che se le matrone da cornetta non l’invitano alle loro cene non è certo colpa tua o del tuo lavoro. Che, per quanto questo concetto lei non riesca a metabolizzarlo, i film di merda, ogni tanto, devi pur guardarteli per evitare di scrivere qualcosa già scritto da qualcun altro.
    Resti in silenzio: sai che ancora non è finita. Sta solo preparando il terreno per tirar fuori più tardi, con cattiveria ragionata, servito freddo, quel maledetto paragone. Ma ti sbagli, visto che il paragone te lo tira fuori subito.
    «Mia madre me lo diceva. Me l’ha sempre detto. Lascialo perdere quel povero sfigato. Lascialo perdere», affonda la lama. «Aveva ragione. E aveva ragione anche quando mi diceva di tenermi Manuel. A quest’ora sarei la signora Pontili, rispettata da tutti e...»
     La lasci lì. Sul sottofondo delle sue urla, afferri il cappotto e sei fuori.

****

    Ti fermi a fare benzina: hai girato abbastanza da finire il serbatoio.
    Con il primogenito di Ernesto Pontili, titolare del prestigiosissimo, storico centro di smercio di supposte che porta il nome di suo nonno, lungo l’aurea discesa di via Powell punteggiata da gioiellerie e negozi di alta moda, la storia va indietro negli anni. Hai avuto la sfortuna di averlo per compagno di scuola, tra i banchi del Classico F. Bacon, per la bellezza di tre anni.
    In prima liceo, grazie al cielo, i regali del padre non erano riusciti a piegare la volontà di un paio di professori un attimo più attenti a fare il proprio mestiere. Niente promozione comprata a suon di suppost-dollari, con un paio di finti-rimandi telecomandati a settembre giusto per non dare troppo nell’occhio, quella volta.
    Allora, ingenuamente, hai pensato di esserti liberato per sempre della sua sgradevole compagnia. Di quell’ostentazione di ignoranza di cui riesce a non vergognarsi solo chi trova riparo dietro soldi non guadagnati. Di quel tono superbo usato nei confronti dei compagni di classe provenienti da famiglie meno abbienti, i cui padri non avevano una Mercedes e, poveri pezzenti, non avrebbero potuto comprarne una al figlio appena avesse compiuto diciott’anni. Nella tua mente di operaio della tastiera in fieri, Pontili rappresentava il peggio. In senso assoluto. Il peggio della Milano di quegli anni, della nostra società, di un'Italia di compromessi e, si sarebbe scoperto di lì a poco, mazzette, tangenti, strette di mano sudaticce.
    Ma il destino ti era stato avverso. Di quanto facesse il maledettissimo Manuel Pontili, di come avesse deciso di buttare la propria esistenza, in qualche modo, venivi sempre a conoscenza.
    E se non era tua madre, a informarti puntualmente di come, in fondo, “quel bravo ragazzo lì” si fosse pur sempre riuscito a diplomare – in un istituto privato in cui i powers that be milanesi correvano a segregare la propria progenie troppo stupida per apprendere quei quattro-concetti-quattro della scuola pubblica – erano le cronache cittadine a farlo.
    Le pagine di Milano dei due principali quotidiani nazionali che parlavano, in stretta sequenza, dell’overdose capitata al povero Manuel Pontili, della sua vita appesa a un filo, dello sconcerto e della grande apprensione della gente, del suo lento recupero, degli auguri da parte del sindaco e delle autorità meneghine tutte quando era uscito da lì sulle sue gambe. C’erano persino le vive felicitazioni, riprese immediatamente dalle emittenti locali e perfino dal TG regionale, di Clara Tormento, la celebre soubrette del sabato sera fidanzata con un calciatore della Roma.
    Perché se sei un povero stronzo, e muori per la merda che ti sei iniettato, tutti diranno che eri solo un povero stronzo tossico. Uno scarto della società. Un rifiuto, di quelli che meno ce n’è in giro meglio è, senti. Ma se in overdose ci va il pargolo di un vendisupposte noto in tutta l’aria metropolitana e pieno di amici col grembiulino, allora ci si affretta a parlare di un ragazzo sfortunato. Della vittima, incolpevole, di compagnie sbagliate. Del peso delle responsabilità che grava sempre sulle spalle dei rampolli di buona famiglia. Di un povero figlio dei nostri giorni su cui il caso si è voluto, per una qualche ragione, accanire.
    Anni dopo, sempre non richiesti, gli aggiornamenti sulla sua vita continuavano a raggiungerti comunque con una certa puntualità.
    Dopo il cagotto per quanto gli era successo, Pontili la roba aveva smesso di spararsela in vena. Si era messo a venderla. Il lupo era diventato pecorella, ma una pecorella bella furba.
    All’ombra dell’insegna, con il caduceo e i suoi serpenti iscritti all’interno di una croce verde lampeggiante, della farmacia del padre, faceva girare il metadone tra i suoi ex compagni di pere e merende. Più o meno allora un’ingenua e ancora dolce Gloria gli è stata presentata in discoteca da un’amica comune e futura matrona della cornetta. E lei, sensibile già da allora al lusso e alla bella vita, si è fatta scarrozzare in giro per feste in Mercedes per qualche mese. Cene, party, vernissage, concerti. Finché una sera lui non ha strippato.
    La ruota, l’astinenza da eroina non è una cosa facile da gestire, tanto più quando hai la fibra di un coglione e ti tieni su con altri surrogati carichi di principi attivi. Quando, per uscire da una dipendenza, finisci dritto tra le braccia di un’altra, che ti rende ancora più feroce.
    Quando la pecorella diventa nuovamente lupo. Assetato di sangue.

