Si fa presto a dire Otaku (la garzantina dello spippolatore nipponico)

Presente Patrick W Galbraith? Massì, quel pirla che va girando per Akihabara vestito come Goku. Col parruccone a punte. Lui. Chi meglio di questo tizio, nativo dell'Alaska ma ormai di stanza a Tokyo da anni, poteva descrivere il mondo degli otaku? Perfetto compagno di merende, per formato e tematiche, del libro dell'amico Ashcraft sulle sale giochi nippe (non a caso sono entrambi editi da Kodansha International), The Otaku Encyclopedia copre tutti gli aspetti, le manie, i luoghi sacri dello spippolatore giapponese moderno. Dal Comiket a questa fissa per il moé, dalle innumerevoli variazioni sul tema della perversione per le maid alle idoru più nane, è un viaggio dentro la mente deviata di gente che, per quanto ti sforzi di guardarli con tenerezza, vive delle vite francamente imbarazzanti. Ben oltre i confini del nerd occidentale, anni luce lontani dai costumi dei compagni di pippe geek d'oltreoceano, gli otaku vivono di piccoli rituali e neologismi assurdi, ai quali il libro di Galbraith rappresenta una semplice, lucida chiave d'accesso. Tipo: te che leggi. Sì, tu. Lo sai quale concetto esprime la parola  nijigenhatsukoi? No? Manco io. E allora The Otaku Encyclopedia ti spiegherà per esempio che [...]
si tratta del primo amore per un personaggio a due dimensioni. Per il primo personaggio animato di cui uno si è innamorato in vita sua. Ti chiedi se le pippe su Lamù ai tempi della prima media rientrino o meno nel concetto.
Il punto più importante che emerge dalla lettura, è che l'otaku è ormai fenomeno di importazione. Come diversi dei luminari della materia intervistati nel libro (da Murakami, quello che fai i cowboy manga con l'affare in mano e li vende per gigafantastilioni di petroldollari, a Toshio Okada, quello che era presidente dello studio Gainax. Finché non l'hanno cacciato a calci in culo) hanno modo di affermare, l'otaku è ormai specie destinata all'estinzione nel suo habitat naturale. Perché l'otakudom è ormai troppo frammentato appresso a sottogeneri dei sottogeneri. E allora il nerdazzo filonipponico fiorisce nei bioparchi di posti come Lucca (alla cui fiera è dedicata un'apposita voce) e la Francia.
Il limite più evidente di The Otaku Encyclopedia (250 pagine a colori, 2000 yen alla cassa. Irashaimaseeeeee) è che di videogiochi, essenzialmente, Galbraith non ne capisce una fava. Questo vuol dire che in molte delle voci enciclopediche relative ai giochini non mancano gli errori. Che passi che la prima console Nintendo è chiamata in tutto il volumetto Famicon, con la N (in fondo è questa la traslitterazione dal katakana ファミコン), ma se, parlando di Atari, scrivi che il Jaguar era la risposta dell'azienda americana al giapponese Famicom, allora oltre che otaku, oltre che pirla, sei pure coglione.

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