****

    Ripensi a quella sera, e stringi così forte le razze del volante che le mani iniziano a farti male.
    «Gabri? Oddio, Gabri, devi venire qui subito!»
    La telefonata di Stefania ti aveva svegliato nel pieno della notte. Avevi cercato tastoni il cellulare per almeno un paio di minuti, ma quel maledetto, da qualche parte ai piedi del comodino, continuava a vibrare e sfuggirti.
    «Stefania? Ma... ma che ore sono?» avevi risposto a quella che, ai tempi, era la PR della NLI e una tua amica. Nessuno dei due posti sarebbe stato colmato in maniera adeguata, dopo la fuga di Stefania a Londra, dalla nuova PR dell’azienda, Silvia.
   «Devi venire subito qui! È successa una cosa grave e... fai presto, ti prego…»
   «Qui dove, santo cielo?», avevi cercato di farla ragionare tu, che già armeggiavi al buio con i pantaloni, cercando di non perderti il telefonino retto tra orecchio e spalla. «Io vengo. Ma mentre mi vesto calmati un attimo e dimmi che diavolo è successo»
    E te l’aveva detto, ma alla scena che ti sei trovato poi di fronte a casa sua non eri preparato lo stesso.
    Quei segni sul viso. Quel labbro spaccato. Tutto quel sangue.
    Gloria, quella che un giorno sarebbe diventata la tua compagna, che tremava in un angolo come una bambina, accucciata contro il muro. E non riusciva a smettere di piangere, di paura e vergogna.
    Ti sarebbe bastato quello, il vedere quella ragazza ridotta a quel modo, ancor prima che il destino vi unisse, per farti venire voglia di andare in cerca di quell’animale. Di aspettarlo sotto il caduceo, quando si apprestava, biscia sotto i serpenti, al suo narcotraffico di piccolo cabotaggio, per fargli capire cosa si prova. E lasciarlo lì a terra mezzo morto, all’amorevole cura degli intrugli medicamentosi del padre-sciamano. Ma il peggio doveva ancora venire.
    Un peggio fatto di un processo farsa, in cui avvocati col riporto e la Porsche, sorridenti comparse televisive nei talk show mediaset, principi del foro per saldare le cui parcelle di platino perfino il vendisupposte senior avrà dovuto sudare, avevano fatto passare Gloria per un’adescatrice. Una che, in fondo, se aveva accettato di andare in auto con lui vestita a quel modo, vuol dire che ci stava. Che se l’andava cercando. Una che l’aggressione l’aveva solo simulata per inscenare un bieco ricatto ai danni di gente perbene. 

    Un peggio fatto tempo dopo, quando quella Gloria era diventata la tua Gloria ed era riuscita a mettersi alle spalle quella brutta storia, dallo scoprire Manuel Pontili, il caro, vecchio figlio di puttana, nuovo proprietario di un appartamento al quarto piano del TUO palazzo.
Gloria, allora, si è sforzata in ogni modo di farti capire che non ne valeva la pena. Che quel bastardo era meglio lasciarlo perdere. Sperare che la droga se lo portasse.
    Ma la droga non se l'è portato, e sono passati degli anni, e ora le basta arrabbiarsi per paragonarti a un ex tossico che l'ha aggredita. Per dirti che, alla fine, era meglio lui. E allora smetti di capirla e ti viene solo voglia di andartene. Ti chiedi come possa dirti una cosa del genere, sapendo che tu sai. Ti chiedi cos'hai fatto per meritarti tutto questo e quanto a lungo ancora vuoi sopportarlo. Ti chiedi perché. Ma le lacrime non hanno risposte.
    O forse sì, ma in una lingua che non riesci a capire.

[CONTINUA tra qualche settimana. Davvero. Giuri.]

36 

Commenti

  1. Come al solito spettacolo, bellissima l'illustrazione cattivissimo il capitolo, e mi immedesimo un pó in Gabriele visto una ex molto pedante...

    Doc te vojo bene, non me lo abbandonare questo romanzo!

    RispondiElimina
  2. Che poi io mica lo leggo... Volevo solo romperti le scatole su Twitter!!! :D

    RispondiElimina
  3. Risposte
    1. Just joking Doc... Just Joking! ;)

      Se vuoi dopo m'interroghi! :D

      Elimina
  4. Dottò, 10 e lode. Portalo avanti, insieme a Frankie, entrambi valgono. Non vedo l'ora di continuare a leggerlo..Grande Grandissimo!

    RispondiElimina
  5. Ps: Le illustrazioni di Codolo sono meravigliose, onore al merito di entrambi!

    RispondiElimina
  6. Mi è piaciuto molto leggerlo questo capitolo, l'ho trovato appagante, nel senso più ampio e positivo del termine. L'aggetto bello, nelle sue varie declinazioni e sinonimi, non mi sembra adatto per descrivere una storia dove il protagonista è "un uomo nella tempesta"; etichettare come belle le sventure altrui non è carino, anche se sono di un personaggio inventato.

    Credo che i farmacisti capiranno il motivo di tanto astio del protagonista.

    RispondiElimina
  7. Sto Manuel è così infame che è impossibile non odiarlo LOL

    RispondiElimina
  8. Lo aspettavo da un po', questo nuovo capitolo. E l'attesa è stata ampiamente ripagata.

    Grazie. :)

    RispondiElimina
  9. ti verrebbe da sperare che personaggi del genere possano essere solo frutto della realtà romanzesca.
    e invece in vita mia ne ho conosciuti fin troppi.

    RispondiElimina
  10. Un capitolo che viene dallo stomaco, rabbioso e sincero. Oltre che dannatamente ben scritto.

    A pensare che non volevi pubblicarlo quasi mi arrabbio!

    RispondiElimina
  11. Chapeau. Coinvolgente e, IMHO, ben scritto. Ora se la gioca con Frankie, che parte avvantaggiato da tema e stile più vicini ai miei gusti.
    Bravo Alessandro!

    Pdf question time: a) le razze del volante ci stavano? (un po' troppo tecnico?) b) le ripetizione fissazioni/fissavano mi è piaciuta, era voluta?

    RispondiElimina
  12. Colonna sonora di EELST...

    Lui: Mi drogo, bestemmio, picchio i bambini e non ti cago.
    Lei: Ti amo !
    Lui: Mi faccio il culo quattordici ore di seguito per mantenerti e ti cago.
    Lei: Ti lascio per un tossicomane che non fa un cazzo tutto il giorno, che bestemmia e picchia i bambini.

    Ad ogni modo, come raffigura i personaggi odiosi l'Apreda, nessun altro...

    Dopo tre righe già odiavo a morte la Pupazzini. ;)

    RispondiElimina
  13. Il mondo è pieno di Silvie Pupazzini. E di Manuel Rigoberto Pontili, chiaro.

    (amici farmacisti? È tutta fìcscion, neh! Michi, non mi cacciare l'amicizia su facebook!)

    RispondiElimina
  14. Doc, quando decidi di essere malinconico e arrabbiato forse sei addirittura più efficace di quando scrivi le cose di ridere... e siccome le tue cose di ridere sono veramente di ridere, ilche è tutto dire...

    Cmq non tutti gli uffici stampa sono così...

    RispondiElimina
  15. vutecco:
    Grazie, innanzitutto. Per i PR: oh, non lo penso affatto. Molte delle persone che ho conosciuto negli anni per il mio lavoro sono diventate miei amici. Ho scritto solo che è pieno di Silvie Pupazzini in giro :)

    RispondiElimina
  16. lo so lo so, è che il commento l'ho scritto prima della tua risposta ma è apparso dopo... :)

    RispondiElimina
  17. Bellissimo capitolo, doc.
    Duro, rabbioso, ma bello.

    RispondiElimina
  18. Non so perchè ma leggendo il capitolo non ho potuto fare a meno di pensare a quello che è successo in Parlamento e al Nanofauno che minaccia di tornare in campo per " salvare l'Italia"...sarà stato l'effetto di Manuel Pontilli!

    RispondiElimina
  19. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

    RispondiElimina
  20. Frankie è Frankie, anche se ho sentito su Ringcast che Badass è più seguito di Frankie. Non ho ancora letto questo capitolo e quindi potrei ricredermi, ma anche no!

    RispondiElimina
  21. Princh:
    Io invece me lo sono perso. Buh per me, buh per il lavoro, buh per il periodo pieno di casini che non posso andarmi a rivedere un film visto trentacinque volte in santa pace, non posso.

    Paolo:
    Frankie fa la metà delle visite di Badass. Bisogna volergli più bene, a quel povero mostro.

    RispondiElimina
  22. "Di quell’ostentazione di ignoranza di cui riesce a non vergognarsi solo chi trova riparo dietro soldi non guadagnati."

    Mitico. Centrato al millimetro.

    RispondiElimina
  23. Perso!nalmente preferisco questo a frankie, quindi continua così Doc!
    Anche in questo capitolo personaggi descritti con maestria, pochi tratti e diventano subito vivi e memorabili, oltre che detestabili. Non se ne salva uno compreso il protagonista zerbino, per il quale spero in un colpo di coda stile rivincita dei nerd...

    RispondiElimina
  24. ma davvero c'è gente che trova affascinante qualcuno le cui uniche caratteristiche sono solo arroganza e soldi? dico, queste persone avranno pure qualche pregio, oppure basta l'ostentazione basta e avanza per rimorchiare? non fatemi troppo ingenuo, è che mi iiludo a cercare qualcosa di buono

    RispondiElimina
  25. Letto ora, prima di andare a letto. Due sole parole: amaro e coinvolgente. Spero solo che non ci farai aspettare un altro mese per il prossimo capitolo. ;-)

    Per quanto riguarda Frankie va ad Hollywood, a me piace perchè è una storia simpatica e con delle idee carine alla base, ma se fa la metà dei visitatori di Badass credo sia da imputare solo alla sua natura di lettura molto più leggera. Badass è invece una storia viva, pulsante, con una struttura realistica e pastosa che non lascia indifferenti.

    RispondiElimina
  26. Per carità visto l'Internet capisco la precisazione per i farmacisti ma è chiaro che il padre sarebbe potuto essere un riccone con un mestiere a caso e il figlio di p....apà sarebbe stato uno dei tanti che ognuno di noi ha incontrato per la strada.

    Mi piace molto, quello che trovo poco credibile se mai è una che ti rinfaccia che stava meglio con quello che la menava, non tanto per la cosa in se quanto per la non reazione del protagonista....cioè già una cosi deve essere bacata dentro ma se sopporti una cosa simile andandotene allora stai proprio fuori anche tu (tu protagonista ovviamente).

    Comunque bello, Frankie piace ma è più "Rodari" questo almeno a me da piu soddisfazione :)

    RispondiElimina
  27. Doc, non azzardarti a mollare questo romanzo! :D

    RispondiElimina
  28. CapPixel:
    Ma no che non lo si abbandona :)

    RispondiElimina
  29. Brau. Beo. Bis.
    Un appuntamento sinceramente atteso, ti si aspetta pazienti (ma non troppo) per il prossimo giro!

    Frankieeee....
    ( si scherza, ne ;D )

    RispondiElimina
  30. Complimenti, capitolo bello forte.
    Lo sto leggendo con i Led Zeppelin sotto...rende

    RispondiElimina
  31. Doc l'unica cosa che mi chiedo è: ma a una del genere come fai a non risponderle "già, lui aveva capito tutto a spaccarti la faccia" giusto per sottolineare l'assurdità delle affermazioni della suddetta minorata

    RispondiElimina

Posta un commento

Metti la spunta a "Inviami notifiche"per essere avvertito via email di nuovi commenti. Info sulla Privacy